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Senza pensarci due volte, il ragazzino se la legò intorno al polso e si preparò alla scalata. Il muro era alto, ruvido e irregolare, pieno di tacche e sporgenze. Si scorticò le mani fino a farle sanguinare. Quando finalmente si issò a cavalcioni sul bordo, Vespa riavvolse la fune e lo aiutò a scendere. Quando toccò terra, Prosper aveva la bocca secca dalla tensione. L'amica gli gettò l'altro capo della corda e insieme s'inoltrarono in quel territorio sconosciuto. Lo strato di foglie sparse intorno alle siepi e ai grossi vasi di piante ormai sfiorite scricchiolava sotto i loro piedi. Riccio e Mosca stavano già armeggiando con la porta della cucina. Mosca era scuro di suo e quasi non si vedeva. Riccio si era annerito il viso come Vespa e Maura. Quando vide arrivare suo fratello, Bo si nascose intimorito dietro la schiena di Mosca. «Avrei dovuto lasciarti con Esther!» sibilò Prosper. «Maledizione, ma che ti sei messo in testa, eh?» Bo si morse le labbra. «Io volevo solo guardare» mormorò. «Adesso noi due ce la squagliamo» gli sussurrò deciso il fratello. «Vieni» gli ordinò tentando di tirarlo a sé, ma Bo gli scivolò fra le dita. «No! Io non mi muovo» gridò, tanto che Mosca gli premette spaventato la mano sulla bocca. Riccio e Vespa gettarono un'occhiata preoccupata alle finestre dell'ultimo piano, ma per fortuna la luce rimase spenta. «Lascialo stare, Prosper, dai!» bisbigliò Vespa. «Vedrai che andrà tutto bene.» Lentamente Mosca tolse la mano dalla bocca di Bo. «Non farlo più, capito?» disse piano. «Mi hai fatto prendere un accidente di quelli che a momenti ci rimanevo secco!» «I cani ci sono?» domandò Prosper. Vespa scosse la testa. «Non li ho sentiti abbaiare» disse piano. Riccio s'inginocchiò con un sospiro e prese a trafficare di nuovo con la serratura, mentre Mosca gli faceva luce con la torcia. «Maledizione, è bloccata dalla ruggine» imprecò sottovoce. «Ah, ecco perché non usano il catenaccio» osservò Mosca. Vespa si accostò a Prosper che, appoggiato al muro, fissava la luna. «Non c'è bisogno che vieni anche tu. Ci penso io a badare a Bo.» «Se Bo entra, entro anch'io.» Riccio riuscì a forzare l'uscio, non senza lasciarsi scappare qualche parolaccia. I primi a sgattaiolare dentro furono lui e Mosca. Poi Bo e Vespa e poi Maura. Solo Prosper esitò per un istante, ma poi li segui. E si trovarono circondati dai rumori di quella casa sconosciuta. Il ticchettio di un orologio, il ronzio del frigorifero. Avanzavano, passo dopo passo, con un misto di vergogna e curiosità. «Chiudete la porta!» si raccomandò Mosca. Vespa lasciò scorrere la luce della pila sulle pareti. La cucina della signora Spavento non aveva nulla di speciale. Pentole, padelle, vasetti di spezie, una caffettiera, un grande tavolo e qualche sedia... «Devo restare qui di guardia?» domandò Riccio. «A che scopo?» chiese di rimando Vespa, aprendo la porta sul corridoio. Rimase un istante in ascolto. «La polizia mica arriva dal retro» concluse. «Va' avanti tu!» disse poi rivolta a Mosca. Lui obbedì con un cenno del capo. Il corridoio era stretto, proprio come indicava la piantina. E dopo qualche metro arrivarono ai piedi di una scala, lungo la quale erano appese delle maschere. Alla luce della torcia apparivano inquietanti. Una sembrava quella di Scipio. I gradini terminavano davanti a una porta. Mosca l'apri di uno spiraglio, sbirciò all'interno e fece segno agli altri di raggiungerlo. Il corridoio era un po' più largo del suo corrispettivo al pianterreno. Due plafoniere diffondevano una luce opaca. Un calorifero gorgogliava da qualche parte, ma per il resto l'appartamento era immerso nel silenzio. Quando passarono davanti alla scala angusta e buia che portava all'ultimo piano, Mosca appoggiò l'indice sulle labbra. Dovevano fare attenzione. Gli sguardi di tutti si levarono preoccupati verso l'alto. «Ma forse non c'è nessuno!» mormorò Vespa. Quella casa le pareva come morta con tutte quelle stanze vuote, immerse nell'oscurità. Le prime due erano un bagno e un minuscolo ripostiglio, Mosca lo sapeva già: lo aveva visto sulla piantina. «Adesso arriva il bello» commentò quando arrivò davanti a una terza. «Questo dovrebbe essere il salotto. Forse la signora ha appeso l'ala sopra il divano.» Stava per girare la maniglia quando la porta si apri. Mosca indietreggiò impaurito, finendo addosso agli altri. Ma sulla soglia non apparve la padrona di casa, bensì un ragazzo con maschera, stivali con i tacchi alti, una lunga giacca nera e guanti in pelle dello stesso colore. Scipio. Riccio lo fissò sbalordito, ma il volto di Mosca s'irrigidì per la collera. «Che cosa ci fai tu qui?» lo aggredì. «Che cosa ci fate voi?.» replicò Scipio a muso duro. «Questo è il mio incarico.» «Ti conviene stare zitto!» ribatté Mosca, assestandogli un colpo in pieno petto che lo fece barcollare all'indietro. «Bastardo traditore! Certo che ci hai preso in giro per bene. Il Re dei Ladri! Per te è stato tutto un gioco, ma a noi i soldi servono, chiaro? Quindi ruberemo noi l'ala per il Conte! Avanti, sputa, è li dentro?» Scipio si limitò a stringersi nelle spalle. Mosca lo spinse rudemente di lato e scomparve nella stanza buia. «Come hai fatto a entrare?» ringhiò Riccio. «Non è stato poi così difficile se ci siete riusciti anche voi» rispose Scipio ironico. «E ve lo ripeto. Io porto al Conte ciò che ha chiesto. Solo io. A voi spetta una parte del malloppo come al solito. Ora però sparite.» «Sparisci tu» intervenne Mosca alle sue spalle. «Altrimenti raccontiamo al tuo paparino che il suo diletto figliolo, tanto bravo ed educato, di notte s'intrufola nelle case della gente.» La sua voce si era fatta così alta che Vespa s'infilò a forza tra i due. «Adesso basta!» bisbigliò. «Vi siete dimenticati dove siamo?» «E comunque tu, Re dei Ladri dei miei stivali, non puoi dare la notizia al Conte, perché il piccione viaggiatore ce l'abbiamo noi» rincarò astioso Riccio. Scipio serrò le labbra. A questo, evidentemente, non aveva pensato. «E guai a te se ci metti il bastone fra le ruote, Re dei Ladri!» soggiunse Riccio. Scipio non rispose. Restò li a guardarli come inchiodato al pavimento. Mosca, Riccio e Vespa erano già sgusciati via quando Prosper si voltò. Scipio era ancora li, immobile. «È meglio che tu vada, Scip» disse piano. «Gli altri sono piuttosto arrabbiati con te.» «Piuttosto» ripeté Bo, rivolgendo a Scipio uno sguardo sconsolato. «E voi?» domandò il Re dei Ladri. Prosper esitò un attimo. L'altro si girò di scatto e corse su per le scale. Maura lo seguì esitante.