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2. Il bilanciamento fra libertà di espressione e libertà religiosa: la Costituzione italiana ha consacrato la libertà di manifestazione del pensiero nell’art. 21, ponendo come unico limite esplicito la non contrarietà al buon costume, inteso come pudore sessuale. La Corte costituzionale ha però individuato un limite implicito, il rispetto di altri beni e interessi costituzionalmente rilevanti: tra questi interessi rientra certamente il diritto di libertà religiosa tutelato dall’art. 19 Cost. La libertà di espressione trova fondamento anche nelle norme internazionali: in particolare nell’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e nell’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Analizziamo ora il modello italiano di tutela penale del sentimento religioso. Bestemmia e vilipendio: nel codice penale Zanardelli (1889), ispirato al principio di incompetenza dello Stato in materia religiosa e di pari protezione della libertà religiosa di tutti i cittadini, si prevedeva un insieme di delitti contro la libertà dei culti, che si caratterizzava per avere quale oggetto di tutela non una determinata religione, ma la liberà del singolo di professione ed esercizio di qualsiasi fede tra quelle ammesse nello Stato. Con il passaggio al regime fascista, la religione non viene più considerata come una questione di libertà, ma come un’istituzione necessaria per la vita dello Stato: il codice penale Rocco (1930) prevede una serie di fattispecie criminose rivolte a sanzionare le offese non alla libertà religiosa del singolo, ma al sentimento religioso dell’individuo e della collettività, tutelando quindi non solo le manifestazioni esteriori, ma anche la religione in sé e per sé. Rileva quindi non la libertà del singolo, ma la religione in quanto bene di rilevanza pubblica: ne consegue una diversità di trattamento tra la fede cattolica e gli altri culti. L’entrata in vigore della Costituzione repubblicana solleva il problema della compatibilità di questa normativa con i nuovi principi di 42 lOMoAR cPSD|4459911 libertà religiosa e di manifestazione del pensiero, che presuppongono uguale libertà dei culti dinanzi alla legge. la dottrina concorda nel ritenere che il richiamo costituzionale ai patti lateranensi (nei quali si afferma che la religione cattolica è religione di Stato) non deve essere inteso come perdurante confessionalità dello Stato italiano. La Corte costituzionale conferma la compatibilità della normativa rispetto agli artt.7 e 8 Cost. Essa tuttavia non giustifica la legittimità della normativa sulla base di un principio di religione di Stato, bensì sulla base del fatto che il bene giuridico tutelato è il sentimento religioso, considerato come interesse della collettività: questo implica necessariamente una differenziazione del trattamento riservato alla religione cattolica rispetto alle altre confessioni, dato il preponderante valore sociale che essa riveste nel nostro Stato. Tale trattamento differenziato non contrasta con gli artt.7 e 8 Cost. in quanto questi stabiliscono la eguale libertà, ma non l’identità tra le confessioni religiose. La Corte si preoccupa di circoscrivere le limitazioni alla libertà di manifestazione del pensiero entro confini precisi. Il vilipendio non si confonde con la discussione sui temi religiosi, né con la critica e la confutazione, né con l’espressione di radicale dissenso a valori religiosi: è considerato vilipendio lo scherno e l’offesa fini a se stessi che costituiscono oltraggio ai valori etici di cui si sostanzia il fenomeno religioso. La Corte in tema di bestemmia, pur continuando a non ritenere illegittima la differenza tra culto cattolico e altri culti, ritiene che, in attuazione del principio di libertà di religione,il legislatore debba provvedere ad estendere la tutela penale contro le offese del sentimento religioso di individui appartenenti a confessioni diverse da quella cattolica. La perdurante inerzia del legislatore induce però la Corte a censurare il complesso normativo in materia penale dei culti, con la sentenza n.440/1995, in quanto incompatibile con gli artt.3 e 8 Cost. (divieto di discriminazioni per religione e uguale libertà di tutti culti). La Corte tuttavia precisa che tale incostituzionalità è circoscritta alla sola parte nella quale esso comporta effettivamente una lesione del principio di uguaglianza. Infine, con la legge 85/2006 di riforma del codice penale in materia di reati di opinione, la materia è stata ridisegnata: vengono abrogati gli artt.402 e 406, mentre le fattispecie previste dagli artt. 403, 404 e 405 sono formulate in riferimento alle offese commesse contro qualsiasi confessione religiosa. Vilipendio e satira: la satira è rivolta a dissacrare e mettere in ridicolo il proprio oggetto, e si avvicina dunque idealmente alle