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Benvenuti nel podcast dell'inciampo del carapace, che vi propone una narrazione alternativa e meno edulcorata del movimento dei focolari e di Chiara Lubich, mettendone in risalto le criticità, gli errori commessi e tutte quelle storture che negli anni hanno fatto soffrire tanti. In questa puntata parleremo di un momento della storia del movimento dei focolari in cui si tentò di cambiare la rotta e provare a non andare a sbattere contro un muro. In alcuni momenti della storia del movimento dei focolari, il ramo maschile in maniera preponderante, in vari modi e a più riprese ha provato ad emanciparsi, a diventare adulto, proporre dei distinguo e confrontarsi con una serie di problemi gravi, chiamando in causa Chiara e le gerarchie della sua opera. Puntualmente questi tentativi si sono poi trasformati in un ennesima emorragia di vocazioni e uscite dal focolare. Uno di questi episodi é il famoso "rinnovamento". La parola descriverebbe di cosa si tratta se non fosse che l'oggetto stesso del rinnovamento era il "nuovo" che sarebbe dovuto essere il focolare, rispetto al vecchio della tradizione della Chiesa: quindi "rinnovare il nuovo". Cosa mai sarebbe potuto andare storto? Chiara era ossessionata dalla parola "nuovo" perché si era convinta che il suo carisma avrebbe dovuto rinnovare tutto e tutti, umanità e Chiesa. Per cui non é infrequente trovare nel linguaggio e nella fenomenologia focolarina il costante ripetersi dell'aggettivo nuovo, usato anche nella forma del superlativo e comunque in maniera inflazionata. La nuova unità, la nuovissima unità, nuova umanità, città nuova, generazione nuove (gen), ecc... Il "rinnovamento" é stato quindi quel tentativo di rendere più sopportabile la vita di focolare cercando di smussarne l'impostazione gerarchica e favore di più collegialità. Chiara vi venne quasi costretta da una valanga di lettere grondanti disagio, sofferenze, soprusi, abusi morali e spirituali di ogni tipo, soprattutto a causa di un autoritarismo soffocante. I focolari erano gerarchicamente strutturati in maniera che fosse sempre l'autorità dei capizona e dei capifocolari a decidere. L'iniziativa personale non era ben vista e doveva comunque sempre “morire” a favore del volere di chi era il responsabile, diretta emanazione di Chiara e quindi del volere di Dio in terra. Chiara rispose ad alcune delle tante domande arrivate dai quattro punti cardinali e propose appunto un "rinnovamento" della prassi di vita nei focolari, ma senza intaccarne la struttura che rimase comunque matriarcale e gerarchica. Credo si possa affermare che i focolarini, in seguito al "rinnovamento" abbiano vissuto una sorta di complesso di Edipo collettivo sfociato poi nella rimozione del “padre”, ossia nel rifiuto di qualsiasi tipo di autorità. Con tutto quello che ne consegue. Non di rado, infatti, capita nei focolari maschili di imbattersi in una convivenza di mondi separati, a sé stanti. Ciascuno con i suoi giri, le sue risorse, i suoi orari, il suo "orticello privato". Insomma l'esatto contrario della vita di comunità. Fenomeno che conferma l'estrema difficoltà cui si va incontro quando si creano convivenze tra persone che non si scelgono. Mi ricordo che in un focolare dove ho vissuto per un certo tempo, i focolarini uscivano di casa senza nemmeno salutare. Si sentiva la porta sbattere e basta. Mio padre mi aveva insegnato che é buona creanza, prima di uscire, salutare, dire dove si va e a che ora suppergiù si pensa di tornare: "Non é un albergo questa casa!". Memore di questo adagio paterno, rincorrevo i focolarini sulle scale e li sottoponevo al terzo grado. Ci é voluto un po' di tempo ma questa brutta abitudine riuscii a correggerla. Un sottogruppo poi di questi focolarini, "i battitori liberi", come li chiamava uno dei responsabili contrario al "rinnovamento", sono quelli impegnati, dediti a cambiare il mondo a suon di conferenze, libri, pubblicazioni, presenza su social, perennemente in viaggio o sopra un palco, mai paghi di applausi compiacenti, ma rarissimamente con lo scopino del bagno in mano per pulire i sanitari, incombenza cui rinunciano volentieri a favore dei poveri focolarini "normali", quelli che invece devono cucinare, fare la spesa, tenere pulita la casa, ecc... Mi ricordo che don Gino Rocca, ormai praticamente non vedente, ogni sera dopo cena lavava i piatti nel suo focolare. Si era trovato un modo di passargli i piatti sporchi sulla destra, che lui puliva nel lavandino e riponeva con cura alla sua sinistra. Mi ha sempre commosso vederlo intento in questo suo compito. La forza e l'autorevolezza delle sue parole si fondavano anche su questo suo servizio