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SCIPIO, IL BUGIARDO. Quando i tutti i ragazzini uscirono da Casa Spavento, sui tetti della città spuntavano già le prime luci dell'alba. Scipio si uni agli altri senza dire una parola. Ogni tanto Riccio lo fissava con un tale risentimento che, per prudenza, Prosper s'infilava tra i due. L'ala era rimasta alla proprietaria, che aveva promesso di portarla con sé il giorno previsto per la consegna. «Se nel frattempo non viene a rubarla qualcun altro» aveva precisato nel congedarsi. Bo era così assonnato che Prosper dovette caricarselo in spalla ma, quando finalmente giunsero al cinema, stanchi da non reggersi in piedi, il piccolo era di nuovo più sveglio che mai. E così gli affidarono il compito di acchiappare il piccione del Conte. Tutto contento, Bo si mise sotto il cesto appeso al muro e tese una mano piena di mais come gli aveva insegnato Victor a Piazza San Marco. Sofia lo fissò un attimo di sbieco, ma poi gli si posò sul palmo. Sbattendo le ali gli conficcò i piccoli artigli nella manica. Bo, per nulla spaventato, inarcò la schiena ridacchiando. Poi, camminando lentamente, si diresse verso l'uscita di sicurezza. «Va' sul canale, Bo!» gli sussurrò Mosca tenendogli aperta la porta. Fuori era giorno fatto e il freddo era pungente. Quando uscirono all'aperto, Sofia rizzò le penne e si guardò in giro confusa. Fra i muri delle calli strette e tortuose, non sembrava avere alcuna voglia di spiccare il volo. Ma una volta giunta sulla riva, quando il vento le arruffò le piume, spalancò le ali e via! Prese velocità e, imboccata una certa direzione, scomparve dietro i comignoli. «Quando dobbiamo andare dal Barbarossa per il messaggio del Conte?» chiese Prosper appena Mosca e Bo rientrarono intirizziti. «Il giorno stesso che abbiamo lasciato andare il pennuto? Allora non andrà tanto lontano.» «Oh, be', i piccioni viaggiatori possono fare anche centinaia di chilometri. Potrebbe benissimo arrivare a Londra o Parigi per sera» spiegò Scipio. «L'ho letto» si affrettò a precisare notando l'occhiata incredula di Vespa. Ma non con il tono arrogante che gli era abituale, bensì imbarazzato, quasi di scusa. «Mi sembra piuttosto improbabile che il Conte viva a Parigi» tagliò corto Riccio sprezzante. «Ma è lo stesso. Il piccione è sulla via di casa e anche tu dovresti tornartene da dove sei venuto.» Scipio trasalì. Si voltò verso Prosper in cerca di aiuto, ma questi abbassò gli occhi. Nemmeno lui aveva dimenticato il modo con cui li aveva trattati mentre gli altri aspettavano fuori della sua elegante villa. Scipio dovette indovinare quei pensieri perché distolse lo sguardo. Si vedeva che cercava qualcuno che gli venisse in aiuto, ma non sapeva più bene neanche lui chi. Maura fissava immobile a terra e Bo faceva finta di essere troppo occupato a dar da mangiare ai suoi micini per notare quello scambio di frecciate, piccole scintille pronte a divampare in un incendio. Vespa stava a testa bassa, come se non volesse guardare Scipio in faccia. «Riccio ha ragione» disse, fissandosi le unghie. «Devi tornartene a casa. Non possiamo rischiare che tuo padre ribalti tutta la città per trovare il figlio scomparso. Non ci metterà molto a intuire che potrebbe nascondersi in quel suo vecchio cinema... E, in quattro e quattr'otto, avremmo metà della polizia di Venezia davanti alla porta. No, grazie, siamo già abbastanza nei guai.» Il volto di Scipio s'irrigidì e Prosper si accorse che aveva ritrovato dentro di sé lo Scipio di sempre: caparbio, spavaldo, che sapeva difendersi da tanta ostilità. «Ah, è così» passò all'attacco incrociando le braccia sul petto. «Prosper e Bo non li sbattete fuori anche se è per colpa loro che abbiamo quel detective tra i piedi. Io, invece, non posso restare; io che vi ho procurato un nascondiglio, i soldi per vivere e vestiti caldi. Persino i materassi vi ho portato, rischiando di finire annegato su quella bagnarola di Mosca piena di buchi. E le coperte e le stufette quando ha cominciato a fare freddo? Pensate che sia stato facile rubare tutta quella roba in casa mia?» «Certo che lo è stato» lo provocò Mosca. «Probabilmente hanno sospettato della cameriera o di uno dei vostri mille domestici.» Scipio non replicò e arrossi. «Tombola» disse Riccio. «Abbiamo fatto centro.» «Allora hanno davvero sospettato di qualcuno?» Vespa fissò Scipio inorridita. Lui si abbottonò la giacca fino al collo. «Della mia tata» confessò. «Eh? Spero che avrai