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Come abbiamo già accennato nell’articolo in cui abbiamo parlato della teoria della ghianda, Hillman sostiene che il mito è un ponte che unisce il visibile all’invisibile. In questo articolo esamineremo alcuni personaggi della mitologia. Il primo personaggio che esamineremo è la figura di Dioniso secondo Jung. Occorre fare una premessa: la coscienza della psicologia analitica è sempre stata governata da una struttura archetipica che privilegia il principio apollineo rispetto ai principi dionisiaci. Poiché Dioniso è il signore delle anime, la psicologia terapeutica non può permettersi di operare con nozioni del dio che sono fuorvianti. In un primo momento Jung associa Dioniso alla scimmia, alle messe nere, al diavolo. In un secondo momento si concentra sullo smembramento come processo psicologico che racchiude una metafora copernicana: il processo di divisione è presentato come una esperienza corporea, addirittura a volte un supplizio atroce. Se tuttavia lo smembramento è governato dalla dominante archetipica di Dioniso, allora ecco che quel processo, mentre decapita o dissolve il controllo del vecchio re, può al tempo stesso attivare lo pneuma che è distribuito in tutte le materializzazioni dei nostri complessi. Dioniso era detto colui che è diviso. Lo smembramento era la dimostrazione della sua divisibilità in parti, in ciascuna delle quali egli viveva come lo pneuma disperso nella materia. I frammenti dello spirito dionisiaco sono simili a scintille che rilucono nella terra fetida, nel puzzo di marcio del corpo in decomposizione, mentre va disgregandosi in pezzi. Nella prospettiva dello smembramento le nostre lacerazioni possono essere interpretate come il particolare tipo di rinnovamento rappresentato da Dioniso. Lo smembramento recide i nessi solamente naturali, i modi abituali in cui siamo cresciuti e ci siamo integrati. Esso interrompe le abitudini del corpo al livello vegetativo-animale liberando una percezione più sottile delle parti e degli organi in quanto rappresentazioni psichiche. Le religioni parlano di resurrezione della carne e del corpo sottile. Dioniso era detto Lysios, colui che scioglie. Lisi è il procedimento di sciogliere; lasciare uscire è dissolvimento, disgregazione scomposizione, rottura da vincoli e di leggi, scioglimento della trama. Jung dice che gli dei sono diventati malattie, ovvero la causa dei nostri malesseri sono delle persone mitiche e le nostre malattie sono l’incarnazione di eventi epici. Il primo passo è quello di riconoscere degli dei nell’archetipo. Ciascun archetipo ha i suoi temi patologizzati, e ciascun evento patologizzato ha una prospettiva archetipica. Occorre affermare che gli eventi patologizzati partecipano all’archetipo stesso. Questo comporta che gli eventi patologizzati appartengano di necessità all’archetipo. La necessità nel pensiero mitico greco è definita ed esperita con modalità patologizzate connesse con Ananke. La parola latina per Ananke è necessitas. Qui troviamo il legame stretto o vincolo stretto, per esempio i vincoli di parentela, i legami di sangue. Necessitudo sono persone alle quali si è strettamente legati, parenti colleghi e amici. La parola si riferisce anche a legami naturali e morali tra le persone. Questo sta ad indicare che i rapporti familiari e i legami che stringiamo nel nostro mondo personale rappresentano alcuni modi in cui rappresentiamo la necessità. I tentativi di liberarci dai vincoli personali sono tentativi di sfuggire allo stringente cerchio di Ananke. Ananke governa l’essere ed è accoppiata con un serpente chiamato Chronos. Il tempo e la necessità impongono un limite a tutte le nostre possibilità di espansione all’esterno, al nostro raggio d’azione nel mondo. La necessità non ha un’immagine perché è all’opera in ciascuna immagine. La potenza senza immagine dell’immagine sta precisamente dentro l’immagine stessa: l’archetipo è totalmente imminente nella sua immagine. Questa potenza senza immagine conferisce a ogni immagine il suo effetto coercitivo e la legge inflessibile che le dà la sua specifica forma. Questa inesorabilità dell’immagine altro non è che necessità, la quale è essa stessa senza immagini. Benché