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Aurigo rise «Sì, e poi ci facciamo le salsicce sul rogo» Ma non avevano fatto i conti con Gedeone, un vecchietto baffuto che abitava proprio sopra il bar. Seduto alla finestra con un binocolo che usava più per spiare i passanti che per guardare gli uccelli, vide tutto. «ALLARME PIROMANI» urlò Gedeone, infilando le ciabatte, afferrando il bastone e scendendo le scale più veloce di quanto avesse fatto negli ultimi ventanni. Con una mano chiamò i carabinieri, con l’altra indicava i due ragazzini in fuga come se fossero evasi da Alcatraz. «FERMATE QUELLI HANNO DATO FUOCO AL BAR E PURE ALLA MIA GIORNATA» Alessandro e Aurigo corsero tra le viuzze del paese ridendo come matti, finché, ansimando, presero la strada di casa. Proprio all’angolo della via, però, si trovarono faccia a faccia con Pippo, il barista. Un omone con le braccia grosse come prosciutti e uno sguardo da interrogatorio della CIA. «Voi due… siete nei guai fino al collo.» Li afferrò per il colletto come due cuccioli sgraziati e li trascinò per tutto il paese. Dietro di loro, Gedeone li seguiva a passo lento, commentando ogni due metri «E una volta qui cera rispetto, mica fuochi d’artificio» I genitori li aspettavano davanti ai cancelli, con le braccia incrociate e lo sguardo che prometteva un’estate senza televisione, senza gelati e — per il dolore di Aurigo — senza accendini. Mentre Pippo raccontava tutto con dovizia di dettagli e aggiungendo un drammatico le fiamme erano alte così, Alessandro sussurrò ad Aurigo «Beh, almeno ora siamo famosi.» Aurigo rispose con un ghigno «Più famosi dei fuochi d’artificio a Ferragosto.»