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«Ehi, guarda un po' qui, Prosperi» disse, applicandosi sotto il naso i baffoni da tricheco. «Non erano questi che aveva quando gli sei finito contro?» «Molto probabilmente» rispose Prosper osservando la scrivania. Sotto il fermacarte a forma di leone alato c'era una foto delle due tartarughine, e vicino alla macchina da scrivere diversi fogli dattiloscritti e una mela mezzo sbocconcellata. «Con questa come sto?» chiese Riccio con una gran barba biondiccia. «Sembri uno gnomo» rispose Vespa prendendo un libro dallo scaffale su cui Victor teneva i gialli, ormai logori e spiegazzati a furia di essere letti e riletti. Poi si mise comoda su una sedia. Prosper invece si sistemò sulla poltrona di Victor e cominciò a rovistare nei cassetti. Niente d'interessante: una montagna di foglietti, graffette e fermagli sparsi alla rinfusa, un cuscinetto per timbri, un paio di forbici, delle chiavi, alcune cartoline e ben tre sacchetti di caramelle. «Non è che per caso ci sono delle sigarette?» chiese Riccio provandosi un naso finto. «Quello non fuma, mangia caramelle» rispose Prosper richiudendo un cassetto. «Chissà dove tiene l'archivio!» «Ma figurati! Quello fa l'investigatore solo perché gli piace travestirsi come a carnevale. Per me non sa neanche che cos'è un archivio» commentò sarcastico Riccio, applicandosi due folte sopracciglia, calcandosi un cappello in testa e facendo la faccia truce. «Che ne dite? Magari un giorno diventerò così. Più o meno. Solo più alto, naturalmente.» «Deve per forza essersi annotato qualcosa» ribadì Prosper. Aveva appena scoperto dei classificatori nell'unico armadio dell'appartamento, quando squillò il telefono. Vespa non alzò nemmeno la testa, intenta com'era nella lettura. «Lascialo suonare. Per noi non è di sicuro» borbottò. E così fecero. Riccio intanto continuava a divertirsi con parrucche, barbe e cappelli vari. Prosper invece sfogliava gli incartamenti che aveva trovato. Dopo dieci minuti il telefono squillò di nuovo, proprio mentre Prosper scopriva una foto di lui e suo fratello in una cartelletta trasparente. La fissò come ipnotizzato. Vespa alzò gli occhi dal libro. «Che c'è?» «Solo una foto. Di Bo e me. L'aveva scattata la mamma per il mio tredicesimo compleanno.» Suonò di nuovo il telefono. Giusto un paio di volte, poi tacque. Prosper scrutava la foto. Senza accorgersene serrò i pugni. Vespa allungò una mano sopra la scrivania e gli accarezzò le dita contratte. «Allora, che cosa sa lo spione su di voi?» domandò. Prosper si mise la foto nella tasca del giaccone e le passò gli appunti di Victor. «Sono praticamente illeggibili.» «Fa' un po' vedere.» Vespa ripose il libro e si curvò sulla scrivania. «Ah! Neanche lui sembra trovare tanto simpatica tua zia. La chiama "Naso d'Aquila" e chiama tuo zio "l'Armadio".» Non hanno alcun interesse per il maggiore «lesse a voce alta.» Probabilmente perché non ha più quell'aspetto da orsacchiotto... «Vespa gli sorrise.» In effetti non ce l'hai proprio. Non è stupido il nostro amico ficcanaso. «Fu interrotta dal telefono.» Accidenti, non avrei mai pensato che quel tipo potesse avere tanti clienti. Innervosita, sollevò la cornetta. «Pronto!» esclamò, cercando di cambiare voce. «Victor Getz Investigazioni. Cosa posso fare per lei?» Riccio si premette le mani sulla bocca per non scoppiare a ridere. Prosper invece ascoltava teso. «Come ha detto che si chiama?» chiese Vespa facendo un cenno a Prosper. «Hartlieb?» Prosper sobbalzò come se avesse ricevuto uno schiaffo in pieno viso. Vespa premette un pulsante sull'apparecchio