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RIASSUNTO La teoria sistemico-narrativista del cambiamento terapeutico suppone che le persone: a) normalmente non utilizzino schemi esplicativi triadici, b) ma siano in grado di accedere all’ermeneutica triadica in seduta, grazie alle tecniche di conduzione del terapeuta. Per verificare questi presupposti sono state effettuate due ricerche. Nella prima ricerca sono state analizzate le spiegazioni fornite da 400 soggetti (studenti universitari) ad un comportamento inaspettato presentato attraverso 4 situazioni-stimolo in cui è stata manipolata l’ampiezza del campo di osservazione. I risultati dimostrano che le spiegazioni triadiche sono inconsuete, ma non del tutto estranee al senso comune e aumentano significativamente con l’allargamento del campo di osservazione dalla monade alla triade. Nella seconda ricerca è stata analizzata l’ampiezza del campo di inferenza delle spiegazioni introdotte da 12 clienti e dalla terapeuta nelle prime due sedute di consultazione individuale ad orientamento sistemico-relazionale in riferimento a due distinte classi di comportamento: 1) i sintomi; 2) i comportamenti, le emozioni o gli eventi che riguardano una relazione significativa del cliente. I risultati dimostrano che in un contesto non artificioso e altamente motivante come quello psicoterapeutico i clienti accedono più facilmente all’ermeneutica triadica, sebbene le spiegazioni triadiche risultino infrequenti per rendere conto del comportamento sintomatico. L’assenza di differenze nell’ampiezza del campo di inferenza fra gli attributori è spiegata dal fatto che l’attività del terapeuta sistemico-relazionale nel corso delle sedute consulenziali, diversamente che in fasi più avanzate del processo terapeutico, è maggiormente diretta ad ampliare il campo di osservazione piuttosto che il campo di inferenza. L’ermeneutica triadica sistemica è davvero estranea al senso comune? Il ricorso a schemi esplicativi triadici è facilitato in un contesto altamente motivante come quello psicoterapeutico? L’ampiezza del campo di inferenza varia in funzione dei diversi comportamenti di cui clienti e terapeuta forniscono delle spiegazioni durante la conversazione terapeutica? Tali quesiti, a cui questa tesi intende dar risposta, paiono rilevanti dal punto di vista clinico: in seguito alla “svolta narrativista” molti autori afferenti a diversi orientamenti terapeutici hanno ipotizzato che il fattore principale che conduce alla remissione sintomatica e/o alla dissoluzione dei problemi sia la trasformazione delle narrazioni che i clienti portano in seduta (cfr. fra gli altri Angus & McLeod, 2004; Hermans & Dimaggio, 2004/2007; Neimeyer & Raskin, 2000; White, 1992). Da questo assunto meta-teorico discende che il terapeuta dovrebbe agire come un fabbricante di storie nuove. Introdurre “l’inaspettato” era considerato da Mara Selvini Palazzoli un compito fondamentale della terapia e anche Guidano scrisse che “l’efficacia terapeutica delle spiegazioni e delle interpretazioni del terapeuta, più che dallo specifico contenuto di conoscenza offerto, dipende dal grado di discrepanza che esse hanno rispetto alla percezione abituale che il paziente ha di sé” (1991/1992, p. 106). Per questo attingere ad un’ermeneutica estranea (o quanto meno inusuale) al senso comune diviene una necessità terapeutica: il clinico dovrebbe ricorrere a punteggiature alternative per risignificare i comportamenti e le emozioni che strutturano la narrazione del cliente. Ma per co-costruire “storie che curano” accedere ad un’ermeneutica nuova, sebbene necessario, non è sufficiente: le storie che emergono dal dialogo terapeutico devono essere anche plausibili (Ugazio, 1984, 1985a). I diversi punti di vista che il terapeuta introduce nella conversazione attraverso domande, ipotesi, ristrutturazioni e connessioni causali alternative, devono apparire credibili e incontrare la risonanza emotiva del paziente per produrre un “cambiamento profondo”. Infine, una storia terapeutica è tale soltanto se si mostra capace di svincolare il paziente dalle “narrative dominanti” e “saturate dai problemi” (White, 1992), se è in grado cioè di liberare le risorse dell’individuo e di generarne di nuove. Le psicoterapie sistemico-relazionali hanno introdotto una nuova ermeneutica capace di aiutare il terapeuta a costruire storie nuove, plausibili ma perturbanti, e al tempo stesso generatrici di risorse. La contestualizzazione degli eventi in unità perlomeno triadiche e l’ampliamento del campo di inferenza costituiscono manovre retoriche atte a conferire nuovi significati ai comportamenti, alle emozioni e alle relazioni dei clienti. L’utilizzo di queste tecniche da parte del terapeuta rende plausibili le nuove narrazioni co-costruite durante il colloquio clinico perché esse attingono ad una “conoscenza relazionale implicita”1 di natura triadica. Infatti, come è stato dimostrato da oltre un decennio, già ad un’età sorprendentemente precoce il bambino è in grado di tener conto di due attori contemporaneamente (Fivaz-Depeursinge & Corboz-Warnery, 1999). Attraverso l’ermeneutica triadica il terapeuta sistemico può quindi accedere ad un universo esperenziale tacito che permette al cliente di riconoscere a livello esplicito ciò che già conosce a livello implicito. La plausibilità delle narrazioni triadiche si gioca su tale congruenza. Al tempo stesso è proprio la relativa inaccessibilità alla consapevolezza degli aspetti taciti a rendere perturbante una storia intuita sul piano emotivo, ma non riconosciuta su quello razionale.2 La connotazione positiva dei sintomi, così come l’abilità terapeutica di oscurare quelle che il cliente vede come sue caratteristiche vincolanti in favore delle risorse che quegli stessi vincoli generano, costituiscono alcuni dei più importanti elementi che un terapeuta sistemico apporta alle storie dei clienti al fine di mutarne la percezione di sé e del mondo. L’assunto indimostrato è che l’ermeneutica triadica sistemica sia in grado di generare storie strutturalmente diverse perché la logica ad esse soggiacente risulta estranea o quantomeno inusuale per il senso comune. Infatti, se l’uomo di strada si avvalesse abitualmente di punteggiature e schemi esplicativi triadici, le narrazioni sistemiche risulterebbero a qualche livello ridondanti. L’obiettivo delle ricerche presentate in questa tesi è quindi verificare se le persone ricorrano soltanto di rado a spiegazioni triadiche e sistemiche per rendere ragione di eventi inattesi. Tuttavia, la seconda ricerca intende mostrare come in un contesto non artificioso e altamente motivante come quello psicoterapeutico i clienti siano maggiormente in grado di accedere all’ermeneutica triadica. Le considerazioni fin qui esposte consentono di affermare che l’analisi dei campi di inferenza, oggetto di studio privilegiato di questa tesi, possa essere ritenuto un anello che congiunge la teoria sistemico-relazionale alla teoria dell’attribuzione causale.