Read Aloud the Text Content
This audio was created by Woord's Text to Speech service by content creators from all around the world.
Text Content or SSML code:
Così, a partire dalla svolta del secolo, si è imposto in misura crescente un secondo tipo di interpretazione, che la potremmo definire « escatologico ». La convinzione fondamentale, che Gesù abbia pensato con certezza che la fine fosse vicina e aspettato il regno come un evento rivoluzionario che si sarebbe verificato nel prossimo futuro, questa convinzione viene ora applicata al nostro testo. Si argomenta di conseguenza: Gesù contrappone qui al regno, il cui arrivo è osservagliele quindi lento, il regno che irrompe repentinamente. Per cui si dovrebbe tradurre: « Il regno di Dio sarà improvvisamente in mezzo a voi » (così ultimamente J. Jeremias, Neulestamentiiche Theologie I, 104). Ma questo contrasto è davvero troppo superficiale, l’« osservare » viene neutralizzato soltanto mediante l’immagine della « rapidità » e per il resto il regno rimane concepito quale entità esteriore. E soprattutto: nel testo non troviamo nulla che si riferisca alla repentinità dell’evento. Perciò in primo piano si sposta oggi sempre più una terza possibilità di interpretazione, che noi la possiamo definire « cristologica » e che ci costringe a includere nella cristologia anche la pneumatologia. Gesù parla al presente: il regno di Dio non è osservabile ed è proprio in questo modo in mezzo a coloro ai quali egli sta parlando. Esso — Gesù stesso — si trova tra di loro. « Gesù in persona è il "mistero del regno di Dio”, che Dio ha donato ai discepoli » (E. Mussner, Praesentia salutis, 95). In lui il futuro è l’oggi, in lui il regno di Dio è presente, purtuttavia in un modo che lo si può ignorare; esso si sottrae a un’osservazione che vuole misurare i sintomi, calcolare costellazioni. Secondo la bella espressione di Origene, Gesù è l'auto basileia - regno di persona (cfr. GLTN II, 202). Così la parola del Signore or ora meditata concorda con un’altra parola sul regno, che si riferisce ancora più sicuramente al presente, e che leggiamo sia in Matteo sia in Luca: « Se caccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio» (Le 11,20). Questo versetto approfondisce quanto abbiamo poc’anzi meditato e lo chiarisce in base alla logica interiore dello stesso vangelo. Gesù è regno non solo nella sua presenza fisica, ma per la forza irradiatrice dello Spirito Santo, la quale procede da lui. Nel suo operare pneumatico, che affranca l’uomo dal suo asservimento ai demoni, si realizza il regno di Dio e Dio stesso assume il governo del mondo. Il regno di Dio — rammentiamolo — è evento, non luogo; Gesù con il suo operare, con la sua parola, con la sua passione tronca il dominio dell'estraneazione che grava sull'uomo, lo libera e instaura quindi il dominio di Dio. Egli è il regno di Dio, perché per mezzo di lui è Dio che opera nel mondo. Con ciò è data insieme l’unità interiore tra il messaggio prepasquale e quello postpasquale. Il Risorto è la sorgente dello Spirito per il mondo. Il tema del regno si muta in cristologia, perché da Cristo procede lo Spirito che è il dominio di Dio. 3. La questione dell’attesa dell’imminenza ... Nessun dubbio: nel Nuovo Testamento si incontrano evidenti tracce di un’attesa della fine imminente. Donde vengono? Riconducono esse a Gesù? Indicano esse addirittura il vero e proprio centro del suo messaggio? In ogni modo questo è quanto sostiene l’« escatologia consecutiva » da Weiss e da Schweitzer in poi. Nell’interpretazione del Nuovo Testamento da essi inaugurata, si è formato un canone evolutivo che convince immediatamente e offre un filo conduttore secondo cui seguire la successione dei primi stadi del messaggio cristiano. Questo canone afferma: quanto più fortemente in un testo è accentuata l’escatologia della fine imminente, tanto maggiore è la sua antichità; quanto più l’attesa escatologica appare attenuata, tanto più certo è che il testo è da attribuirsi a un tempo successivo. Quando Matteo e Luca, in testi che concernono parabole, parlano del « tardare della venuta » del Signore o dello Sposo (Χρονίζει ὁ κύριός): Mt 24,48; Le 12,45; cfr. Mt 25,5), è segno che la Chiesa in attesa inserisce qui la propria esperienza del « ritardo » della Parusia in antiche parole di Gesù. E quando perfino la seconda Lettera di Pietro contrappone alla domanda insistente: « Dov’è la promessa della sua venuta? » (3, 4) la parola del Salmo 90 (89), 4, che afferma che « mille anni sono per il Signore come un solo giorno », si vede ancora meglio, come nel tempo successivo sia stato necessario conciliare vicinanza e lontananza e spiegare teologicamente il ritardo dell'attesa Parusia. Gli esempi menzionati possono essere considerati indicativi: da essi emerge la lotta della cristianità per conservare la speranza e traspaiono esperienze di delusione che