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Triadi e triangoli Fin dal suo apparire l’orientamento sistemico-relazionale si è proposto come un modo radicalmente nuovo di concepire i fenomeni psicologici rispetto alla tradizione psicologica e psichiatrica precedente. Sebbene le sue origini siano state fatte risalire al movimento “policentrico” americano di terapia della famiglia degli anni cinquanta, le radici del pensiero sistemico sono saldamente ancorate all’opera di Gregory Bateson. L’idea centrale dell’Autore è che i processi mentali non siano fenomeni individuali, ma interindividuali:«L’unità autocorrettiva totale che elabora l’informazione o che, come dico io, “pensa” e “agisce” e “decide”, è un sistema i cui confini non coincidono affatto coi confini del corpo o di ciò che volgarmente si chiama l’io o la coscienza» Ne consegue che i processi mentali non siano comprensibili se il soggetto viene visto come disconnesso dagli altri. La mente e la soggettività non vengono più intese come proprietà interne al singolo individuo, piuttosto come fenomeni relazionali che originano, si strutturano e si mantengono nell’interazione sociale. In un’unica frase: gli altri sono considerati fonti extra-cerebrali della mente. Pensare in termini sistemici significa quindi occuparsi delle relazioni, della struttura e dell’interdipendenza tra gli elementi anziché dei loro attributi. Ogni comportamento viene compreso in funzione della rete di relazioni in cui è immerso, l’attenzione si sposta così dall’intrapsichico ai pattern di collegamento tra gli individui: i processi mentali sono vincolati fin dall’inizio ai processi comunicativi. Alla luce di questa nuova posizione teorica viene totalmente ribaltata la concezione classica della psicopatologia: le malattie mentali non vengono considerate né come malattie del cervello, come suggerisce il modello della psichiatria biologica da Griesinger in poi, né si ritiene che siano originate da traumi o conflitti verificatisi nel passato del paziente, come tendono ancora oggi a sottolineare alcuni autori psicodinamici. Dal punto di vista sistemico “il sintomo di un individuo può essere considerato una metafora delle sue relazioni interpersonali” . In breve il sintomo è visto come un comportamento comunicativo congruente ed adattivo al sistema di interazione entro il quale si manifesta. Indagare gli effetti che il sintomo produce, piuttosto che le cause, significa ricercare la sua funzione sociale infrangendo la cornice individualista entro cui veniva abitualmente inserito: «Se [. . .] si estende l’indagine fino ad includere gli effetti che tale comportamento ha sugli altri, le reazioni degli altri a questo comportamento, il contesto in cui tutto ciò accade, il centro dell’interesse si sposta dalla monade isolata artificialmente alla relazione tra le parti di un sistema più vasto» Per poter comprendere la psicopatologia e intervenire su di essa, occorre dunque considerare l’intero sistema relazionale, che normalmente coincide con la famiglia di origine ma può anche coinvolgere la famiglia estesa e persino sistemi relazionali più ampi. Un dato comportamento (patologico e non) può infatti rimanere inspiegabile “finchè il campo di osservazione non è abbastanza ampio da includere il contesto in cui il fenomeno si verifica”. Il contesto è quindi inteso come un luogo figurato o reale che fornisce significato ad ogni azione o comunicazione: “Nulla ha significato se non è visto in un qualche contesto”. In una prospettiva che definisce il contesto come matrice di significato, l’incomprensibilità dei comportamenti sintomatici non può che venire attribuita alla mancanza di informazioni sul contesto in cui il sintomo ha luogo; per questo il principio metodologico dell’allargamento del campo di osservazione guida l’operare del terapeuta sistemico in ogni fase del processo terapeutico. Sebbene l’interesse per gli aspetti contestuali abbia caratterizzato il movimento sistemico-relazionale fin dagli albori, si è dovuto attendere qualche anno prima che l’attenzione dei clinici si orientasse verso contestualizzazioni perlomeno triadiche del comportamento psicopatologico. Per fare solo un esempio, inizialmente la teoria del doppio legame faceva riferimento a schemi esplicativi diadici perché prevedeva esclusivamente due posizioni relazionali: colui che infliggeva il messaggio paradossale e colui, il paziente schizofrenico, che lo riceveva. Fu John Weakland, nell’articolo “L’Ipotesi del 'Doppio Legame' sulla Schizofrenia nell’Interazione a Tre”, ad osservare che l’individuo preso in un doppio vincolo poteva ricevere da almeno due persone messaggi in conflitto sui quali non gli era possibile metacomunicare. Da allora in avanti il riferimento a schemi esplicativi triadici caratterizzò diversi modelli psicopatogenetici dei più illustri terapeuti afferenti all’orientamento sistemico: il triangolo è infatti alla base della teoria dei sistemi patologici di Haley, della teoria e della