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La parola ‘genere’ può essere usata in diversi modi: a livello grammaticale, indica la distinzione tra ‘maschile/femminile’ (ma in alcune lingue, anche il neutro); a livello concettuale è una categoria che raggruppa cose/persone con caratteristiche rilevanti simili e irrilevanti dissimili (si può usare anche per indicare l’‘umano’, senza distinguere uomini/donne); nel dibattito oggi, come traduzione dall’inglese ‘gender’, si riferisce, in modo specifico, ad una dimensione di significato che si contrappone a ‘sex’. Con ‘sex’ si indica la condizione biologica o fisica dell’essere uomo/donna, maschio/femmina (‘come si nasce’): ‘sex’ è costituito da un insieme di componenti, distinguibili in componente genetica, gonadica, ormonale, fenotipica e morfologica (genitali interni ed esterni, caratteri sessuali primari e secondari). Con ‘gender’ si indica la condizione meta-biologica dell’essere uomo/donna, la mascolinità/femminilità (‘come si diviene’)1. Tale categoria è stata teorizzata in modi diversi: dapprima come rappresentazione psicologica, quale introiezione attraverso l’educazione; successivamente come costruzione storico-sociale e antropologico-culturale, quale assunzione di compiti, ruoli, funzioni mediante la socializzazione; infine come creazione/invenzione individuale, ossia libera espressione di istinti, pulsioni, volontà. Tali teorizzazioni delineano un percorso che si allontana sempre più dal determinismo biologico e dall’essenzialismo, che postulano la antecedenza e priorità del ‘sex’ su ‘gender’, ritenendo che il ‘sex’ sia determinato alla nascita in modo statico eLa ‘nurture theory’, elaborata nell’ambito della psicosessuologia, riconosce tra indeterminismo biologico e determinismo ambientale, che il ‘sex’ è indeterminato alla nascita e che il ‘gender’ si acquisisce progressivamente, mediante una cosa significa essere maschio o femmina; tali schemi configurano ‘modelli di comportamento’ che possono essere confermati o eliminati in funzione della ‘approvazione/disapprovazione’ dalla società. Le predisposizioni interne vengono pertanto plasmate mediante l’apprendimento (l’educazione e la socializzazione): i fattori esterni esercitano una ‘spinta’ o ‘pressione’, costituendo una ‘forza’ che imprime una forma al ‘gender’. I segnali esterni hanno efficacia entro un anno e mezzo dalla nascita: eventuali modificazioni successive compromettono l’equilibrio psichico. E’ questa la teorizzazione della plasmabilità e malleabilità del ‘gender’. Money applica la sua teoria al caso di due gemelli di sesso maschile: John, a causa di un incidente operatorio a 18 mesi rimane privo di genitali e si decide la femminilizzazione (Joan), ritenuta tecnicamente più facile, concordando con i genitori un ‘allevamento’ in senso femminile3. Money ha pubblicizzato il ‘caso’ come ‘prova empirica’ della sua teoria. Tale teoria è stata anche applicata ai casi di ‘disordini della differenziazione sessuale’, ritenuto un ‘falso problema’: si tratta di casi risolvibili mediante un intervento chirurgico e ormonale di ‘riassegnazione/attribuzione del sesso”, scelta dal medico (in funzione della praticabilità tecnica) e dai genitori (in funzione delle aspettative e desideri). L’importante è che la decisione sia presa in tempi rapidi, entro i 15/18 mesi fisso, che tra ‘sex’ e ‘gender’ sussista un rapporto di causazione deterministica biunivoca, consentendo la deduzione del ‘gender’ dal ‘sex’ e delineando la corrispondenza sex/gender.