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Dal vagone non poteva vedere nulla, solo percepire l’alba e il tramonto, non sapevano dove stavano andando, dove li avrebbero portati, ma intuì solo che quel treno l’avrebbe allontanata sempre più da casa. Ricorda il dondolio, il buio, i suo stato d’animo e non sentiva più il bisogno di cibarsi o di idratarsi. Auschwitz si presentò agli occhi di Liliana come un’enorme spianata di neve, Intorno freddo e desolazione. Una volta scesa dal treno si ritrovò subito circondata da tanta gente... ( cioè prigionieri)...con le guardie minute di cani al guinzaglio che abbaiavano. Liliana fu destinata a lavorare in una fabbrica di munizioni insieme ad altre 700 donne/ragazze, che facevano i turni giorno e notte: l’avevano internata nel settore femminile del complesso di Auschwitz-birkenau....e con il passare del tempo smise di piangere e cominciò a chiudersi in se stessa, Liliana si ricorda ancora, in quell’anno e mezzo passato in quell’inferno: il ricordo di quando doveva mettersi in fila nuda per la selezione, del vestito a righe, della stella gialla, dei pidocchi e del freddo. Quell’inferno durò fino alla metà del gennaio del 1945 quando, con l’avanzare dei russi, i nazisti decisero di evacuare il campo. Lei, insieme agli altri prigionieri, iniziarono una marcia di settimane fino al campo di Malchow, in Germania, dove restò fino all’aprile del 1945. Il giorno più felice della sua vita fu il 1 maggio, dove furono liberati lei e altre 24 persone, le uniche persone sopravvissute.