Necessità sia detta senza immagini, tuttavia a questa grande dea che è anche un principio metafisico attiene un gruppo di metafore particolari che ci dicono come essa opera. Essa rimanda ai vincoli che limitano e circoscrivono, vincoli e legami, l’anello, la corda, il cappio, il collare, il nodo, il fuso, la ghirlanda, le briglie e il giogo sono tutti modi per riferirsi al dominio di Ananke. Anche il chiodo conficcato nella carne sta ad indicare l’imperativo della necessità. La necessità non è suscettibile di persuasione perché essa è contraria al movimento che si accorda con lo scopo e col ragionamento.. Gli dei stessi poiché sono necessari ci tormentano senza sosta. E tuttavia in Platone possiamo trovare le idee più illuminanti e più esplicite sulle relazioni esistenti tra la necessità e le pene dell’anima. Nel Timeo che rappresenta la cosmologia platonica sono all’opera due principi essenziali. Il primo è il nous, il logos o principio intellettuale, la ragione, l’ordine, l’intelligibilità, la mente. Il secondo principio è ananke. Platone dice che le vere archai non sono il fuoco o l’acqua o i quattro elementi, ma sono la ragione e la necessità. In questo caso la necessità è caratterizzata come causa errante. Planos può riferirsi al vagabondare della mente nella pazzia e agli accessi delle malattie. Questo è il modo in cui Platone parla di Ananke. La necessità si manifesta in quegli aspetti dell’universo che sono erratici. Non solo, la necessità è associata in particolare a quella zona dell’esperienza che è incapace di essere persuasa dalla ragione o assoggettata al suo dominio. La necessità risiede nell’anima come causa interna e produce perpetuamente risultati fastidiosi. Il punto di vista psicologico non vede Necessità e Caos come principi esplicativi e non li vede soltanto nel regno della metafisica; per il punto di vista psicologico essi sono anche eventi mitici, che hanno luogo anche e sempre nell’anima e sono archai fondamentali della condizione umana. A questi principi radicali si possono ricollegare i pathe dell’anima. La psicologia ha già riconosciuto, chiamandolo angoscia, il Caos senza volto e senza nome, il movimento folle e atterrito che è l’anima, e dandogli quel nome ha evocato direttamente la dea, Ananke, da cui deriva la parola angoscia. Le basi dell’angoscia risiedono nella necessità stessa, quale è costellata in questo momento, la necessità di questa immagine costellata, gli attuali pathe dell’anima, dove l’anima è in questo momento atterrita dalla necessità che la aggioga al suo destino. La necessità è l’immagine attraverso la quale vive la carne. È ciò che dà pienezza all’anima e corpo alle nostre immagini ed esperienza è quel senso di necessità che sempre in tutti i sistemi di disciplina psichica e religiosa viene associato il corpo, la colpa viene data al corpo. Tutte le volte che la necessità è padrona del campo la colpa viene data al corpo. Quando eludi la necessità, soffri nella carne, ossia hai una malattia. Innanzitutto, noi sappiamo che Athena ha un’affinità con Necessità, perché Athena ha essa pure inventato strumenti di limitazione e contenimento portando al genere umano l’arte della ceramica, della tessitura, della misurazione, le briglie, il giogo e i finimenti. In lei troviamo unite quelle stesse contraddizioni che essa deve riconciliare: il Nous di suo padre e la forza vincolante di Ananke, con il cui aiuto egli governa. Ma l’elemento principale è la parola peitho: la forza di persuasione di Athena, il discorso che convince, il fascino delle parole. Non dimentichiamo che i poeti e i filosofi hanno sempre ripetuto come Ananke sia implacabile, irraggiungibile dalla persuasione, al di là del potere delle parole. Eppure Athena trova il modo: “Persuasione ha guidato il linguaggio della mia bocca”, dice la dea. Il contenuto delle parole di Athena è l’offerta alle Erinni, le forze della necessità che infuriano e tormentano e che opprimono Oreste. Athena offre alle Erinni una grotta, un altare dove possano risiedere ed essere venerate, rimanendo estranee. La libertà di parola è dunque un principio psicologico fondamentale, un’esigenza dell’anima che attraverso il linguaggio trova la libertà entro i confini della necessità.