richiedono risposta. Tuttavia rimane incerto se ne possiamo derivare un canone di datazione univoco, secondo cui all'inizio dovrebbe collocarsi la radicale escatologia dell’immanenza, che successivamente si attenuerebbe gradatamente fino a Giovanni, nel quale, secondo Bultmann l'escatologia temporale è stata del tutto abbandonata a favore di un’escatologia esistenziale, per cui non ci si attenderebbe più nulla nel tempo (soltanto la redazione ecclesiale vi avrebbe reinserito una dottrina dei destini ultimi dell’uomo), e l’escatologia è stata trasformata da categoria della temporalità in categoria personalistica, in una categoria dell’esistenza. Con questa trasposi- zione dal tempo all’esistenza, Bultmann considera raggiunta l’essenza del cristianesimo e, pertanto, il cristianesimo giovanneo come l’esatta interpretazione del pensiero cristiano in generale. Tuttavia egli rimane convinto che Giovanni abbia compreso Gesù meglio di quanto Gesù avesse compreso se stesso e che abbia demitizzato una profezia escatologica ebraica, secondo la quale la fine era prossima, e conferito a essa una profondità esistenziale Qui emergono infatti alcuni in- terrogativi metodici basilari assai importanti: potrebbe dunque darsi che l’interpretazione posteriore comprenda i contenuti iniziali meglio di quanto li abbiano compreso i racconti anteriori? Potrebbe essere che all’inizio si penetrasse più profondamente l’essenza dei contenuti di quanto lo possa fare una semplice ricostruzione storica? Ma in Bultmann questi interrogativi sono nascosti dietro lo schema dell’evoluzione, che fa emergere dall’escatologia dell’imminenza soltanto lentamente conoscenze più profonde. Si dà però il caso, che proprio questo canone sia stato intaccato da lavori della stessa scuola di Bultmann. H. Conselmann ha dimostrato che uno dei tre sinottici, e precisamente Luca, presentaci già una.,concezione priva di escatologia ..dell’imminenza. Per lui, Cristo non rappresenta ancora la fine, ma il centro del tempo: la via non conduce direttamente alla Parusia, ma alla Chiesa dei pagani, la quale, come ampio spazio del futuro, costituisce l’orizzonte del suo vangelo. E Grässer sintetizza il risultato di Conzelmann, formulandolo come segue: « Luca non caratterizza dunque più il presente come una situazione intermedia, ma come una situazione permanente » (183). D‘altro canto Grässer mette in luce, che in Matteo, il cui vangelo si presume sia contemporaneo a quello di Luca (forse perfino posteriore), l’escatologia dell’imminenza non appare attenuata, ma anzi, in confronto con Marco perfino accentuata (sulla questione della datazione: W. G. Kummel, Einleitung in das NT, 1973, pp. 89 s; confutazione radicale di questa datazione, in: J.A.T. Robinson, Reda- ting thè New Testament, Londra 1975). Grässer dice al riguardo: « Matteo si mantiene fedele all’attesa dell’imminenza! ... Ma come egli abbia immaginato — scrivendo dopo il 70 — di poter conciliare ciò con l’effettivo decorso storico, resta per noi l’enigma di Matteo » (217 s). Da queste conoscenze emerge però un dato di fatto fondamentale: non esiste uno sviluppo lineare in ciò che concerne l’attesa della fine prossima. A seconda, delle circostanze, il tempo ha acuito oppure attenuato la tensione temporale. In certi casi, un’attesa temporale più marcata potrebbe essere addirittura anche un sintomo di un ritorno al giudaismo, poiché il giudaismo del tempo di Gesù conosce massicce attese della fine imminente, le quali dunque di per sé potrebbero anche non costituire affatto una peculiarità di Gesù. Lo sche- ma di uno sviluppo in linea diretta manca di realismo; il fattore della storia precedente non offre criteri di giudizio univoci. Potrebbe anche darsi che l’escatologia dell’imminenza sia invece proprio quella posteriore. Tenteremo ora di approfondire questa tesi in base al testo che per il nostro problema è centrale, ossia il Discorso escatologico di Gesù in Me 13 par. Quanto ci interessa non è un’interpretazione dei dettagli, ma soltanto la questione in quale momento temporale si collochi il Discorso sulla « fine ». Mt 24,15-22; Me 13,14-20; Le 21,20-23 descrivono la fine di Gerusalemme. La narrazione lucana presenta anzitutto la caratteristica di completare la topica apocalittica con richiami concreti alla tecnica d’assedio romana, ma soprattutto, essa si vale, nell’illustrare la distruzione della città e il suo stato di abbandono e di solitudine, della descrizione tratta da Dn 12, 11 (cfr. 11,32; 9,27) dell’orrore della devastazione del santuario. Inoltre l'avvenimento viene caratterizzato, in riferimento a testi profetici dell’Antico Testamento (Os 9,7; Ger 46, 10; Dt 32,35), come « giorni di vendetta.», come compimento di parole della Scrittura; il che nel complesso attenua il tenore apocalittico, storicizza l'avvenimento e lo inserisce nella continuità della storia della salvezza.