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Il peggiorare delle sue condizioni tuttavia lo costrinse a ritornare presso la famiglia, a Recanati. Leopardi si dedicò nuovamente alla poesia e scrisse alcune delle sue liriche più importanti, tra cui «Le ricordanze», «La quiete dopo la tem-pesta», «Il sabato del villaggio», «Il passero solitario» e il «Canto notturno di un pastore errante dell'Asia», i cosiddetti «grandi idilli». Non passò molto tempo che Giacomo ancora una volta incolpò Recanati della sua depressione, delle sue angosce, e ancora una volta sognò una fuga, un'evasione, un cambiamento che gli facesse trovare quelle risposte che il suo animo inquieto stava febbrilmente cercando. Tornò cosi a Fi-renze, nel 1830, e questa volta l'ambiente intellettuale del capoluogo toscano gli riservò un'accoglienza degna di lui: venne ammesso all'Accademia della Crusca e diventò uno dei principali protagonisti della vita culturale della città. Ritrovò anche Antonio Ranieri, e l'amicizia diventò sempre più intensa. I due erano quasi inseparabili. Quando anche la vita fiorentina cominciò a stancare Giacomo, sempre più deluso e insoddisfatto, Antonio gli propose di stabilirsi presso di lui a Napoli, assicurandogli che la sua salute ne avrebbe tratto grande beneficio. Nella città partenopea in effetti Leopardi ritrovò temporaneamente un po' di benessere e lavorò incessantemente, componendo varie liriche. L'italianista francese René De Ceccatty ha recentemente dato alle stampe un volume sul periodo napoletano del poe-ta'. Un libro che prende in considerazione il rapporto tra Ranieri e Leopardi, descrivendolo fin dal titolo come una relazione caratterizzata da un acceso sentimento. C'è chi ha ipotizzato che tra i due potesse esserci stata una relazione di tipo sessuale. Una tesi che sarebbe avvalorata dal fatto che i due amici fossero diventati letteralmente insepara-bili. Ranieri aveva anche abbandonato il suo stile di vita da sciupafemmine, peraltro dopo essere stato per breve tempo l'amante di Fanny Targioni Tozzetti, la donna sospirata dal poeta. Un episodio che avrebbe potuto anche minare l'amicizia tra i due, comprensibilmente. Ma cosi non avvenne. I sostenitori di una presunta omosessualità di Leopardi e Ranieri si avvalgono dunque di questo cambiamento nella vita del giovane napoletano e di alcune lettere, dove il genio di Recanati definisce Ranieri «sola e unica speranza», unica «causa vivendi», «fratello e unico amico». In realtà, crediamo, questa passionalità indica quanto intenso e autentico fosse il sentimento di amicizia per una persona che aveva fatto il suo ingresso nella vita di Giacomo con tutta l'esuberanza, la gioia di vivere, persino la sfrontatezza che caratterizzavano Antonio e che avevano acceso in Giacomo una luce di speranza. Nei Pensieri e nello Zibaldone si descrive l'amicizia come una delle tante illusioni degli uomini: quando la si cerca sinceramente, e non per qualche utilità o interesse, secondo il poeta si è destinati a essere delusi, perché chi cerca amore, chi antepone per amore gli interessi degli altri ai propri, sarà sempre sconfitto. «Colle donne e cogli uomini riesce sempre a nulla, o certo è malissimo fortunato, chi gli ama d'amore non finto e non tiepido, e chi antepone gl'interessi loro ai grIli,. Fo' avedo., come le donne, di chi lo seduce, gode E ancora: «L'amicizia tra due pari, che vivano una vita normale, dura poco. L'uomo di lettere poi, l'intellettuale, che si crede famoso e rispettato nel mondo, si trova o lascia- . to da un canto o schernito ogni volta che si abbatte in compagnia di genti frivole, del qual genere sono tre quarti del mondo»4. L'amicizia con Ranieri aveva smentito questi suoi cupi giudizi. Giacomo era consapevole che Antonio, accompagnandosi a lui, dedicandogli tempo ed energie, poteva anche essere oggetto di scherno. «Povero Ranieri mio! Se gli uomini ti deridono per mia cagione, mi consola almeno che certamente deridono per tua cagione anche me, che sempre a tuo riguardo mi sono mostrato e mostrerò più che bambino. Il mondo ride sempre di quelle cose che, se non ridesse, sarebbe costretto ad ammira-re; e biasima sempre, come la volpe, quello che invidia. Oh 'Ranieri mio! Quando ti recupererò? Finché non avrò ottenuto questo immenso bene, starò tremando che la cosa non possa esser vera. Addio infinite volte. Non ti stancare di amarmi»S Antonio era un uomo la cui guasconeria nascondeva probabilmente la sua fragilità. La sua presenza nella vita di Leopardi era stata una risposta al suo grido disperato di non essere solo, di non soccombere alla solitudine. La loro non era certo una passione sen-suale, ma la somma di due fragilità. L'amore carnale - d'altra parte - era visto da Leopardi come fonte di delusione. In un sentimento puro, senza sesso, si poteva trovare invece qualcosa di durevole, persino di eterno. Non è infatti neppure concepibile un rapporto omosessuale con Ranieri. Leopardi definisce la pederastia, nello Zi-baldone, «vizio antinaturale», «inclinazione che il solo eccesso di libidine snaturante il gusto e l'inclinazione degli uomini può produrre»6. Nel libro dedicato al loro sodalizio, Ranieri scrive, in modo esplicito, che il suo amico se ne era andato, trentanoven- ne, puro come quando era nato, «un angelo». Fu una strana coppia di amici quella che si era formata in un salotto fiorentino. Due persone profondamente diverse, quasi all'opposto, sia caratterialmente sia fisicamente. Un genio non ancora compreso, assetato di felicità, ferito dalla vita, e un giovane napoletano aitante, piacione, vanitoso, estroverso, un po' millantatore. Secondo De Ceccaty proprio la grande differenza di personalità tra i due sarebbe uno dei motivi della loro amicizia: un fatto di compensazioni. Si potrebbe pensare che Ranieri intendesse sfruttare questo rapporto con un personaggio molto più illustre e prestigioso di lui, ma questo è smentito dalla cura che Ranieri si prese quando la salute di Leopardi cominciò a peggiorare seriamente e anche delle stranezze che cominciarono a caratterizzare Giacomo, come lo scambiare il giorno con la notte, O la sua vorace golosità. Era capace di divorare in un giorno un chilo e mezzo di confetti e consumava sorbetti a decine. Antonio pazientemente cercò di correggere queste brutte abitudini, questi capricci di un uomo che si avviava tristemente al declino, non prima però di avere scritto altre gemme della poesia, come «La ginestra». Ranieri si prese cura dell'amico anche quando a Napoli scoppiò una devastante epidemia di colera. Il poeta mori nel giugno 1837, anche se non fu mai chiarita la causa. Poteva essere stato il morbo epidemico o forse l'aggravarsi di una delle patologie di cui il recanatese già soffriva o unalsonge-stione dovuta alle sue abitudini alimentari disordinate. Secondo la testimonianza di Antonio Ranieri, Leopardi si spense alle ore 21 fra le sue braccia. Le sue ultime parole fu-rono: «Addio, Totonno, non veggo più luce». Dopo la morte, Ranieri fu protagonista di un episodio di