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Rembrandt<break strength="x-strong"/> Abramo ed Isacco, 1645<break strength="x-strong"/> Acquaforte e bulino millimetri 157 per 130<break strength="x-strong"/> Stato unico<break strength="x-strong"/> Pittore straordinario e “stravagantissimo”, Rembrandt fu autore di centinaia di stampe che riscossero subito un grande successo e impressero una svolta decisiva nello sviluppo della grafica. Alla stampa d’arte Rembrandt si accosta intorno al 1626 con una serie di acqueforti ispirate alla Vita di Cristo, a cui faranno seguito, pochi anni dopo, una lunga serie di ritratti ed autoritratti, saltuariamente intervallati da storie tratte dalla Bibbia o dalla mitologia. Verso la fine degli anni Trenta Rembrandt si immerge sempre più nel mondo delle Sacre Scritture e realizza opere che rispondono al suo bisogno interiore di interrogarsi sul destino e sulla salvezza. Si delinea un dichiarato interesse per una lettura maggiormente introspettiva dei suoi personaggi in cui la composizione, talvolta, si riduce a due soli protagonisti: Abramo accarezza e Isacco (1638), Cristo e la samaritana (1640). In Abramo ed Isacco, datata 1645, Rembrandt sceglie di rappresentare il momento del dialogo (doloroso) tra padre e figlio, che prelude all’estremo sacrificio del giovane. L’artista olandese abolisce ogni inserto paesaggistico. Ai grandi fondali scenici dei suoi contemporanei, preferisce un’ambientazione più intima. Abramo china leggermente il capo, poggia la mano destra sul petto del figlio in segno di fedeltà e sottomissione al Signore, con l’altra indica il cielo e si fa obbediente interprete della imperscrutabile volontà divina; Isacco ascolta fiducioso le parole del padre e reca con sé la fascina per il sacrificio dell’agnello sul monte Moria. Quello a cui Rembrandt ci fa assistere è un dramma in nuce, parzialmente suggerito dal coltello indossato da Abramo e dalla legna portata dal ragazzo. È un dramma all’insegna dell’inconsapevolezza: Abramo non sa che un angelo inviato dal Signore impedirà la morte del figlio, così come Isacco è ignaro di essere oggetto del sacrificio. Nell’intimo colloquio tra padre e figlio, Rembrandt mette in scena la coscienza di fede assoluta e di speranza che Abramo e Isacco nutrono in Dio. Un Dio “che provvede” – impedendo la morte del giovane – e suggella il patto con l’umanità benedicendo Abramo, la sua discendenza e “tutte le nazioni della terra”.