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L’escatologia si identifica con l’atto di donazione, di abbandono, di rinuncia; tuttavia questo atto può essere compiuto soltanto caso per caso. Se avvenisse in continuità, esso stesso sarebbe tempo e non più la fine del tempo (Documentazione in Hasenhuttl, in particolare pp. 165-177). Questa teologia filosofica, nonostante la sua indiscutibile serietà etica, sembra oggi stranamente vuota. Il suo successo straordinario può spiegarsi probabilmente soltanto in base alla storia contemporanea. La concezione di Bultmann si fonda sul fatto che sembra risolvere il dilemma del cristiano moderno, il quale si trova a dover scegliere o di sottoporre la propria fede a parecchi tagli in considerazione della scienza moderna, diventando quindi come cristiano insincero, oppure di rifiutare la scienza moderna per amore dell’integrità della fede e, quindi, di vagare come uomo in un’ambigua terra di nessuno. Qui opera pertanto una religiosità radicale, che vive il cristianesimo come una rinascita, come una conversione totale all’esistenza escatologica. Ma proprio questo rifiutare i compromessi della teologia liberale, proprio questa intransigenza religiosa lasciava alla scienza iin’illimitata libertà d’azione: essa non doveva più comprovare storicamente neppure un minimo di contenuto cristiano — come ancora per Harnack —dato che tutto ciò che può essere conosciuto scientificamente fa parte del mondo soggetto-oggetto e non ha quindi nulla in comune con la fede. Un coincidere dei due ambiti è, per definizione, impossibile e lo è perché il cristianesimo è da intendersi come escatologico. L’escatologia, causa prima delle difficoltà, sembra ora sciogliere il nodo gordiano. Solo nel primo momento di stupore potè sfuggire che questa soluzione è ottenuta a un prezzo troppo alto. In effetti, essa si regge sul fatto che il cristianesimo è collocato fuori della realtà, è per così dire, sulla punta dello spillo del momento. Una fede che non è più in grado di entrare in conflitto con la storia (comunque con la realtà sperimentabile) non ha neppure più nulla da dirle. Il vacuum creato dal cristianesimo « escatologico » di Bultmann è stato una delle premesse del fascino che le teorie marxiste avrebbero presto esercitato sulla teologia: il mondo ritorna con prepotenza nel cristianesimo trascendentale. Un concetto della fede puramente formale e attualistico è destinato a fallire quando si tratta dell’uomo: quando una generazione è investita dalla violenza delle sofferenze e di una moltitudine di problemi terreni, esso svanisce nell’irreale in conformità alla sua stessa definizione. c) OSCAR CULLMANN ... L’esegeta di Basilea, Oscar Cullmann, ha elaborato nelle sue opere una radicale contrapposizione al concetto bultmanniano sul cristianesimo. Egli si colloca nella linea della teologia storico-salvifica sviluppata nel 19° secolo da alcuni teologi di Erlangen. Per lui la « storia della salvezza » è l’essenza del cristianesimo neotestamentario tanto quanto lo è per Bultmann l’escatologia. Il che significa però: proprio quel che non conta per Bultmann, cioè la storia reale, piena di contenuti e in continuo progresso, è per Cullmann l’essenziale. Anzitutto però, lo studioso di Basilea sviluppa la sua concezione non solo in opposizione a Bultmann, ma non meno in contrasto con il retaggio del pensiero greco, con la metafisica che, specie nella teologia cattolica, ha un’importanza determinante. Cullmann opina che qui si confrontino due contrastanti concezioni sul tempo; che la concezione greca sul tempo sia ciclica: il tempo è un circolo chiuso e, di conseguenza, un perenne ritorno, per cui il tempo è inteso come schiavitù, come maledizione. In questa ottica sembra impossibile voler cercare la salvezza nel tempo; questa può consistere soltanto nell’evasione dal circolo chiuso del tempo, nella fuga nell’eternità atemporale. (Cristo e il tempo, 74 ss). La « metafisica », ossia la ricerca della salvezza fuori del tempo, è perciò l’espressione di una negazione del tempo (secondo Cullmann), ma proprio per questo in netto contrasto con la visione portante della fede cristiana. « La concezione cristiana primitiva della storia della salvezza legata alla linea temporale continua, dissoltasi nella metafisica, ha dato origine all’eresia, se per eresia s’intende una deviazione dal cristianesimo primitivo » (ibid., 77-78). Cullmann argomenta ulteriormente che al concetto ciclico, che i greci avevano del tempo, la Bibbia contrappone un concetto lineare sul tempo: il tempo, vi è visto nel complesso ascendente dello ieri, dell'oggi e del domani. Quale linea ascendente, esso offre lo spazio nel quale può compiersi un disegno