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Che lezioni possono essere apprese dall'architettura modernista, il retaggio di un'era spesso controversa, se oggi la rapportiamo alle aspettative di sostenibilità, alle norme sociali e (per quanto riguarda specificamente l'Europa Centrale e Orientale) alle trasformazioni politiche? Quale futuro avranno questi edifici, i quali rappresentano una parte importante del nostro patrimonio architettonico? Othernity, l'esposizione del padiglione ungherese, offre spunti di riflessione in risposta a queste domande, gettando luce sulle consuetudini della regione. L'ex blocco orientale europeo è caratterizzato da un inconfondibile patrimonio architettonico modernista locale. Questi edifici sono stati costruiti per un'epoca e una società ormai passate, caratterizzate da risorse limitate ma da grandi determinazione e ideali. Questo patrimonio architettonico, invece di essere semplicemente demolito, dovrebbe essere utilizzato quale fondamento per sviluppare un modus operandi responsabile e innovativo utile alla pratica architettonica futura, anche se questo dovesse richiedere un cambiamento nel modo in cui concepiamo i valori, il patrimonio architettonico, e la loro protezione. Abbiamo chiesto a dodici studi emergenti di architettura provenienti dall'Europa Centrale e Orientale di ristrutturare altrettanti edifici modernisti socialisti a Budapest. Quella degli architetti espositori è la prima generazione a non avere né esperienza diretta del socialismo né memoria dei metodi di produzione architettonica di quell'epoca. Al tempo stesso, gli architetti sono cresciuti tra questi edifici, condividendo esperienze e ricordi di questi ambienti socialisti, a prescindere dal fatto che siano originari di Varsavia, Bratislava, Belgrado, Tallinn, Skopje, Zagabria, Cracovia, Bucarest o Praga. Il padiglione ungherese della 17. Mostra Internazionale di Architettura evidenzia sia il valore individuale degli edifici originali sia gli insoliti e innovativi risultati di questa ricerca collaborativa e di questo procedimento di design, che rappresentano un tentativo di offrire un nuovo punto di vista sopra il controverso patrimonio architettonico di un'epoca. Consideriamo questo progetto come un nuovo metodo collaborativo che rivaluta il modo in cui proteggiamo il patrimonio architettonico, oltre che un modello di architettura più sperimentale e una società più percettiva. "How will we live together?", domanda Hashim Sarkis, curatore capo. A questa domanda rispondiamo che vivremo tutti insieme facendo uso di ciò che abbiamo in maniera più consapevole, innovativa ed emotiva: in dodici modi diversi, in effetti.