tipologie di condotta individuate dalla giurisprudenza costituzionale quale ipotesi di vilipendio religioso. Se si qualifica la satira su temi religiosi come vilipendio, ciò equivale a proibire una determinata forma di manifestazione del pensiero,creando quindi una limitazione rischiosa alla fondamentale libertà di espressione. Viceversa, ove non si riconoscano limiti alle manifestazioni di pensiero, si rischia di suscitare profonde tensioni sociali. La giurisprudenza italiana riconosce il diritto di satira:il nucleo essenziale della satira viene individuato nella “ critica corrosiva e spesso impietosa basata su una rappresentazione che enfatizza e deforma la realtà per provocare il riso”. La satira prende spunto dal vero, ma ne costituisce una grossolana alterazione; essa svolge una funzione di critica quanto, esprimendosi in vignette o caricature, viene accostata a una cronaca o a un commento, ma può essere volta anche solo a suscitare l’ilarità, senza ulteriori fini educativi o espressivi di un giudizio di valore. La satira non è soggetta al limite della verità oggettiva, anche se la rappresentazione surreale della satira non può astrarsi dalla realtà dei fatti fino a fare attribuzioni non vere: nei casi in cui essa venga impiegata per alludere in maniera gratuita e infondata a fatti inesistenti, essa diviene a sua volta illecita. Limiti tradizionalmente apposti al diritto di satira sono la notorietà del soggetto preso di mira e la rilevanza pubblica della situazione cui si riferisce il messaggio umoristico. Ci si pone l’interogativo se alla satira di contenuto religioso possa assegnarsi un limite ulteriore derivante dal rispetto della libertà religiosa della “vittima”: il giudice italiano, quando si è confrontato con il problema di qualificare vignetta satiriche a contenuto religioso come fattispecie di vilipendio, ha manifestato un’ampia tolleranza, escludendo le ipotesi di vilipendio se essa è in grado di veicolare una critica costruttiva o se manchi l’intenzione di manifestare disprezzo nei confronti di una confessione religiosa. Discriminazione e odi religiosi: il legislatore italiano ha cominciato a orientarsi verso la tutela diretta della dignità umana delle persone con convinzioni religiose. Con la ratifica e lì esecuzione della Convenzione di New York sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, sono stati introdotti i reati di istigazione a commettere o commissione di atti di discriminazione, violenza o provocazione alla violenza per motivi religiosi,nonché la costituzione o la partecipazione all’attività di organizzazioni aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi religiosi. L’ordinamento italiano utilizza anche strumenti giuridici di carattere extrapenale,nell’ambito della disciplina delle comunicazioni radiotelevisive e pubblicitarie. Il compito di prevenire e reprimere eventuali offese è affidato all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: nell’esercizio di tale funzione l’Autorità diffida gli interessati a cessare dal comportamento illegittimo ed impone la rettifica, in mancanza può irrogare una sanzione pecuniaria. Il modello europeo di tutela del sentimento religioso è espresso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: nel leading case sulla materia, concernente la legittimità del divieto di proiezione e della confisca di un film a contenuto blasfemo, la Corte europea ha enunciato il principio per cui la libertà di espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica e come tale vale non solo per le informazioni e le idee considerate inoffensive o indifferenti, ma anche per quelle che urtano, scioccano o preoccupano. Allo stesso tempo, la Corte ha riconosciuto l’esistenza di un nesso tra la protezione del sentimento religioso dei credenti e il pacifico godimento del loro diritto di libertà religiosa: il criterio del bilanciamento viene individuato nel carattere non gratuitamente offensivo delle espressioni impiegate e nella loro capacità a contribuire a un dibattito pubblico capace di favorire il progresso nelle questioni del genere umano. Il giudice di Strasburgo rimette tale valutazione all’apprezzamento delle autorità nazionali pur ribadendo l’esercizio di un controllo da parte della Corte. Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che le autorità statali avessero legittimamente agito per proteggere la pace religiosa. In relazione ai conflitti tra libertà di espressione e libertà religiosa la giurisprudenza di Strasburgo sembra comunque orientarsi verso la limitazione del ricorso allo strumento penale di tutela del sentimento religioso nei soli casi in cui le opinioni manifestate raggiungano un livello tale di insulto da potersi qualificare come atti di intolleranza, idonei ad incidere sul diritto di libertà religiosa e sulla pacifica convivenza dei diversi gruppi.