divino. Con altre parole: la salvezza avviene dentro il tempo; il tempo e la salvezza sono correlativi. Cullmann non vuole riferire neppure a Dio il concetto dell’atemporalità: « In questo senso la sua eternità può e deve dunque essere "ingenuamente” indicata come temporalità infinita » (ibid.., 87). Da ciò consegue una prima divisione in tre parti del tempo, nella quale, per Cullmann, si esprime la concezione fondamentale comune all'Antico e al Nuovo Testamento. L’autore illustra questa divisione con il grafico seguente: Centro ------------------ | ----------------------* --------------------- 1. Prima della 2. Tra creazione 3. A partire creazione e Parusia dalla Parusia Su questo sfondo emerge però contemporaneamente la novità del messaggio di Gesù, novità che anche per Cullmann consiste nell'escatologia, la quale appare coordinata del tutto alla storia della salvezza. Secondo Cullmann, per il pensiero giudaico esiste, dopo la creazione, una sola altra cesura nel tempo: la Parusia, che segna l’inizio di un’era nuova. Di conseguenza, questo punto centrale che separa gli eoni era collocato nel futuro. Gesù con il suo messaggio ha però mutato radicalmente questo concetto iniziale della divisione dei tempi, per cui risulta ora lo schema seguente: Centro ------------------ | ----------*----------|---------------------- 1. Prima della 2. Tra creazione 3. A partire creazione e Parusia dalla Parusia Ora il centro del tempo non si trova più nel futuro, ma nel passato, ovvero nel presente di Gesù e degli Apostoli. « Già durante il suo periodo terreno, la sua venuta significa per Lui stesso il centro della storia » (72). Per esemplificare questo concetto, Cullmann sceglie nel suo volume, uscito alla fine della seconda guerra mondiale, il paragone con la guerra, nella quale tra la battaglia decisiva e il Victory Day potrà trascorrere parecchio tempo; ciò nondimeno l’evento centrale rimane la battaglia decisiva, sebbene il suo risultato definitivo potrà ancora farsi attendere. Non diversamente stanno le cose riguardo alla comparsa del Cristo: la svolta, il punto centrale è giunto, ma non coincide con la fine concreta della storia universale, che esteriormente potrà protrarsi ancora per un tempo indefinito. Cristo stesso, sapendosi il centro, ha insegnato una nuova visione della storia salvifica. Con la divisione tra centro e fine e la retrocessione del centro nel passato è proclamato un tempo nuovo, il periodo del «di già» e del « non ancora », dell'evento centrale già avvenuto e della fine ancora attesa. Questa divisione basilare fa parte dello stesso messaggio di Gesù. Di fronte a questa visione del centro, con cui Gesù dà una nuova interpretazione alla storia e all’escatologia, la questione dell’effettiva durata di questo tempo intermedio appare del tutto secondaria. La domanda circa l’attesa della fine imminente perde la sua urgenza, poiché quanto è determinante nel messaggio di Gesù non è la questione se il periodo che dovrà trascorrere prima della Parusia sarà breve, bensì l’evidenziare che l’evento centrale è già avvenuto. Gesù stesso crea così il concetto e Ifl realtà del « tempo intermedio ». Questa nuova fase — non prevista nel pensiero ebraico della storia salvifica, non contraddice al suo messaggio, ma ne è il prodotto, sebbene la sua durata si protragga oltre l’aspettativa. Queste tesi di Cullmann, in confronto a quella di Bultmann, non solo avevano lo svantaggio di concedere molto meno spazio al coraggio critico nell’interpretare il Nuovo Testamento, ma — ciò che contava di più — esse erano pure debilitate dal fatto di implicare in misura molto minore la religiosità. Il tutto poteva essere facilmente sospettato di apologia, ma, soprattutto, suscitava l’impressione che si trattasse qui di una filosofia «oggettivistica», in cui l’escatologia diviene teoria, ma non offre più alcuna indicazione per l'esistenza umana. Cullmann ha replicato esaurientemente a queste obiezioni nel suo libro II mistero della redenzione nella storia, pubblicato nel 1965. Egli vi affina anzitutto la schematica precedente, caratterizzando la « linea » come un movimento ondulatorio e concede dunque spazio ad alti e bassi, alla discontinuità nella continuità. Ma soprattutto, egli tenta ora di chiarire meglio pure il contenuto « esistenziale » della « storia salvifica »: la fede è solidarietà con la storia della salvezza, è accettazione del suo « di già », è operare nella prospettiva del « non ancora ». Le categorie « esistenziali » fede, speranza, carità vengono comunicate con le dimensioni della storia salvifica: la fede è l'accettare la storia avvenuta, che tramite la carità viene traslata nel presente per divenire così nuovamente speranza del futuro.