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Asmira 32 L’apparizione della nube giunse per Asmira nel momento peggiore, quello in cui la sua sicurezza si era appena dissolta nel nulla. Lì in piedi sul balcone, guardò crescere il tornado di fiamme vorticanti che illuminava gli alberi e i prati al passaggio, chiazzandoli di rosso come sangue. Sentì l’urlo dell’aria, la risata del piccolo demone, le incitazioni di Bartimeus che le correva incontro... Sentì e vide ogni cosa, ma non fece nulla. Nel corso di tutte le tribolazioni del viaggio, Asmira aveva mantenuto una disciplina di ferro imparata in tanti anni solitari. Le insidie del palazzo, il colloquio con Salomone, persino l’essere messa faccia a faccia con lo Spirito dell’Anello, niente di tutto questo era riuscito a scoraggiarla completamente. Lei comprendeva il sacrificio che le veniva chiesto ed era pronta a sostenerlo, e sapeva anche perché. La chiarezza le dava determinazione, e la determinazione chiarezza. Dall’inizio era andata incontro alla sua probabile morte con uno stato d’animo di fiera serenità. Ma alla fine la morte non era giunta, e al suo posto era arrivato... Bartimeus. A un certo punto aveva avuto il re alla sua mercé e l’Anello a portata di mano, ed era ancora viva. Tutto quello che aveva a lungo desiderato sembrava possibile... E proprio allora Asmira capì, piuttosto all’improvviso, di non essere poi più tanto sicura di ciò che doveva fare. Ancora prima di andarsene dalla stanza di Salomone, aveva faticato a digerire quel che aveva sentito e visto. La storia del re, la sua vulnerabilità, il fatto che avesse negato ogni colpa attribuitagli, il modo in cui si era accartocciato sulla sedia... Non si era aspettata nessuna di queste cose; e tutte stridevano con le sue precedenti convinzioni. Poi c’era la questione dell’Anello, l’Anello di cui si diceva che rendesse chi lo indossava il più felice tra gli uomini. Se non fosse che lo consumava e lo faceva invecchiare anzitempo... Asmira pensò al volto devastato di Salomone, al dolore che lei stessa aveva provato quando aveva raccolto l’Anello. Era tutto senza senso. Tutto sottosopra. All’inizio Asmira aveva cercato di ignorare il conflitto nella sua testa e di completare la missione meglio che poteva. Ma poi, grazie a Bartimeus, aveva ritrovato le proprie motivazioni e i dubbi più profondi denudati sotto le stelle. Molto di quello che il demone le aveva detto lei lo aveva sempre saputo, segretamente, nel profondo, fin dal momento in cui sua madre era crollata sul grembo della regina impassibile e indifferente. Lo aveva negato per anni, nascondendolo sotto la dedizione rabbiosa e il piacere per la propria abilità. Ma ora, nel chiarore freddo di quella notte, scoprì che non credeva più in ciò che era né in ciò che aveva aspirato a essere. La sua energia e la sicurezza di sé erano andate, e la stanchezza accumulata nelle due settimane precedenti le calò all’improvviso sulla schiena. Si sentiva al contempo pesantissima e vuota come un guscio. La nube si avvicinava sparata. Asmira non fece nulla. Il jinn corse da lei tenendo il piccolo demone verde stretto per il collo. Nell’altra mano aveva la palla di pergamene, che le porse. «Tieni» gridò. «L’anello! Prendilo! Infilalo!» «Cosa?» Asmira aggrottò ottusamente le sopracciglia. «Non... non posso farlo». «Ma non vedi? Sta arrivando Khaba!» Bartimeus le era ormai accanto, ancora con il suo aspetto di giovane scuro di pelle. Aveva gli occhi sgranati per l’agitazione. Le ficcò la palla tra le mani. «Presto, mettilo! È la tua unica possibilità». Anche attraverso le pergamene accartocciate, Asmira sentiva il calore intenso dell’Anello. Cercò maldestramente di prendere l’involucro e quasi lo fece cadere a terra. «Io? No... non posso. Perché non lo fai tu?» «Ma io davvero non posso!» gridò il jinn. «L’attrazione dell’Altro Luogo mi squarcerebbe in due! Avanti! Infilalo! Non ci restano che pochi secondi!» Il giovane fece un salto, atterrò sulla balaustra e, infilatosi il foliot sotto il braccio, scagliò nella notte una serie di dardi scarlatti in direzione della nube. Non gli arrivarono nemmeno vicino: esplosero tutti contro un ostacolo invisibile, mandando magia morente in pennacchi alti nel cielo o archi sibilanti verso terra, a incendiare i cipressi. Asmira aprì esitante i lembi delle pergamene con la punta delle dita. Infilarlo? Ma era un tesoro reale, indossato da re e regine. Chi era lei per osare tanto? Lei non era niente, nemmeno una guardia