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Da qualche parte al di sopra di Asmira, una voce dolce lanciò un grido di allerta. «Padrone! Attento! Le energie mi bruciano persino a questa distanza. Caro padrone, stai molto attento!» Il mago emise un verso che era per metà risata e per metà gemito. «Tu mi... mi conosci, caro Ammet. Un po’ di... di dolore non mi dispiace». Le sue dita si tuffarono sull’Anello. Asmira strizzò gli occhi aspettandosi un urlo. Invece ci furono solo un mugolio e un’imprecazione a bassa voce; con gli occhi fissi e i denti serrati, Khaba si alzò. Aveva l’Anello sul palmo della mano. «Padrone! Sei ferito?» Asmira piegò indietro la testa e vide incorniciata contro le stelle una specie di ombra: il duplicato di Khaba in silhouette. Dischiuse i denti per l’orrore e si agitò nella stretta del mostro. L’egiziano spostò di scatto gli occhi su di lei. «Tieni ferma la ragazza» gemette. «Ma non... non farle ancora niente. Voglio... voglio parlarle. Ah!» gridò. «Non avrei detto che il vecchio avesse lo stomaco per sopportare tanto». La stretta intorno alla vita di Asmira si serrò, e lei gemette di dolore. Allo stesso tempo si sentì ruotare leggermente, come se chi la teneva prigioniera avesse fatto un improvviso movimento vigoroso per raccogliere qualcosa alle loro spalle. La voce dolce parlò di nuovo. «Padrone, ho anche Bartimeus. È vivo». Asmira girò un po’ la testa e vide il bel giovane penzolare floscio accanto a lei, sospeso come un mucchio di stracci in un grande pugno grigio. Da molte ferite sul suo corpo si levava un vapore giallo. Vederlo le diede un’improvvisa fitta di dolore. «Non è morto? Tanto meglio». Khaba gli andò incontro, zoppicando leggermente, con la mano destra chiusa contro il petto. «Adesso abbiamo il nostro primo ospite per le nuove Gabbie Essenziali, Ammet. Ma prima... questa ragazza...» Giunto davanti ad Asmira, si fermò a guardarla. La faccia del mago era oppressa dal dolore; i denti erano conficcati in silenzio nel labbro superiore. E ancora non aveva infilato l’Anello. «Come hai fatto?» volle sapere all’improvviso. «Qual è il tuo livello di maga?» Asmira si strinse nella spalle. Scosse la testa. «Vuoi che ti faccia squartare in due da Ammet?» disse Khaba. «Non aspetta altro. Parla!» «Non è stato difficile». «E le difese di Salomone?» «Le ho evitate». «L’Anello: come hai fatto a sfilarglielo dal dito? Mentre dormiva?» «No. Era sveglio». «E allora come, in nome di Ra...?» Khaba si interruppe e si fissò la mano stretta e rigida. Fu traversato da un’ondata di dolore; sembrò perdere il filo. «Va bene, mi racconterai i dettagli più tardi, che ti piaccia no, quando avrò tempo di ascoltarti. Ma una cosa la voglio sapere subito: Salomone come è morto?» Asmira pensò al fragile re seduto sulla sedia. Si chiese che cosa stesse facendo in quel momento. Probabilmente convocava le sue guardie, o scappava dalla torre. Si sorprese a sperare che ci riuscisse. «Lo ha strangolato Bartimeus» disse. «Ah. Bene, bene. Ha avuto solo quello che si meritava. Dunque, Sirina... ma di certo non è questo il tuo vero nome, giusto? Chissà quale... Ma lo scopriremo a tempo debito». Khaba le fece un sorriso tirato. «Chiunque tu sia, ti sono profondamente grato. Ho meditato per anni di compiere io stesso quest’atto. E così hanno fatto anche gli altri dei Diciassette: ne abbiamo parlato spesso. Ah, ma che paura avevamo! Non osavamo provarci! Su di noi incombeva il terrore dell’Anello. Mentre tu ci sei riuscita, in compagnia di questo... questo jinn così ordinario!» Khaba scosse la testa meravigliato. «È davvero incredibile. Immagino che sarete stati voi a causare tutto quel parapiglia intorno al tesoro?» «Sì». «Ottima tattica. La maggior parte dei miei colleghi è ancora impegnata là sotto. Se fosse dipeso da loro, sareste riusciti a scappare». «Come ci hai trovati?» disse Asmira. «Come ha fatto quel demone verde a...» «Io, Gezeri e Ammet vi abbiamo cercato per metà notte, da quando mi hai derubato. Gezeri ha una vista acutissima. Ha notato un bagliore in alto sul balcone. È venuto a investigare. E io l’ho tenuto d’occhio con questo». Il mago sollevò una pietra levigata che teneva appesa al collo. «Pensa la mia sorpresa quando abbiamo scoperto che eravate voi ». In quel momento ci fu un gemito dietro di loro. Una piccola nuvoletta fradicia si alzò a strattoni da sotto, procedendo tra pietosi strappi e scossoni. Sulla nuvola era spaparanzato il piccolo foliot verde, in uno stato di grande scompostezza, con un bernoccolo grande quanto un uovo di cicogna sulla testa. «Ohh, la mia povera essenza» si lamentò. «Quel Bartimeus! Mi ha rifilato una Pietrificazione prima di buttarmi giù dalla torre!» Khaba corrugò la fronte. «Sta’ zitto, Gezeri! Sto facendo una cosa importante». «Sono tutto rintronato. Prova, dammi una strizzata alla coda: non sento niente». «Non avrai più una coda, se non te ne stai subito zitto». «Siamo nervosetti?» disse il foliot. «Farai