e la voce di Esther risuonò per tutta la stanza. Non parlava molto veloce, ma il suo italiano era decente. «Sono giorni che cerco di mettermi in contatto con il signor Getz. Mi aveva detto che era sulle tracce dei ragazzi. Mi ha persino annunciato che mi avrebbe spedito una foto dei due che lui stesso ha scattato a Piazza San Marco...» Vespa guardò allarmata Prosper. «Non so niente di tutto ciò» balbettò. «Ehm, può anche essersi trattato di un errore. Ieri mi ha detto che stava seguendo una nuova pista. Completamente diversa. Il signor Getz ritiene che i due non siano più qui. A Venezia, intendo dire. Pronto?» All'altro capo del filo calò il silenzio. I quattro ragazzini nell'ufficio di Victor non osavano quasi muoversi. «Davvero interessante!» replicò seccata Esther. «Preferirei però parlarne di persona con lui. Me lo passi.» «Il signor Getz... be'... ecco...» Vespa annaspava e nell'agitazione si dimenticò di contraffare la voce. «Non c'è. Io sono la sua segretaria. Oggi è uscito per un altro incarico.» «Si può sapere chi è lei?» Ora il tono di Esther era irritato. «A quanto so, il signor Getz non ha nessuna collaboratrice.» «Certo che ce l'ha!» ribatté Vespa indignata. «Che cosa crede, accidenti! Il signor Getz glielo confermerà, ma adesso non c'è. Riprovi fra una settimana.» «Ora mi ascolti bene, chiunque lei sia» scandì tagliente Esther. «Ho lasciato un messaggio in segreteria, ma se lei glielo ripete a voce certo non guasta. Fra due giorni mio marito sarà a Venezia per affari. Aspetto il signor Getz al Sandwirth. Alle tre in punto. Buona giornata.» Si udì un clic. Aveva riattaccato. Vespa riagganciò, avvilita. «Mi sa che l'imitazione non mi è venuta tanto bene.» «Dobbiamo andarcene» annunciò Prosper, rimettendo i classificatori al loro posto. Vespa gli rivolse un'occhiata carica di preoccupazione. Poi prese svelta un paio di romanzetti dalla libreria e se li cacciò sotto il pullover. «Ehi, gente, non sarebbe bello se a cercare uno di noi ci fosse una brava persona?» rifletteva Riccio, lo sguardo perso nelle sue fantasticherie, passandosi la lingua nei buchi fra i denti. «Che ne so... uno zio o un nonno ricco sfondato e con il cuore d'oro, come nelle storie di Vespa?» «Esther è ricca» dichiarò Prosper. «Davvero?» si stupì Riccio, infilando nello zaino barbe e baffi finti. E tanto per non smentirsi si prese anche il naso. «Be', allora potresti chiederle se vuol prendere me al posto di Bo. Non sono molto più grande di lui. E non ho grandi pretese, so accontentarmi. Sempre che non usi troppo spesso il battipanni.» «I bambini non li picchia» borbottò Prosper frugando un'ultima volta nei cassetti. «Di che foto parlava Esther? Maledizione. Lo sapevo che qualche fotografia gliela doveva aver fatta mentre dava da mangiare ai piccioni. Riccio, prendi la macchina, forse c'è ancora dentro quella pellicola.» Riccio se l'appese al collo e si guardò allo specchio. «Buongiorno, signora Esther!» disse sorridendo con la bocca chiusa per nascondere che era sdentata. «Vuole farmi da madre? Ho sentito dire che di sculacciate non ne dà e che ha un bel po' di soldi.» «Scordatelo!» lo interruppe Vespa facendo capolino alle sue spalle. «La zia di Prosper vuole un orsacchiotto piccolo e carino, non un riccio con i denti marci. Forza, tagliamo la corda. È meglio che portiamo con noi anche la tartaruga, altrimenti dobbiamo tornare ogni giorno, finché teniamo prigioniero il ficcanaso.» «Forse intanto Scipio si è fatto vivo» disse Riccio pieno di speranza mentre richiudevano la porta. «Forse» rispose Prosper. Ma nessuno dei quattro ci credeva fino in fondo.