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Il sistema internazionale contemporaneo è nato da quello tradizionale europeo sorto in età moderna. Dopo lo sconvolgimento delle guerre rivoluzionarie e napoleoniche, prese corpo il modello del cosiddetto «concerto europeo», imperniato su una stabilità negoziata, rotto poi dalla dinamica sempre più unilaterale dei comportamenti delle grandi potenze, che portò alla Prima guerra mondiale. Seguì una stabilizzazione fondata sulla spontaneità del mercato, crollata però con la crisi del 29. Le conseguenti competizioni imperiali spiazzarono definitivamente la centralità europea: il mondo venne ad essere governato da un meccanismo bipolare (Stati Uniti e Unione Sovietica). Durante la guerra fredda il blocco occidentale conobbe la coesistenza di regolazioni statali forti e di una progressiva integrazione economica: il modello entrò però in crisi negli anni Settanta e ne uscì avviando la contemporanea forma della «globalizzazione». Alla sua ombra, esaurito il bipolarismo con l implosione dell impero sovietico, sono emersi nuovi protagonisti statuali. 1. La «società internazionale» europea e le grandi potenze Il mondo internazionale alla vigilia dell’età contemporanea (fine del Settecen to) era frutto di una precedente evoluzione lenta e plurisecolare. L’Europa stava diventando il suo centro, per la posizione globale ormai dominante del suo siste ma economico e militare (non sempre era stato così nei secoli precedenti). Si era sedimentato nei secoli sul continente europeo un «sistema» di rapporti tra entità politiche diverse, che si concepivano come «sovrane»: gli stati moderni, nati dalla dissoluzione di quell’universo medievale concepito come fortemente unitario e anzi tendenzialmente universale (ancorché frammentato al suo interno), nella duplice ma interconnessa matrice di un impero sacrale e di una chiesa cristiana diffusa su tutto il continente. La nascita degli stati moderni implicava la decisione di un principe di assumere la propria autonomia dall’impero e dal papato (superiorem non recognoscens) e al tempo stesso la volontà di centralizzare l’autorità in un ben definito territorio {rex in regno suo est imperator). Questo processo durò secoli ma era ormai molto avanzato alla metà del Seicento (pace della Westfalia, 1648). È decisivo notare come questo sistema contemplasse contemporaneamente logiche particolaristiche e tendenze universalistiche. Da una parte infatti la «ragion di stato» portava ogni principe a voler mantenere, tutelare e rafforzare il proprio dominio politico come primo obiettivo. Dall’altra, continuava a operare la visione pregnante di una sorta di «comunità» tra gli stati: Edmund Burke parlava alla fine del Settecento di una «repubblica diplomatica d’Europa». Proprio l’affermazione della sovranità aveva infatti come risvolto necessario il riconoscimento reciproco degli stati in un rap porto teoricamente paritario. Da qui si sviluppò un insieme di regole di relazione (il diritto internazionale), di mezzi di comunicazione e scambio (la diplomazia), che configurò lentamente una vera e propria «società internazionale» di stati in Europa. Certo, nella misura in cui questa rete di rapporti non fosse bastata a soddisfare le esigenze di un sovrano, il ricorso allo strumento militare era frequentissimo. Lo ius belli (il diritto di fare la guerra) era del resto parallelo alla capacità degli stati di imporre l’ordine e la sicurezza all’interno del proprio territorio. I monarchi europei cercarono anche di organizzare le economie al servizio della propria potenza. La concezione mercantilistica esprimeva questa visione, anche se una rete di iniziative imprenditoriali e commerciali indipendenti aveva posto le basi della ricchezza e della capacità tecnologica europee. Le diversità strutturali tra gli stati diventarono quindi un elemento importantissimo: all’inizio dell’Ottocento venne formalizzato il concetto di «grande potenza»: cioè gli stati estesi, con interessi generali e capacità di gestione del «sistema». Questi stati erano a quel punto cinque (Gran Bretagna, Francia, Impero asburgico, Russia, Prussia). Altre grandi monarchie erano ormai in decadenza (prime fra tutte la Spagna o la meteora Svezia), mentre declinarono repubbliche marinare come Venezia o i Paesi Bassi. Tra questi attori maggiori, il gioco della ricerca di «egemonia» si era intrecciato con la visione di un «equilibrio» pluralistico (balance of