come si deve... E poi – ripensò alla faccia devastata di Salomone – l’Anello bruciava. «Vuoi che lo metta Khaba il Crudele?» le gridò Bartimeus. «Metti quel coso! Che accidenti di padrona saresti? Questa è la tua possibilità di fare finalmente una cosa giusta!» Da sotto il suo braccio, il piccolo demone verde ridacchiò in modo indecente e volgare. Adesso Asmira lo riconobbe; era la creatura di Khaba. Lo aveva visto di sfuggita nella gola nel deserto. «Ti sei beccato una bella schiappa, Barty» commentò il foliot. «Che incapace! È stata lei a mettere il malloppo in piena vista sulla balaustra? L’ho visto a un chilometro di distanza». Il jinn non rispose, ma pronunciò una formula. Il foliot irrigidì con la bocca aperta e fu inghiottito da una rete di fumo. Continuando a lanciare dardi verso la nube con l’altra mano, Bartimeus gettò il demone in alto, lo prese per un orecchio robusto e, con una possente rotazione del braccio, lo scagliò lontano nel buio. Più in là, al centro della nube in avvicinamento, si accese il breve sfolgorio di una luce blu. « Asmira...» disse Bartimeus. Un fuoco blu colpì la balaustra, la fece saltare per aria e sbatté il jinn indietro in una massa di fiamme zaffiro. Il giovane sumero attraversò il colonnato, sbatté contro una statua mandandola a pezzi e si schiantò nella cupola della torre in un groviglio di braccia e gambe piegate. Le fiamme lo lambirono su tutto il corpo, sfolgorarono e poi si spensero. Il demone rotolò lentamente giù per la cupola, sempre più in basso, e alla fine si fermò in mezzo a un mucchio di pietre. Asmira fissò il corpo riverso, poi guardò l’involucro che aveva tra le mani. Lanciò un’imprecazione improvvisa; l’esitazione l’aveva abbandonata. Scartocciò i fogli di pergamena strappandoli, sentendo il calore dell’Anello che aumentava sempre di più... Allungò una mano tremante... Ci fu un lampo di luce, e la nube tempestosa piombò sul balcone. Caddero statue, pezzi di parapetto si deformarono, si spezzarono, ricaddero in basso nella notte. La tempesta esplose sul colonnato, sollevando un colpo d’aria circolare che mandò Asmira a rotolare con la schiena sul lastrico. La palla di pergamene le sfuggì di mano e ricadde sul parapetto. Dall’involucro balzò fuori un piccolo bagliore oro e nero. Il vento si placò; la tempesta era sparita. Al centro di un ampio anello di mattonelle bruciacchiate e annerite, il mago Khaba si guardò intorno minaccioso. Alle sue spalle, qualcosa di più scuro e più alto sollevò la testa. Braccia sottili come carta che tenevano stretto il mago si aprirono. Dita lunghe e affilate come aghi si allungarono, si fletterono, indicarono in direzione di Asmira. «È lì» disse una voce dolce. Asmira aveva colpito la testa contro il pavimento; il parapetto le ballava davanti agli occhi. Malgrado ciò riuscì a mettersi a fatica in posizione seduta e si guardò intorno in cerca dell’Anello. Eccolo lì, proprio sul bordo, accanto al baratro spalancato. Con la testa che le girava, Asmira si fece rotolare avanti e prese a strisciare verso l’Anello. Passi leggeri si avvicinarono, il fruscio di una lunga veste nera. Asmira strisciò più veloce. Sentiva già il calore dell’Anello sulla faccia. Si allungò per afferrarlo... Un sandalo nero si abbatté sulle sue dita e le schiacciò sulla pietra. Asmira gemette e ritrasse di scatto la mano. «No, Sirina» disse il mago. «Questo non è per te». Le diede un calcio con il lato dei sandali, colpendola di taglio sul lato della faccia. Il colpo la fece rotolare indietro; Asmira saltò in piedi, ma prima che potesse allungare la mano verso la cintola, qualcosa di simile ad artigli l’aveva già afferrata per la vita e strappata in alto, lontano. Per alcuni istanti non vide altro che la luce delle stelle girare e il buio vorticare, poi si ritrovò di nuovo depositata bruscamente sul pavimento, a metà del balcone devastato. La presa serrata intorno a lei non si allentò; aveva le braccia costrette, premute contro i fianchi. C’era una presenza alle sua spalle. L’egiziano era ancora in piedi sopra l’Anello, e lo fissava quasi incredulo. Indossava la stessa tunica che aveva al banchetto qualche ora prima. Aveva il volto disfatto e piccole macchie porpora agli angoli delle labbra, a testimoniare le libagioni della nottata, ma negli occhi c’era un luccichio di eccitazione, e quando parlò gli tremava la voce. «Eccolo. È veramente... non posso crederci!» Si chinò svelto avanti, solo per fermarsi dubbioso quando percepì le emanazioni dell’Anello.