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Questi tre cancelli delimitano il confine fra terre pubbliche e private di Orgòsolo. Il cancello centrale permette di accedere a un passaggio usato per la transumanza. Si apre il cancello centrale e si richiude, e così ognuno prosegue nel luogo preposto.” Questo tragitto porta a nord, verso Sassari, e a sud-est, verso Arbatax e l’Ogliastra. Anticamente veniva usato dai pastori e ,, dai contadini ,, ed era molto famoso anche tra gli abigeatari. Appena attraversavano questo cancello, entravano nel territorio comunale, perciò era difficile che i padroni riuscissero a ritrovare le loro bestie rubate. Questa zona viene chiamata ‘Fontana fredda’. ,, Più avanti vi è ‘S’Al’opasa‘ che rientra in paese, e noi continuiamo a seguire la transumanza a ‘Co’orvore‘ Le mie pecore, quando si trovano nel territorio comunale, ,, percorrono dieci chilometri al giorno. Memorizzano i posti. A una certa ora sono in un determinato posto, all’ora della mungitura si fanno trovare già pronte. Hanno il passo delle femmine del muflone. Sembra che abbiano un pilota automatico: vanno e ritornano, e non mi creano nessun problema. Ora, come entrano nel terreno privato, potrebbero sconfinare nella vigna e negli orti vicini. E poi c’è anche il problema degli incendi, per cui è necessario stare in allerta. Invece, nelle terre pubbliche non abbiamo il problema degli incendi, perché c’è tanto bestiame che pascola il terreno e mangia l’erba, quindi l’incendio non si propaga. Proporrei una legge per far pascolare il bestiame nei terreni incolti, ricchi di foraggio. Ci sono tanti animali che hanno poco pascolo. Portandoli in quei terreni li terrebbero naturalmente puliti. “E allora se è incastrata la metti in tasca!” MARIO: “Ti dicevo, Michè, il vigneto l’ha piantato tuo padre ormai defunto, ma non aveva la struttura che ha adesso.” MICHELE: “No, era un vigneto in pendenza.” MARIO: “Sarà stato inclinato.” MICHELE: “Sì, era completamente in pendenza e richiedeva molto lavoro.” MARIO: “In passato si piantavano così.” MICHELE: “Certo!” MARIO:: “Venivano sicuramente arati con i buoi. E poi?” MICHELE: “E poi niente! Abbiamo deciso di estirpare il vecchio vigneto per ,, comodità e abbiamo fatto il terreno a terrazzamenti. Ci sono circa 1100 piante di vite.” MARIO: “Ci sono più piante di vite ora o in passato?” MICHELE: “Prima." EGIDIO: "Un mio zio è stato capraro per tutta la vita, e vedeva le cose solo dal punto di vista del pascolo. Non concepiva il vigneto, perché riteneva fosse un lavoro da schiavi. Lui diceva che il lavoro ideale era quello del capraro, perché era un lavoro salutare. E infatti, è morto a 97 anni. Magari non prendeva tutto questo sole che c’è oggi…” FRANCO: “Beh, avete ancora tanto da fare?” MARIO: “Se vuoi ti abbiamo lasciato le forbici da qualche parte, prendi una cassetta...” FRANCO: “A me piace il vino, non la vendemmia!” MICHELE: “In passato si coltivavano i vigneti per consumare il prodotto in famiglia, ,, e non si pensava a un commercio. ,, Invece, ora si hanno grandi vigneti ,, e si ha meno lavoro da fare.” MARIO: “Però, Miche, un bel vigneto come questo dà anche soddisfazione!” MICHELE: “Sì, se è una buona annata, c’è una resa, ma purtroppo, i tempi sono sfavorevoli.” MARIO: “Lo sai che viviamo in Sardegna, ‘è come fare un terno a lotto’. Poi c’è da fare anche un’altra considerazione: in passato non c’erano gli strumenti attuali. Per esempio, ora quando qualcuno deve andare a vendemmiare, sentiamo dire: “Ho controllato la zuccherina…”, “Ho controllato questo”. In passato invece, non controllavano la zuccherina, e nonostante tutto vendemmiavano nel momento giusto e facevano ugualmente un buon vino.” MICHELE: “Ora vengono prodotti dei vini cattivi!” “Nonostante i controlli e tutti gli studi che fanno per fare un buon vino.” MARIO: “Hai visto?” MICHELE: “E poi è inutile, un bicchiere di vino di questo posto è naturale!” Avevo dieci, undici anni, comunque andammo alla candelarìa e racimolammo un po’ di soldi, e Chicco disse: ‘Cosa facciamo ora?’ ‘Io mi compro questo, io quello.’ Io dissi: ‘Mi compro una bicicletta’. Partimmo di nascosto con il pullman a Nuoro. Avevo dieci anni, andammo al negozio, comprammo la bicicletta e tornammo alla stazione. Mettemmo la bicicletta nel vano bagagli del pullman e ritornammo in paese. Mia mamma vide la bici nuova e mi chiese: ‘E questa bicicletta dove l’hai trovata?’ E io ‘L’ho comprata!’ ‘Dove ’hai comprata?’ ‘Eh! A Nuoro!’ ‘E chi è andato a comprarla?’ ‘È andata una persona adulta…’, e comunque aveva scoperto che eravamo andati da soli e mi aveva picchiato!” I bambini girano per le case. Le sacche bianche sono sempre più piene. “Quando eravamo molto piccoli, andavamo nelle case e dicevamo ‘ci date la candelarìa?’ E queste donne ci davano sempre il pane, qualche arancio, biscotti e un po’ di soldi. Poi quando siamo cresciuti, piano piano, abbiamo iniziato a fare i cenoni con gli amici. Avevamo quindici, sedici anni, avevamo un gruppetto e la sera uscivamo a cantare agli sposi. E questo mi è sempre piaciuto, fin da piccolo, infatti dicevo tra me e me: ‘Se un giorno dovessi sposarmi, voglio assolutamente aprire la casa.’ Perché ti sposi una sola volta nella vita, è una bella cosa e secondo me, è un giorno che ti ricorderai per sempre, perché stai aprendo le porte di casa a tutto il paese! Forse è l’unica occasione che hai nella vita per accogliere tutte queste persone nella tua casa. Ed è bellissimo!” “Qui ci sono operai, pastori, ci sono imprenditori turistici, ci sono dottori. Per ogni giorno della caccia, ci mettiamo d’accordo e c’è un turno di cinque, sei persone che organizzano la cena, cucinano, preparano, puliscono e fanno tutto ciò che è necessario. Quindi, che sia dottore o pastore non c’è differenza, qui siamo tutti uguali. Per quanto riguarda la giornata odierna, abbiamo preso solo due cinghiali, ma ci accontentiamo ugualmente. Quando c’è il necessario per fare una cena, siamo più o meno tutti contenti.” “Però Giovà, per la tua disattenzione ne hai lasciati due, a Paolo e a Francesco, anche i cani li hanno spinti verso di loro…” “Abbiamo un territorio molto grande ,, e cerchiamo di scegliere le aree più ricche di cinghiali. Poi, come oggi, pensavamo che ci fossero più cinghiali, e di venti ne abbiamo presi otto o dieci durante tutta la giornata. ,, Però, è andata bene lo stesso. ,, Non è quello il problema, l’importante è rimanere uniti, e passare bene la giornata, divertirci, lo scopo è di socializzare e rimanere tutti insieme.” Il Supramonte orgolese è un patrimonio umanitario, è di tutti, non è solo nostro! ,, Il Supramonte di Orgòsolo è un paradiso terrestre. Ogni anno d’estate, ,, luglio, agosto, settembre, facciamo il turno per l’antincendio. Due cacciatori al giorno vanno a fare le vedette nelle zone non presidiate dal personale dell’Ente Foreste, dagli addetti antincendio. E questo lo facciamo ogni anno. Abbiamo chiesto qualche volta un contributo, e ricordo che ci hanno dato qualcosa per uno o due anni. Diversamente facciamo noi, ci quotiamo a spese nostre e copriamo quei tre mesi.” “In questo luogo è necessario che uno nasca capraro o anche pecoraro. Qui è necessario che sappia fin dalla nascita il tipo di lavoro che dovrà fare. Innanzitutto, doveva conoscere gli astri, doveva conoscere la meteorologia. Non era così facile prendere una persona qualsiasi del paese e portarla qua: il freddo o una nevicata potevano ammazzarla! Dovevano conoscere i venti, le fasi lunari, dovevano conoscere le stelle: era un’università! Non si poteva improvvisare, oggi per domani: se aveva queste capacità poteva sopravvivere e campare, altrimenti, la stessa natura lo avrebbe bloccato: ‘Tu non sei di questo luogo, vai, rientra in paese. Non sei portato per stare qua!’”. “Non rientravano a casa anche per venti giorni, a volte anche un mese: non sempre riuscivano a rientrare. Ritornavano più spesso in autunno: a… ottobre o a… settembre avevano più tempo per rientrare in paese. Però, quando il bestiame iniziava a partorire… in inverno, non si poteva tornare ogni giorno. Mangime non ce n’era e il bestiame andava accudito. Era necessario tagliare le frasche che si trovavano, per alimentare il bestiame mattina e sera. Non c’era tempo di rientrare in paese. Qui l’acqua scarseggiava, non ce n’era…” “Era un sacrificio grande.” “Era un sacrificio anche per l’acqua: più era grande il pascolo, più richiedeva acqua. Oggi una persona tremerebbe solo all’idea di fare quella vita: non ne sopravvivrebbe neanche una! C’era questo signore, Mauro Sio, che raccontava che erano stati fatti prigionieri dai tedeschi nei campi di concentramento. Lui non era morto, era sopravvissuto ai campi di concentramento, perché il campo di concentramento… / L’aveva già fatto qui in gioventù!” I due uomini passeggiano nel bosco. Quando ha girato il film, Vittorio De Seta si è preso un gruppo di scalmanati per girare le scene. Non avevano nessuna conoscenza della nostra cultura, avevano solo la conoscenza del bar. Quando arrivarono a Monte Fumai, c’era un buco in un tronco, presero una fascina di legna e la buttarono là dentro. Quando hanno fatto il primo girato del documentario, le prime riprese fatte da De Seta, le proiettarono nel salone parrocchiale per avere un parere, per capire se andasse bene o no. Ed è capitato lì per caso zio Narzisi Muzzi nel salone parrocchiale. Ha visto le immagini e subito ha detto a Don Sanna: ‘Presto, chiama subito quel De Seta’. ,, In fretta, De Seta arrivò e chiese: ‘Cosa c’è, parroco?’. ‘È venuto da me un pastore orgolese che abita in Supramonte, dicendomi che non è un modo di fare degli orgolesi quello di bruciare la quercia, quindi, cancellate tutto!’ E De Seta disse: ‘Se l’ha detto un pastore che è anziano e vive in quel luogo, è giusto e lo cancello.’ E l’ha tagliato. Perché non faceva parte della nostra cultura dare fuoco alle querce.”