umile e silenzioso. Le focolarine, invece, sino ad oggi, fatte salve rare eccezioni, non hanno saputo conoscere e affrontare il “rinnovamento”. Lo hanno snobbato ritenendosi superiori ai focolarini che, a dir loro, non avrebbero "fatto unità" a Chiara permettendosi di darle dei dispiaceri. Per loro ha giocato un ruolo determinante il fatto che Chiara fosse donna, quindi l'identificazione con la fondatrice è stata più semplice. Alcune fra le capo zona e le capo focolari si sono sovente sentite un'altra “Chiara” e hanno vissuto di conseguenza imitandone modi di fare, nevrosi, linguaggio, abbigliamento ecc... Un senso di superiorità nei confronti dei colleghi del ramo maschile é stato storicamente sempre un problema e l'impostazione matriarcale del movimento si é accentuata proprio in questa frattura tra focolarine e focolarini. Però Chiara stessa, rendendosi conto della troppa enfasi sulla sua figura, tentò di dare una svolta con lo slogan “... chi mi perde è un'altra me”. Credo siano le parole che le focolarine abbiano dimenticato più alla svelta e se potessero le cancellerebbero. Sono state incapaci di “perderla” costringendola allo sfinimento delle forze. Chiara non era infatti più in grado, negli ultimi anni, di fare da presidente di un mostro macrocefalo di tali dimensioni, avrebbe voluto e potuto ritirarsi per insegnare alle nuove generazioni come andare avanti. Le focolarine sin dall'inizio si sono inspiegabilmente strutturate in maniera troppo militare e rigida. Contrariamente ai colleghi maschi, salvo poche eccezioni, non hanno messo in discussione la gerarchia ma l'hanno portata al parossismo, tanto che a leggere le testimonianze delle focolarine che hanno lasciato il movimento, si resta basiti e increduli per la ferocia, talvolta, dei trattamenti subiti. Questo comportamento, che fatico a capire, mi ha fatto ricordare una teoria sociologica: l'ordine di beccata meglio conosciuto in lingua inglese come "peckin order". Sarebbe davvero interessante approfondire questo argomento. Questa doppia vita caratterizzata da tanti sorrisi e premure all'esterno e invece così tanta rigidità, talvolta soprusi e violenze psicologiche all'interno, resta davvero inspiegabile. Aveva forse ragione Pascal che diceva che "chi vuol fare l'angelo, finisce per fare la bestia". Le focolarine si sono chiuse a qualsiasi tentativo di cambiamento in nome della fedeltà al carisma ma con la paura di cambiare, di crescere, di evolversi. Effetto di questa rigidità è stato l'errore del “non toccare il bambino” riferito al movimento che Chiara ha consegnato alle future generazioni. Ma il bambino va toccato eccome. Va lavato, nutrito, vestito, coccolato, gli si deve insegnare a crescere, svilupparsi e diventare indipendente. Non si può nemmeno pensare di proporre dei cambiamenti perché tutto deve restare come era, in una immobilità farisaica cristallizzata dagli statuti, dove l'uomo é fatto per il sabato e non viceversa. E fa sorridere che una realtà che si definisca "movimento" soffra invece di una tale stasi granitica. Eppure proprio la sua storia dovrebbe insegnare che le strutture sono sempre nate dalla vita. Chiara ha sempre fatto posto a tutti, ha sempre avuto una vocazione per tutti, anche là dove vocazioni non c'erano e la Chiesa ancora non le prevedeva. Certo poi ha esagerato anche lei e la cosa le è sfuggita decisamente di mano, basti pensare ai focolarini sposati. Ma questo é un altro tema che svilupperò in seguito. Un bambino “non toccato”, costretto a crescere in vestiti che non gli stanno più, denutrito, incapace di maturare secondo lo spirito dei tempi, ecc… Ecco che senza accorgersene si è arrivati al ridicolo, al grottesco. E si é commesso un errore madornale, forse irreparabile. In tutto questo la responsabilità della Chiesa é enorme: si é certamente giovata dei bagni di folla, dell'entusiasmo giovanile, della rinata partecipazione e abnegazione di questi movimenti carismatici post concilio. Ma non ha tenuto conto del ruolo dei fondatori e di cosa sarebbe successo dopo la loro scomparsa. La Chiesa ha chiuso un occhio troppo facilmente su comportamenti tipici delle sette, ma ora il bubbone é diventato purulento. La figura del fondatore costringe a un immobilismo che rischia di affondare queste opere, incapaci di affrancarsi dall'influenza ingombrante della fondazione. Se la chiesa li considerasse piuttosto solo degli "iniziatori" e gli togliesse quindi il deposito del carisma non vincolandolo a una sola persona, questo sarebbe un passo avanti. Ma dubito che abbiano la capacità e la volontà politica e teologica di affrontare un simile rinnovamento. Nel Prossimo post parleremo dell'accompagnamento spirituale. Ciao.