almeno preso le sue difese...» «E come?» ribatté Scipio ricambiando lo sguardo allibito di Vespa con un'occhiataccia furente. «Mio padre mi avrebbe fatto chiudere in collegio! Pensate sia meglio che stare in un orfanotrofio? Voi non conoscete mio padre. Quello sarebbe capace di mandarmi in giro con un cartello appeso al collo con scritto LADRO anche se solo gli avessi preso uno dei gemelli delle sue camicie.» «L'hanno rinchiusa?» Stavolta Bo aveva sentito, nonostante si fosse dato un gran daffare per non ascoltare. «In prigione?» «Chi?» chiese spazientito Scipio, a braccia conserte, come se potessero fare da barriera agli sguardi carichi di riprovazione degli altri. «La tata» si spiegò meglio Bo mordendosi il labbro. «Ma no!» rispose il Re dei Ladri con una scrollata di spalle. «Non hanno potuto dimostrare niente. E così l'hanno solo licenziata in tronco, ecco tutto. Se io non avessi preso quelle maledette molle per lo zucchero, non si sarebbero accorti di nulla. La maggior parte della roba l'ho trovata in stanze che nessuno usa mai, dove i miei tengono un sacco di cianfrusaglie che prendono solo polvere. Ma quando mia madre si è accorta che erano sparite quelle stupide pinze che lei adorava, ha finito per notare che mancavano un paio di altre cosette. E va bene, adesso non ho più la tata.» Gli altri lo squadrarono come se al posto dei capelli avesse dei serpenti. «Cavolo, Scip» mormorò Mosca. «L'ho fatto solo per voi!» urlò l'altro. «Vi siete scordati di come dovevate arrabattarvi prima che arrivassi io?» «Sparisci!» lo investi Riccio assestandogli un pugno sul petto. «Ce la caviamo anche senza il tuo aiuto. Non vogliamo avere più niente a che fare con te.» Non avremmo dovuto nemmeno lasciarti entrare di nuovo! «Lasciarmi entrare?» Scipio gridò così forte che Bo si premette le mani sulle orecchie. «Cosa ti sei messo in testa? Questo posto appartiene a mio padre.» «Ah, già, certo» ribatté Riccio. «E allora va' pure a spifferargli che siamo qui, galletto spennacchiato!» Scipio si scagliò su di lui e i due se le diedero di santa ragione. Con un tale accanimento che Prosper e Maura riuscirono a dividerli solo quando intervenne anche Mosca. Appena Bo vide che a Riccio sanguinava il naso e Scipio aveva il viso tutto graffiato, scoppiò a piangere così forte che gli altri si voltarono sgomenti. Vespa fu più svelta di Prosper nel precipitarsi da lui. Lo prese fra le braccia e gli accarezzò la testa. Lungo la scriminatura si notava già la ricrescita dei suoi bei capelli biondi. «Va' a casa, Scip» ribadì con impazienza. «Ti informiamo appena il Conte ci fa sapere la data e il luogo dello scambio. Magari già domani pomeriggio. Uno di noi andrà dal Barbarossa subito dopo colazione.» «Che cosa?» sbraitò Riccio, spingendo via Mosca che cercava di tamponargli il naso. «Perché lo vuoi dire anche a lui?» «Piantala, Riccio» insorse Prosper arrabbiato. «Io il padre di Scipio l'ho visto. Tu non ti azzarderesti a rubargli nemmeno un cucchiaino d'argento. E di certo non andresti a confessarglielo.» Riccio si limitò a sbuffare premendosi il dorso della mano contro il naso. «Grazie, Prosper!» mormorò Scipio. La sua guancia portava ancora i segni delle unghie di Riccio: pareva una pelle di zebra. «A domani!» disse piano. Esitò per un istante e si voltò di nuovo. «Davvero venite ad avvertirmi?» Prosper annui. Scipio tentennava ancora. «Il detective...» disse. «Se l'è filata» rispose Mosca. «Che cosa?» «Oh, non fa niente. Abbiamo la sua parola che non ci tradirà» dichiarò Bo liberandosi dall'abbraccio di Vespa. «Adesso è nostro amico.» Scipio fece una faccia così sconcertata che Vespa scoppiò a ridere. «Insomma, "amico" è un po' esagerato» precisò. «Bo stravede per lui. Però non ci denuncerà, ne sono sicura.» «Be', se lo dite voi» disse Scipio stringendosi nelle spalle. «A domani allora.» Poi si avviò lentamente verso l'uscita, girellando attraverso le file di poltroncine. Lasciando scivolare la mano sugli schienali imbottiti, diede un'ultima fugace occhiata al sipario splendente di stelline. In cuor suo, sperava forse che gli altri lo trattenessero. Ma nessuno lo chiamò indietro, nemmeno Bo, che aveva ricominciato a giocare con i gattini. "Ha paura" pensò Maura seguendolo con lo sguardo. "Paura di andare a casa." Gli venne in mente il padre, quel dottor Massimo dal volto severo, dritto in cima alla scalinata. E Scipio gli fece pena. Poi vide la maschera distesa su una delle sedie, che raccolse per inseguirlo.