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ATTENZIONE Per attenzione si intende l’insieme di quei dispositivi e meccanismi cognitivi che permettono di concentrare le proprie risorse mentali su alcune informazioni piuttosto che su altre. L’attenzione ci consente infatti di esplorare attivamente l’ambiente e di focalizzarci soltanto sui fenomeni che ci interessano. Rilevazione degli stimoli Attenzione endogena e attenzione esogena. L’attenzione endogena è avviata dalle nostre esigenze personali, governata da processi mentali dall’alto verso il basso. Essa implica un orientamento volontario verso uno specifico oggetto o evento dell’ambiente. L’attenzione esogena è attivata da uno stimolo esterno e regolata da processi mentali dal basso verso l’alto. Siete a una festa affollata. State chiacchierando animatamente con amici, a un tratto, sentite il rumore di un bicchiere rotto vicino a voi e subito vi girate e guardate cosa è successo, smettendo di parlare (effetto cocktail party). L’attenzione esogena comporta un orientamento automatico dell’attenzione. Attenzione spaziale e attenzione basata sugli oggetti. Attenzione endogena e attenzione esogena sono implicate nell’incessante esplorazione dell’ambiente, finalizzata ad acquisire le informazioni utili a governare al meglio la situazione contingente. Tuttavia, di volta in volta, non indaghiamo l’ambiente nella sua interezza nello stesso momento, ma procediamo a selezionarne, una porzione verso cui dirigere l’attenzione. Nell’attenzione spaziale, di solito, vi è coincidenza tra la direzione dello sguardo e quella dell’attenzione. Tuttavia, possiamo separare questi due processi, infatti possiamo dirigere lo sguardo verso un oggetto nello spazio e orientare l’attenzione verso qualche altra parte (fenomeno della “visione periferica“). In tutti i casi, siamo in grado di rilevare, di volta in volta, ciò che è rilevante per noi. È il bersaglio dell’attenzione, ciò che mettiamo a fuoco in quella data circostanza. Il fuoco dell’attenzione consente di concentrare le risorse attentive su uno specifico stimolo ambientale. Ha dimensioni variabili: a volte è concentrato su dei particolari, altre volte è più esteso; quanto più è ristretta l’area dell’attenzione, tanto maggiore è l’efficienza cognitiva, e viceversa; impiega tempi più lunghi per raggiungere posizioni più lontane. Velocità e accuratezza della rilevazione. Nella rilevazione di uno stimolo fattori importanti riguardano sia il tempo di esecuzione, sia il grado di accuratezza. In generale, la velocità e la precisione nell’individuazione di un bersaglio sono indici rilevanti di efficacia mentale: favoriscono l’orientamento e la rapidità nello svolgimento efficiente dei compiti e promuovono il riconoscimento tempestivo di eventuali errori e l’opportunità di portare le correzioni appropriate. Abbiamo, inoltre, un notevole incremento della velocità e accuratezza della rilevazione degli stimoli in funzione dei nostri interessi. Gli stimoli che rispondono a interessi centrali (primari) sono catturati in modo assai più veloce e preciso rispetto a quelli associati a interessi periferici (secondari). Entrano in gioco conoscenze, credenze, interessi, emozioni, aspettative e scopi che pongono in azione importanti processi dall’alto verso il basso, in grado di influenzare in modo consistente la rilevazione del bersaglio. In particolare, gli stimoli dotati di maggiore rilevanza emotiva (soprattutto quelli delle emozioni negative) “catturano“ assai prima in modo vincolante le risorse attentive rispetto a quelli neutri. La rapidità della rilevazione degli stimoli assume un valore fondamentale in caso di emergenza, poiché per poche frazioni di secondo possiamo salvarci la vita (pensiamo a un incidente automobilistico). In queste situazioni di grave minaccia, entra in azione la via subcorticale dell’amigdala (proiezioni talamo sensoriale-amigdala) che, eludendo la corteccia, consente in modo automatico (preattentivo) di compiere gli opportuni movimenti, pur sulla base di informazioni grossolane. Simons e collaboratori, in una situazione reale, hanno inserito un passante con un elmetto giallo che ferma una donna per chiedere indicazioni stradali , in quel momento tra il passante e la donna passa un‘altra persona che trasporta una porta, il passante viene sostituito con