power), codificata già con il trattato di Utrecht del 1713. La visione meccanicistica dell’equilibrio era in realtà solo teorica: se contro i tentativi egemonici nascevano spesso alleanze contrapposte, tale regola non aveva nessuna efficacia quando una grande potenza si rapportava ai soggetti minori: la spartizione dello stato polacco tra Russia, Austria e Prussia nei decenni finali del Settecento fu solo l’esempio più eclatante. Il sistema europeo era da secoli in rapporto (non sempre pacifico) con altri sistemi di entità politiche confinanti o lontani: dalla catena di potentati islamici che si estendeva dal Maghreb all’Indonesia e dal Caucaso all’Africa nera, in cui era centrale l’Impero ottomano, fino al lontano sistema imperiale cinese. Dal 1500 in poi, le potenze europee avevano cominciato a espandere lentamente la propria influenza mondiale, ma alle soglie della contemporaneità non si poteva ancora parlare di un controllo esteso. Studi recenti anzi indicano che il Celeste Impero cinese era una realtà economicamente e politicamente solida, con un grado di civiltà paragonabile all’Europa. 2. L’età delle rivoluzioni e l’avvio dell’età contemporanea Questo sistema fu scosso dai cambiamenti politici ed economici prorompenti dei decenni finali del Settecento. Le Rivoluzioni americana del 1776 83 e francese del 1789 99 videro ambedue all’opera forze nuove, dando luogo all’elaborazione di concetti e prospettive che ebbero notevole influsso anche sul sistema interna zionale. La Rivoluzione industriale britannica stava intanto ponendo le basi di un cambiamento del rapporto economia-politica. Un lungo ciclo di guerre pesanti e distruttive (1792 1815), conseguente a questi fatti, doveva mettere alla prova le dinamiche essenziali del sistema. In termini di potere non mutò molto perché il sistema si assestò, mentre la co stituzione stessa degli Stati Uniti non rappresentava ancora un allargamento della sfera politica internazionale, data l’intenzione del nuovo stato di distaccarsi dal quadro europeo, nell’ambizione radicale di un «nuovo inizio» politico e ideale. In termini di cultura del sistema, i cambiamenti furono invece più forti e duraturi. Nel contesto rivoluzionario francese, cominciò a essere usata in senso politico nuovo l’antica idea di «nazione», che alludeva alla comunanza di nascita di un gruppo sociale su un territorio: il popolo nazione diveniva soggetto politico unitario e organizzato, di fronte al potere del sovrano. La cultura romantica le diede nuova forza, identificando in modo efficace (ancorché spesso arbitrario) le nazioni come organismi viventi nei secoli. Questa nuova ideologia si proiettava nei rapporti tra gli stati. La Francia diventava così la Grande Nation: forte e capace di comunicare a tutta l’Europa la spinta originale della libertà. Espansionismo e missione universale tendevano a coincidere, mentre i particolarismi delle varie potenze impedirono che prendesse forma una subitanea coalizione generale antifrancese. Sull’onda della sua abilità militare e sfruttando l’eredità del messaggio modernizzante rivoluzionario, Napoleone imperatore dopo il 1804 radicalizzò la tendenza francese verso l’egemonia europea. Solo Gran Bretagna e Russia riuscirono a man tenere un ruolo di grande potenza di fronte alla Francia: gli altri stati - comprese grandi potenze come l’Austria e la Prussia , più volte sconfitti militarmente, divennero satelliti del sistema francese, che si estendeva nel 1809 dalla Spagna alla Polonia e dalla Svezia a Napoli. Napoleone non fu però in grado di stabilizzare la situazione di dominio, proprio per la troppo angusta finalizzazione dell’impero agli interessi francesi. La volontà di andare militarmente sempre oltre i risultati raggiunti 10 portò a compiere scelte improvvide, come la campagna di Russia del 1812, men tre emergevano reazioni di tipo nuovo nei confronti dell’impero: dai rivoluzionari traditi e scontenti alle identità nazionali espresse in senso antifrancese (in Spagna, Tiralo, nella stessa Russia e in Prussia). La nuova coalizione europea antinapoleo nica, nata nel 1813, si impegnò a ricondurre la Francia nei suoi storici confini, ma non solo. Ciascuna potenza dichiarava in modo inedito di voler cooperare per i vent’anni successivi con gli altri contraenti per controllare la pace europea (trattato di Chaumont, 1814). Era un salto di qualità rispetto all’affidamento dell’equilibrio al semplice gioco anarchico delle potenze.