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Il quinto richiamo dottrinale del Documento in esame riguarda « la manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo » che la Chiesa considera « come distinta e differita rispetto alla situazione che è propria degli uomini immediatamente dopo la morte » (p. 401, n. 5). Anche questa formula è molto modesta. I teologi che identificano per i singoli uomini il momento della venuta gloriosa di Cristo con la morte, sostengono tuttavia che la fine dei tempi rappresenta un momento significativo per coloro che sono già nel regno della gloria. Anche per essi quindi l’attesa della manifestazione di Cristo è piena di significato, è densa di valore. Se è vero che la Parusia « non è che il definitivo rivelarsi e compiersi del mistero pasquale » (Ratzinger, p. 214) e se è vero che questo coinvolge tutti gli eletti, credo non sia difficile ammettere che in qualsiasi modo venga spiegata la risurrezione personale, la manifestazione ultima « del Signore nostro Gesù Cristo » rappresenta un momento significativo per tutti. Il sesto punto indicato nella Lettera della Con- gregazione per la dottrina della fede riguarda il dogma dell’Assunta. Vi si dice che debbono essere escluse quelle spiegazioni che toglierebbero « il suo senso all’assunzione di Maria in ciò che essa ha di unico, ossia il fatto che la glorificazione corporea della Vergine è l’anticipazione della glorificazione riservata a tutti gli altri eletti ». La formula usata non è molto chiara. L’assunzione di Maria ha anticipato in modo singolare ciò che avviene a ogni eletto nel momento della morte? o ha anticipato ciò che avverrà alla fine dei tempi a tutti gli eletti? Secondo l’orientamento generale questa ultima sembrerebbe essere l’intenzione della Lettera. In tale caso verrebbe sconfessata l’opinione abbastanza comune tra i teologi attuali che l’Assunzione come tale non fu una esclusività personale e infatti non è dichiarata « privilegio » dalla Munificentissimus Deus. Sembra, anzi, che la Costituzione metta in rilievo la mancata corruzione del corpo di Maria come segno dell’unione intima tra Madre e Figlio nell’opera della redenzione « potendo adornarla di così grande onore da conservarla incolume dalla corruzione del sepolcro » (DS 3900). È chiaro che nella prospettiva teologica del tempo affermare che Maria « è stata glorificata nell’anima e nel corpo » implicava l’affermazione di un privilegio esclusivo. Ma ciò non è l’oggetto della definizione. Perciò quando si diffuse l’opinione della possibilità di una glorificazione corporale per gli eletti con la morte, l’assunzione di Maria venne interpretata come la manifestazione del disegno di Dio per ogni eletto in Cristo. Sarebbe apparso chiaro in Lei dove conduce la fede in Cristo Messia; quale sbocco ha nel disegno di Dio l’accoglienza della salvezza. Come nella teologia antica (fin verso il sec. XVIII) avrebbero insistito sulla spazialità del cielo per indicare il privilegio di Maria (assunta in Cielo), così nella teologia implicita nella Costituzione viene sottolineata la glorificazione del « corpo » di Maria. Oggi la teologia preferisce sottolineare la pienezza di vita raggiunta con la morte-glorificazione; lo stato definitivo di perfezione integrale, meta di ogni uomo chiamato in Cristo all’esistenza: « Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale » (Gsp. 22). Il Dogma dell’Assunta sarebbe appunto l’annuncio plastico della realizzazione di questa chiamata universale in una « redenta », in modo singolare, dall’azione di Cristo. Ciò che è « unico » in Maria è la vicinanza a Cristo e la misura della perfezione raggiunta non la glorificazione corporale, cui, di fatto, prima o poi (poco importa) tutti sono chiamati. Già nel 1951 scriveva K. Rahner: « L’assunzione di Maria non è un "privilegio” nel senso che solo Maria ne sarebbe stata partecipe, o che si tratti di una vera "anticipazione” di quel perfezionamento definitivo, che potrebbe subentrare "propriamente”, sotto ogni aspetto e in ogni caso, solo più tardi. No, la salvezza era già tanto progredita nella sua storia che sin dalla risurrezione di Gesù è del tutto normale (ciò non significa: generale) che ci siano uomini, nei quali il peccato e la morte sono già definitivamente superati » (« Sul significato del Dogma dell’Assunzione », in Saggi di cristologia e cariologia, Paoline, Roma 1965, p. 476). Anche se allora Rahner non traeva tutte le conseguenze da questa impostazione non sarebbe passato molto tempo che una nuova antropologia avrebbe favorito una rilettura diversa del Dogma dell’Assunta. In ogni caso resta il fatto che in Maria si è reso visibile come anticipazione il destino glorioso riservato a tutti i redenti da Cristo. E in questo la figura di Maria nella storia della salvezza è unica e irrepetibile, anche se tutti gli eletti giungessero alla pienezza di vita nella morte. L’ultimo punto di fede che la Lettera della S. Con- gregazione sottolinea con fermezza riguarda il Paradiso, l’inferno e il Purgatorio. Anche in questo caso il testo è molto sobrio. Si limita a richiamare: « la Chiesa crede alla felicità dei giusti, i quali saranno un giorno con Cristo. Essa crede che una pena attende per sempre il peccatore, il quale sarà privato della visione di Dio. ... Essa crede, infine, per quanto concerne gli eletti, ad una loro eventuale purificazione ... ». Non si danno altre precisazioni, anzi si afferma chiaramente che esse non sono possibili: « né le Scritture, né la teologia ci offrono lumi sufficienti per una rappresentazione dell’al di là » (p. 401). La fede, d’altra parte, non ha bisogno di ulteriori indicazioni. Ciò che è essenziale alla fede in questo settore è molto elementare. A giudizio della Congregazione può essere così riassunto: « il cristiano deve credere, da una parte, alla continuità fondamentale che esiste, per virtù dello Spirito Santo, tra la vita presente nel Cristo e la vita futura ...; ma d’altra parte, il cristiano deve discernere la rottura radicale tra il presente e il futuro, in base al fatto che al regime della fede, si sostituisce quello della piena luce ... » (p. 401). Proprio questa duplice esigenza impedisce al teologo di fare affermazioni assolute sul contenuto della vita futura. Non sappiamo come vivremo, chi saremo, quali rapporti avremo, che senso avranno le nostre identità personali. Ma sappiamo che la vita attuale ha una continuità con quella definitiva cui siamo chiamati. L’amore che ci ha fatto sbocciare alla vita è lo stesso Amore che la renderà per sempre degna di sé. CARLO MOLARI