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Luigi Ghirri è uno dei grandi maestri della fotografia italiana. Nella sua opera ha usato la fotografia come mezzo per mettere in discussione la realtà, attraverso immagini che fanno riflettere, sulla differenza tra ciò che vediamo, ciò che rappresentano e il loro significato. Luigi Ghirri nasce il 5 gennaio 1943 a Fellegara, una frazione di Scandiano, in Emilia Romagna. Nel 1946 la famiglia Ghirri si trasferisce a Braida di Sassuolo, dove trova alloggio nella sede estiva del collegio San Carlo dei Gesuiti di Modena, adibito ad abitazione per le famiglie sfollate dai centri urbani a causa della guerra. L’atmosfera della provincia emiliana, il clima di ripresa e fermento culturale del dopoguerra italiano segna profondamente l’adolescenza di Ghirri. Alla fine degli anni Cinquanta trasloca con la famiglia a Modena. Qui intraprende gli studi tecnici per diventare geometra. Contemporaneamente nasce nel fotografo italiano una fervente passione per la fotografia. Si diploma come geometra nel 1962 e lavora presso l’ufficio tecnico a Modena. La fotografia da semplice passione, cresce esponenzialmente. Nel 1969 Luigi Ghirri conosce per motivi di lavoro Franco Guerzoni. Nasce un sodalizio fatto di lunghe serate trascorse a parlare e a discutere d’arte. Attraverso Guerzoni, Ghirri entra in contatto anche con altri artisti che operano a Modena, nell’ambito delle tendenze concettuali e dell’Arte Povera, come Carlo Cremaschi, Giuliano della Casa, Claudio Parmiggiani e Franco Vaccari. Da questi incontri nasce una collaborazione e Ghirri realizza fotografie che documentano le loro performance. Nel dicembre del 1972 espone per la prima volta, con una personale dal titolo Fotografie 1970-1971, nella hall del Canalgrande Hotel di Modena. Nel 1974 Lanfranco Colombo lo invita ad esporre Paesaggi di cartone alla Galleria il Diaframma a Milano. Abbandona l’attività di geometra e apre uno studio di grafica con Paola Borgonzoni, Margherita Benassi e Carlo Nascimbeni. Nell’ottobre del 1975 è invitato alla mostra Art as Photography – Photography as art a Kassel. “Time-Life” gli dedica un portfolio di otto pagine su “Time-Life Photography year” e lo designa come Discovery dell’anno. Nel 1977 fonda la casa editrice “Punto e virgola”, specializzata in fotografia, con Paola Borgonzoni, il fotografo Giovanni Chiaramonte, Ernesto Tuliozi, Ornella Corradini e Susetta Sirotti. Nel 1979 è invitato da Arturo Carlo Quintavalle e da Massimo Mussini a progettare una personale presso la sede espositiva dell’Università di Parma. Nello stesso anno espone in diversi luoghi d’Europa. Al Festival di Arles gli incontra Charles Traub, il direttore della Light Gallery di New York che lo invita ad organizzare una personale. Nel 1979 CSAC gli dedica un’ampia rassegna che antologizza tutta l’opera precedente. Collabora e stringe amicizia con scrittori e musicisti (tra cui Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni, Antonio Tabucchi, Lucio Dalla) ed organizza imprese collettive, coinvolgendo altri fotografi attivi sugli stessi temi, di descrizione del paesaggio italiano, tra cui vanno ricordati Viaggio in Italia (1984) e Esplorazioni sulla Via Emilia(1986). Parallelamente inizia anche l’attività di docenza. La più importante è certamente quella presso l’Università del Progetto, scuola di design a Reggio Emilia. Il progetto di Viaggio in Italia, ideato da Ghirri e curato oltre che da lui stesso da Gianni Leone ed Enzo Velati, è una pietra miliare per la fotografia italiana, costituendo un manifesto non ufficiale della scuola di paesaggio italiana nata in quegli anni. Si tratta di un libro e di una mostra itinerante che raccoglieva immagini di molti autori sia italiani che, in misura minore, stranieri. Muore improvvisamente nel 1992, all’età di 49 anni, a causa di un infarto. Ci lascia un corpo di immagini profonde, a volte ironiche, capaci di emozionare e una profonda riflessione sul linguaggio fotografico. Le immagini di Luigi Ghiri sembrano fuori dal tempo. La periferia diventa un luogo mitico dove ritrovare la propria memoria, un luogo-non luogo, simbolo del vuoto del paesaggio. Il fotografo italiano attraverso le sue fotografie compie una riflessione sull’ambiguità delle strutture dell’immagine, alla ricerca di una visione che sia la prosecuzione di uno sguardo interiore. Gli spazi che descrive Luigi Ghirri, hanno forme e colori diversi, e tuttavia sembrano uguali in tutti i luoghi. Sono spazi vuoti, entro i quali vive la possibilità della realtà rappresentativa. Paesaggi sospesi, non realistici, per certi versi metafisici, spesso privi di figure umane, ma dove resta ben visibile il passaggio dell’uomo. L’uso della sovraesposizione, i colori delicati pastello, il minimalismo narrativo e il linguaggio concettuale sono tratti caratteristici della sua opera. Un perenne immutabile, che trattiene la tensione e il desiderio che qualcosa accada. Lontano dalla spettacolarizzazione, la fotografia di Ghiri ricerca l’intimità. Il suo paesaggio è povero, apparentemente asciutto e scarno. Ma l’opera intera dell’artista emiliano suggerisce che al di là di quello che può accadere, ogni luogo del mondo contiene sempre la possibilità di una nuova prospettiva del guardare. Una fotografare “lentamente”, il totale contrario della fotografia usa e getta a cui siamo abituati nel web. Uno sguardo semplice e minimalista, chi si arricchisce continuamente di richiami concettuali. In uno scatto dell’ultima serie che ci lascia Luigi Ghiri, appare una persona, di spalle, che si allontana in una strada di campagna avvolta dalla nebbia. Un’immagine premonitora che rimanda a spiragli metafisici sul destino dell’essere umano.