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Segno chiaro di questa esigenza è anche un documento della S. Congregazione per la dottrina della fede reso pubblico mentre la traduzione italiana del volume di Ratzinger era in tipografia. In una Lettera inviata a tutti i Vescovi membri delle Conferenze episcopali, la Congregazione romana ha sentito l’esigenza di puntualizzare alcune questioni riguardanti la vita futura. Il testo viene trascritto in appendice secondo la traduzione italiana apparsa su L’Osservatore Romano il 16 luglio 1979 e in La Civiltà Cattolica n. 3101, a. 130 (1979) 3 pp. 399-402 (Le pagine delle citazioni che seguono rimandano a La Civiltà Cattolica). Credo che un breve commento alla Lettera possa introdurre opportunamente il presente volume perché molte delle indicazioni in essa contenute erano già state seguite e applicate dal teologo di Regensburg, ora Cardinale di Monaco. La prima esigenza messa in luce dal documento della Congregazione è la fedeltà perfetta alle verità della fede. Nei periodi di trapasso culturale questa preoccupazione dev’essere fondamentale per ogni teologo come per ogni credente. Molti schemi interpretativi del mondo e dell’esistenza umana appaiono inadeguati, altri errati. E poiché anche la fede li aveva utilizzati nelle sue formulazioni, essa si trova nella necessità di rivedere espressioni, simboli, analogie in modo da non tradire la verità con formule culturalmente inaccettabili, e « non permettere che rappresentazioni infantili od arbitrarie siano scambiate per le verità di fede » (p. 402). Lo sforzo del teologo deve essere proprio quello di fornire un servizio alla comunità ecclesiale perché essa possa operare la trasformazione richiesta sènza danni rilevanti o traumi profondi. L’aspetto più grave di questi processi è che essi avvengono secondo leggi proprie, non ancora ben chiarite, con ritmi attualmente molto veloci; non sempre perciò trovano i teologi pronti al loro lavoro con sensibilità, spirito creativo e coerenza culturale. Ne segue che spesso si assiste, quasi con senso di impotenza, a un progressivo deterioramento dell’impianto culturale della fede cristiana, proprio nel momento in cui, lo slancio vitale sembra esigere nuove forme e creare nuovi modelli. Lo stesso documento esprime preoccupazioni per « tutto ciò che potrebbe causare nella coscienza comune dei fedeli una lenta degradazione e la estinzione progressiva di un qualche elemento del Simbolo battesimale, indispensabile alla coerenza della fede » (p. 399). Spesso ciò avviene insensibilmente per lo stesso svolgersi della cultura umana. Non sono sempre eventi eccezionali a determinare i cambiamenti di modelli culturali, ma una serie di fenomeni convergenti: scoperte scientifiche, esperienze storiche, schemi filosofici nuovi, presenze innovatrici di santi ecc. La degradazione o l’estinzione progressiva di qualche elemento della fede avviene appunto quando la comunità ecclesiale non riesce a trovare modelli culturali in sostituzione di quelli che deperiscono e, a un certo momento, appaiono inutilizzabili. Nell’ambito dell’escatologia, questi fenomeni sono attualmente molto incidenti. Ciò spiega lo sforzo notevole che il Prof. Ratzinger ha profuso nella stesura delle lezioni e la modestia delle conclusioni cui a volte perviene. Chi si attende risposte precise e assolute, dettagliate descrizioni dello stato futuro dell’uomo, schemi interpretativi globali e perfetti, resterà deluso. Questo capitolo della teologia è attualmente il più bersagliato di domande, ma anche il più povero di risposte. Se per risposte si intendono formulazioni perentorie e dimostrazioni stringenti. Ciò, del resto, corrisponde alla natura della fede. Soprattutto per quegli aspetti dell’esistenza umana non ancora sperimentati, la fede offre certezze vitali ma non contenuti intellettuali molto circostanziati. La teologia deve saper rispettare questo statuto della fede, giustificarlo nelle sue premesse; ma non può supplire con la fantasia o la proiezione di sensazioni attuali. Giustamente perciò la Congregazione per la dottrina della fede rileva che non « si può adottare un metodo carente o incerto senza mettere in pericolo la fede e la salvezza dei fedeli » (p. 399). Anche da un punto di vista metodologico il libro di Ratzinger è indicativo di una strada che può condurre lontano. Consapevole del valore della tradizione, in particolare di quella biblica, ma pure della insufficienza culturale dei suoi modelli, egli opera costantemente una specie di filtraggio dei dati trasmessi dalle generazioni cristiane dei secoli scorsi per non sottrarre nulla alla fede, ma neppure per non imporre nulla in nome di Dio che sia invece frutto di riflessione o interpretazione umana. « Di questo duplice e difficile dovere ... nella presente situazione così delicata », come si esprime il documento della S. Sede (p. 400), è profondamente consapevole Ratzinger che nell’opera presente si mostra ancora più modesto e attento, se possibile, che in altre sue opere, pur sempre moderate e accorte. La prudenza, e insieme il coraggio, in questo settore della teologia è necessaria più che altrove. Proprio perché « il disagio e l’inquietudine di tante persone » sono notevoli, « il dubbio s’insinua sottilmente e molto in profondo negli spiriti ». Agli interrogativi che spontaneamente sorgono, il credente teme spesso « di dover dare risposta: esiste qualche cosa al di là della morte? Sussiste qualche cosa di noi stessi dopo questa morte? Non sarà il nulla che ci attende? » (p. 400). Così il documento della Congregazione preposta alla dottrina della fede descrive la situazione attuale. Fra le cause di questo disagio essa indica come rilevanti, in parte, le discussioni dei teologi « ampiamente diffuse nell’opinione pubblica, delle quali la maggioranza dei fedeli non è in grado di cogliere né l’oggetto preciso, né la portata. Si sente discutere dell’esistenza dell’anima, del significato della sua sopravvivenza, e ci si domanda quale relazione passi tra la morte del cristiano e la risurrezione universale. Il popolo cristiano è disorientato, perché non ritrova più il suo vocabolario e le sue nozioni familiari » (p. 400). C’è da chiedersi, tuttavia, se la ragione primaria di questa situazione non sia proprio il processo culturale che ha scosso alla radice convinzioni tradizionali e ha reso insignificanti simboli molto comuni, anche in chi non conosce le ipotesi dei teologi. Le discussioni teologiche, almeno su questi argomenti, non hanno carattere teorico né obbediscono a esigenze di raffinate ricerche sul passato. Rispondono a domande concrete e pressanti. Una prova può essere la sensibilità che su questi temi mostra la teologia latinoamericana, che di molte cose può essere accusata, ma non certo di astrattezza o di carente sensibilità pastorale. Lo stesso Dicastero romano sembra convinto di questa esigenza se scrive: « Certamente non si tratta di limitare o, addirittura, di impedire una ricerca teologica, della quale la fede della Chiesa ha bisogno e dalla quale deve poter trarre vantaggio » (p. 400; cfr. anche p. 402) e si limita a chiedere che « studi e ricerche non siano temerariamente divulgati in mezzo ai fedeli » (p. 402). Proprio perché il pericolo di tradire la fede è maggiore, più urgente è il compito della teologia a servizio di tutta la comunità ecclesiale; come pure impellente è il dovere del magistero centrale di richiamare i Vescovi e i teologi a una assidua vigilanza su questi temi, e a una delicata attenzione pastorale.