meglio a stare attento anche tu, amico mio. Le esplosioni quassù non sono passate inosservate, né quell’aura orrenda che ti sgocciola dalla mano. Stai all’occhio: arrivano ospiti». Il foliot indicò lontano a sud, da dove molti punti di luce si stavano avvicinando svelti, e con loro alcune silhouette sottili, scure, rettangolari, come porte silenziose nel firmamento. Khaba fece una smorfia. «I miei amici e colleghi vengono a controllare che succede a Salomone. Loro non sanno chi è in possesso dell’Anello ora!» «Sarà» disse Asmira a un tratto, «però mi pare che per adesso non sei ancora riuscito a infilarlo». Poi lanciò un grido; il demone le aveva strizzato la vita per punirla della sua insolenza. «In effetti è leggermente... più duro da sopportare di quanto mi aspettassi» fece Khaba. «Chi avrebbe mai immaginato che Salomone avesse una tale forza di volontà? Ma non pensare di criticarmi, ragazzina. Io sono un uomo di potere. E tu non sei niente: una ladra senza nome». Asmira digrignò i denti, colma di rabbia. «Ti sbagli di grosso. Il mio nome è Asmira, e mia madre era la Prima Guardia della regina di Saba. Sono venuta a cercare l’Anello perché il mio paese era in pericolo, e anche se posso aver fallito, almeno ho agito con intenti più nobili dei tuoi». Terminò con il mento proteso, gli occhi fiammeggianti e una grandissima soddisfazione che la travolse come un’onda. Ci fu un silenzio carico di tensione. Poi Khaba rise con una serie di acuti striduli, e dall’essere-ombra che la stringeva giunse una risata che riecheggiò quella del mago acuto per acuto. I versi fecero contorcere e rabbrividire il jinn svenuto che le stava floscio accanto. Con qualche sforzo, Khaba tornò serio. «Arrivano, Ammet» disse. «Preparati. Mia cara Asmira... un bel nome davvero, lo preferisco a Sirina. Dunque sei stata mandata da Saba? È proprio buffo». Aprì la mano e fissò l’Anello di Salomone. «Presto, capo» disse il foliot. «Arriva il vecchio Hiram. Sembra fuori di sé». Asmira vide le dita del mago tremare sospese sopra l’Anello. «Perché mai dovrebbe essere buffo?» gli chiese. «Perché ora ho capito il motivo per cui sei venuta. So perché Balkis ti ha mandata». I grandi occhi umidi scattarono in alto verso di lei; c’era dell’allegria, oltre alla paura. «E perché ora so che hai ucciso Salomone per niente». Ad Asmira si strinse lo stomaco. «Ma la minaccia...» «Non veniva da Salomone». «Il messaggero...» «Non lo ha mandato lui». Khaba emise un gemito mentre le sue dita si richiudevano sull’Anello. «È... da un po’ che io e gli altri dei Diciassette, approfittando della reputazione di Salomone, indulgiamo in certe transazioni private. I re minori di Edom, Moab, Siria e altri ancora si sono affrettati a pagare un pegno pur di evitare i disastri di cui li abbiamo minacciati. Balkis è solo l’ultima della serie. Come gli altri, è ricca e può pagare senza difficoltà. Per lei non è una gran perdita, e a noi permette di rimpinguare i nostri forzieri. Se Salomone non se ne accorgeva, che c’era di male? È il tipo di cosa che quello sciocco avrebbe dovuto fare comunque, tra l’altro. A che serve il potere se non ci guadagni qualcosa?» Al di sopra della testa di Asmira parlò l’ombra. «Padrone... devi affrettarti». «Khaba!» Dall’oscurità giunse un grido stizzoso. «Khaba, che cosa stai facendo?» Il mago ignorò la voce. «Caro Ammet, lo so, sto parlando troppo. Parlo per lenire il dolore. Devo farmi ancora un po’ di forza, prima di infilarlo. Non ci metterò molto». Asmira stava fissando l’egiziano. «Il vostro messaggero ha attaccato Ma’rib. Sono morte delle persone. Quale dei maghi lo ha mandato?» Dalla testa lucida di Khaba colò del sudore. Prese l’Anello tra pollice e indice, lo mosse verso un dito. «A dire il vero sono stato io. Niente di personale. Avrebbe potuto essere uno qualunque di noi. E il messaggero era Gezeri, che ti sta tenendo ora. Buffo, non trovi? Per ironia della sorte la reazione irritata di Balkis ha finito per causare proprio la morte del re che non avrebbe mai abusato del potere dell’Anello. Io non mi tratterrò come lui, puoi starne certa». «Khaba!» Mentre si abbassava rapido verso il parapetto, il visir Hiram, splendente nelle sue lunghe vesti bianche, guardava la scena in basso con occhi furiosi. Era in piedi a braccia incrociate su un piccolo tappeto rettangolare tenuto sospeso da un demone dalle forme umane di grandi dimensioni. Aveva lunghi capelli fluenti d’oro e ali piumate bianche che colpivano l’aria con un rullio di tamburi di guerra. Il suo volto era bello e terribile, remoto, con occhi verde smeraldo. Senza di quelli, Asmira non avrebbe mai riconosciuto in lui il topolino bianco. Dietro di loro erano sospesi nell’oscurità altri maghi e altri demoni. «Khaba!» esclamò di nuovo il visir. «Che ci fai qui? Dov’è Salomone? E che cosa... cos’è quello che hai in mano?» L’egiziano non alzò nemmeno lo sguardo. Stava ancora raccogliendo le forze, reggendo l’Anello con mani tremanti.