terapia boweniana e dell’approccio strutturale alla teoria della famiglia di Minuchin. In “Toward a Theory of Pathological Systems” Jay Haley analizza una struttura triadica che ha denominato triangolo perverso. Nel processo interattivo caratteristico del triangolo perverso sono in gioco tre persone, due delle quali appartengono alla stessa generazione; la persona appartenente a una generazione forma una coalizione con una persona dell’altra generazione contro il proprio coetaneo (ad es. madre e figlio contro il padre), ma tale coalizione è per definizione negata nel senso che quando sarà sottoposta ad indagine, non verrà riconosciuta come una coalizione tra due a danni di un terzo, creando messaggi paradossali e incongrui. In famiglie con una simile struttura, l’autorità del genitore bersaglio della coalizione viene ad essere minata, e l’autorità dell’altro genitore viene ad essere condizionata dal sostegno che il figlio gli offre. Haley ha ipotizzato che il triangolo perverso sia alla base dello sviluppo di comportamenti violenti, sintomatici e predisponga alla dissoluzione del sistema. Un altro teorico sistemico che ha dato una grande importanza al ruolo giocato dai triangoli nell’interazione familiare è Murray Bowen. L’Autore per primo avanzò l’ipotesi secondo cui la relazione madre-bambino sia un sottosistema che dipende da una più vasta unità emozionale, anticipando molti sviluppi contemporanei della teoria dell’attaccamento . Inoltre, Bowen fu tra i primi a sottolineare che non è possibile comprendere a fondo una relazione a due senza far riferimento all’influenza di un terzo soggetto. L’assunto di fondo della teoria boweniana è che ogni relazione tra due individui è potenzialmente instabile e può coinvolgere altri individui al fine di riequilibrarla e ripristinarne la stabilità nel momento in cui aumenta il grado di tensione: un sistema emotivo bipersonale formerà, sotto stress, un sistema tripersonale. L’immagine del triangolo illustra quei percorsi che consentono la costante diffusione in circolo delle tensioni relazionali. Nell’ottica di Bowen la triangolazione è caratteristica di tutte le famiglie di tutti i gruppi i sociali e assolve anche funzioni positive per la coesione del gruppo perché consente alla diade di ridurre l’ansia distribuendola su un sistema più ampio. Di contro, la triangolazione viene considerata generatrice di patologia quando gli schemi relazionali diventano rigidi e ripetitivi al punto che l’individuo non riesce a differenziarsi dalla sua famiglia di origine e sviluppa sintomi psicopatologici. Una disamina più approfondita di come le relazioni triangolari possano generare alcune forme di psicopatologia si ha nell’opera di Salvador Minuchin. In “Famiglie e Terapie della Famiglia” Minuchin introduce il concetto di triade rigida per indicare una dinamica relazionale in cui il confine tra il sottosistema genitoriale ed il figlio diventa diffuso, e quello intorno alla triade genitori-figlio, diviene invece esageratamente rigido. L’Autore distingue tre principali tipi di triade rigida: la coalizione, la triangolazione e la deviazione. Nella coalizione due persone creano un rapporto di solidarietà per andare contro una terza: uno dei genitori si allea con un figlio in una coalizione, rigidamente definita e di tipo transgenerazionale, contro l’altro genitore. Nella coalizione i confini intergenerazionali sono tipicamente diffusi e poiché l’unico o il prevalente interesse comune tra i due membri coalizzati è il tentativo di produrre un danno ad un terzo, ne consegue che all’interno della coalizione non esiste un rapporto autentico tra coloro che la hanno formata. La triangolazione è intesa come una coalizione instabile in cui ciascun genitore desidera che il figlio parteggi per lui contro l’altro e quando il figlio si schiera con uno dei genitori, l’altro definisce la sua presa di posizione come un tradimento. Gli effetti della triangolazione sul figlio sono l’espressione di comportamenti incongrui o una paralisi comportamentale che vengono interpretate dall’Autore come un tentativo del bambino di dare ragione e affetto sia all’uno che all’altro genitore. Infine, nella deviazione, due persone in conflitto tra loro, spostano il conflitto su un terzo che può giungere ad essere visto come un capro espiatorio. Le tensioni coniugali possono essere deviate sempre sul figlio e servono a mantenere il sottosistema dei coniugi in un apparente stato di calma. Nelle famiglie in cui il conflitto non è esplicitato, e non è possibile negoziarlo e risolverlo, il figlio può arrivare ad agire comportamenti devianti o a presentare manifestazioni sintomatiche per esprimere il disagio relativo alla situazione. In sintesi, secondo Minuchin il sintomo del bambino sarebbe talmente intimamente connesso con la presenza di tensione tra i genitori che si può affermare che la coppia genitoriale inconsciamente passi le proprie emozioni al bambino “esattamente come si potrebbe spostare un grosso peso”.