un altro. Ebbene, quale percentuale di persone si accorge della sostituzione del passante? Solo il 50%. È il fenomeno della cecità del cambiamento. Questo fallimento nella rilevazione di stimoli spaziali è da attribuire alla quantità limitata di risorse attentive a nostra disposizione. Siamo inclini a individuare i bersagli salienti e a trascurare ciò che è superfluo. È un problema di economia delle risorse. Nell’accuratezza e velocità entrano in gioco fattori anche apparentemente secondari. Prendiamo questa situazione. Siete posti di fronte a una serie di sei riquadri (tre a sinistra e tre a destra), al cui interno compaiono in modo casuale un quadrato o un rettangolo. Avete il compito di premere un pulsante collocato alla vostra sinistra quando compare il quadrato e uno alla vostra destra quando compare il rettangolo. Ebbene, siete più rapidi e i vostri tempi di reazione sono più brevi quando la posizione dello stimolo e la posizione della risposta coincidono (entrambe a sinistra o a destra) rispetto quando non coincidono (una destra e l’altra a sinistra). È l’effetto Simon (1969). Elaborazione controllata ed elaborazione automatica. Nella rilevazione degli stimoli entrano in funzione processi sia di elaborazione controllata sia di elaborazione automatica. La prima è lenta e consapevole, richiede un notevole impegno e una rilevante partecipazione delle risorse attentive. È accompagnata da errori, non consente di svolgere altri compiti nello stesso tempo. Implica un controllo diretto e continuo su quello che stiamo facendo. La seconda è rapida, non coinvolge la memoria breve termine e non richiede risorse attentive, è sostanzialmente inconsapevole, permette di svolgere più compiti nello stesso tempo. Questa distinzione proposta alla fine degli anni settanta (Shiffrin e Schneider), oggi appare meno netta poiché nessun elaborazione è totalmente automatica. In ogni caso richiede una discreta quota di risorse attentive per la sua esecuzione e qualsiasi operazione automatica può essere ripresa sotto la supervisione volontaria degli individui. Selezione e ricerca degli stimoli In una condizione di vigilanza siamo in grado di discriminare e scegliere ciò che è rilevante in una data occasione rispetto a ciò che ci è indifferente. È l’attività di selezione. Grazie alla selezione, siamo in grado di impiegare al meglio le risorse cognitive e modulare le nostre attività mentali in funzione della richiesta dei compiti da svolgere. L’attività di selezione è stata interpretata facendo riferimento a diverse ipotesi. Selezione come filtro. Secondo Broadbent (1958), data l’enorme cascata di stimoli sensoriali, impossibile da gestire nello stesso momento, l’attenzione funziona come un filtro che seleziona le informazioni rilevanti per l’organismo, eliminando quelle superflue. Subito dopo il registro sensoriale vi sarebbe un collo di bottiglia che lascia passare solo gli stimoli pertinenti in quella data situazione. Gli stimoli ambientali giungerebbero a un magazzino sensoriale di durata molto breve, dove vengono analizzate le loro caratteristiche (forma, colore, grandezza, distanza ecc.). E l’ipotesi della selezione precoce: gli stimoli irrilevanti sono filtrati e scartati, mentre solo i segnali pertinenti sono ammessi all’elaborazione successiva. Tuttavia, tale ipotesi non appare in grado di spiegare l’intero processo di selezione degli stimoli. In una festa affollata e caotica, se sentite il vostro nome pronunciato mentre siete concentrati in una conversazione con amici, vi girate subito per vedere chi vi ha chiamato. Una circostanza analoga si verifica se udite la parola “fuoco!“. Tale effetto non sarebbe possibile secondo l’ipotesi della selezione precoce, per la quale stimoli imprevisti anche quando sono salienti non potrebbero intromettersi nel processo di elaborazione e catturare l’attenzione. Occorre modificare l’ipotesi e parlare di selezione tardiva (Treisman 1969). Treisman modificò la teoria originale di Broadbent e formulò la teoria del filtro attenuato, secondo la quale il filtro attentivo si limita a ridurre, e non a cancellare, l'informazione disponibile nel canale non attentivo, inoltre, in particolari condizioni, anche questa informazione ridotta è sufficiente ad attivare delle unità nel lessico mentale (una sorta di magazzino delle parole conosciute).