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Non si poteva esprimere meglio il concetto di realtà simulata. Molti interpretano la realtà come una proiezione del proprio “Io”, ma nel far questo trascurano l'esistenza del “principio antropologico di azione e reazione”, molto simile al III principio della dinamica. Più precisamente, l'Universo reagisce alle attività umane in base a questa legge, secondo cui ad ogni nostra azione corrisponde una reazione proporzionata. Questa reazione può essere benevola o malevola, in base al nostro comportamento. La reazione può manifestarsi su molti livelli, può arrivare con molto ritardo oppure immediatamente. Pertanto non si può tagliar corto e dire che noi proiettiamo su una specie di “tela cosmica” la nostra realtà, perché in tal caso non si capirebbe come si rapportano fra loro le proiezioni di ciascuno di noi, perché il nostro destino sia così lontano dalle nostre aspettative, così imprevedibile e, spesso, deludente. Dirò di più: la realtà sembra guidarci verso un obiettivo luminoso, ma soltanto a prezzo di grandi sacrifici, mentre il prezzo di una vita condotta senza nessuno al timone è costituito da cadute terribili, apparentemente senza speranza. Se di simulazione si tratta, deve esistere un “gestore della simulazione”, che altri non è se non colui che chiamiamo Dio: per alcuni è abbastanza chiaro come questi organizzi le nostre vite e le interazioni con gli altri in modo oculato, cercando di creare occasioni di crescita, ma permettendo al male di tentarci quando non meritiamo di meglio. Ne consegue che la vita è una specie di videogioco dove dobbiamo cercare di non perderci, mantenendo la cosiddetta “fiaccola” sempre accesa, la stessa che ci permette di non smarrirci nei labirinti del male: la fede in Dio. In questo videogioco noi non possiamo trascurare l'aspetto degli insegnamenti tracciati nei libri sacri e promossi dalle organizzazioni religiose. A questo proposito noto una gran confusione in giro. Facciamo qualche esempio: