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Con un grande vuoto dovuto alla scomparsa dei «migliori»: Giuseppe Pagano, Raffaello Giolli, Gian Luigi Banfi, Giorgio Labò, Giuseppe Terragni, Edoardo Persico. E con la certezza di un «peccato originale» che grava sulle spalle del razionalismo italiano: quello di aver creduto «il fascismo un movimento rivoluzionario autenticamente inno- vatore per la società e per la cultura». A ridosso della Liberazione, due monumenti, diversissimi tra loro, rendono omaggio ai «compagni di strada» che non ci sono più: -il Monumento alle Fosse Ardeatine (1944-1947, di Mario Fiorentino e altri con sculture di Mirko Basaldella) -il Monumento ai Caduti nei campi di concentramento nel cimitero monumentale di Milano dei BBPR (1946, firmato, in realtà, dal solo Peressutti). BONFANTI, PORTA, Città, museo e architettura... Una «gigantesca lastra tombale», metafora loosiana di un’architettura che diventa «arte», il primo; il secondo, un prisma spaziale che vive della contraddizione, felicemente irrisolta, tra purezza geometrico-monumentale del cubo e concretezza materica del marmo e dell’espressionistico ba- samento a opus incertum. A. BELLUZZI, Il percorso dell’architettura, in L’arte in Italia nel secondo dopo- guerra Con questi due grabmal sono già prefigurati i due poli della futura dialettica ideologica del dopoguerra che faranno capo alle due città che li ospitano: Roma e Milano. Portavoci di assoluto prestigio e tra loro dissimili - Mario Ridolfi, Ludovico Quaroni, Saverio Muratori e Luigi Figini, Gino Pollini, Piero Bottoni, Franco Albini, Ernesto Nathan Rogers. La Ricostruzione nel dopoguerra si presentava come l’occasione stori- ca per approfondire i principi del razionalismo, per affermare un nuo- vo credo sociale, tecnico ed estetico, nella prospettiva di un radicale rinnovamento civile aperto dalla Liberazione. E. N. Rogers si esprime- va in questi termini assumendo la direzione della rivista “Domus” alla quale simbolicamente aggiunge al nome, nato nel 1928, il sottotitolo La casa dell’uomo. “Si tratta di formare un gusto, una tecnica e una morale, come termi- ni di una stessa funzione. Si tratta di costruire una società”. Nell’immediato anteguerra il problema della casa era già chiaro ai razionalisti milanesi, tuttavia bisognò aspettare la fine del secondo conflitto mondiale perché il tema diventasse evidente in tutta la sua drammaticità. Nel 1938 il fabbisogno di abitazioni era stimato in circa 15.000 alloggi, al quale si aggiunse prima la quasi totale stasi della attività edilizia nel periodo bellico e successivamente le distruzio- ni dei bombardamenti. Nel 1945 E.N. Rogerers scriveva: “Parlare di casa oggi è come parlare di mangiare: di pane, non di companatico. Ma non è sempre stato così. I problemi della casa si sono posti quando più si facevano sentire, chiari e urgenti, i problemi sociali”. In Italia l’indagine sulla casa ideale diviene occasione per analizzare e revisionare la tipologia abitativa sulla base delle necessità quotidiane e dei modelli comportamentali, occasione anche di una ricostruzione morale del paese a partire dal primo nucleo sociale. Programmaticamente Rogers enuncia: “La casa è un problema di limiti(...). Ma la definizione dei limiti è un pro- ble- ma di cultura e proprio ad esso si riconduce la casa(...).Se così è, anche le paro- le sono materiale da costruzione “. La progettazione dei quartieri popolari del secondo dopoguerra in Italia è caratterizzata da gruppi di residenze differenti per tipologia, sfalsate o ruo- tate fra loro, in modo da ottenere spazi a verde e luoghi urbani per incen- tivare la socialità. Inoltre, per evitare la conformità, gli edifici presentano varietà nelle aperture e nella texture delle facciate, tanto da caratterizzare il paesaggio urbano, alla ricerca di armonia, bellezza e valori identitari. L’apparente disordine, infatti, è in realtà governato da una regola. Rintracciare le origini della progettazione del quartiere QT8 significa affrontare quelle espe- rienze che hanno visto la cultura architettonica milanese interrogarsi ed esprimersi all’interno del dibattito urbanistico della città. Si ricerca un ordine nella composizione urbana, si da spazio a regole aggregative rispettose della dimensio- ne umana in grado di organizzare il ristretto spazio a disposizione. Infine il verde non viene più confinato nei parchi, ma diviene un ele- mento in grado di arricchire lo spazio esterno visto come estensione di quello interno delle abitazioni. Nell’immediato dopoguerra l’immagine di Milano è profondamente alterata, soprattutto a causa dei bombardamenti del 1942-43 che hanno distrutto parti estese del centro storico oltre che profondamente compromesso alcuni dei monumenti più rappresentativi della città. Specialmente nei primi anni della Ricostruzio- ne è possibile rintracciare due costanti: il tema della residenza popolare e l’assunzione del razionalismo europeo quale cultura operante in ambito architettonico. E’ il 1947 quando la Triennale riapre le porte per la prima volta dopo il conflitto mondiale. Il commissario straordinario di questa Triennale nominato dal Comitato di Liberazione Nazio- nale (CNL) Alta Italia è Piero Bottoni. Nel con- siglio dell’ottava esposizione vi erano, tra gli altri, anche Franco Albini, Lodovico Belgiojoso, Ignazio Gardella, Gino Pollini, Ernesto Nathan Rogers. Il tema è imprescindibile: la Ricostru- zione. Vista l’esigenza abitativa e con alle spalle sperimentazioni e studi sul tema dell’abitazio- ne popolare e sull’idea di area metropolitana, viene recuperata l’idea di G. Pagano, P. Bottoni e M. Pucci del 1935 di un quartiere sperimen- tale in collaborazione con la Triennale. Il QT8, quartiere sperimentale Triennale VIII, è pen- sato come un’esposizione volta a dimostrare e sottoporre a giudizio collettivo le capacità dell’architettura moderna nell’affrontare il tema della casa per tutti. Bottoni vuole soprattutto superare l’idea di quartiere come antologia di architetture moderne su modello delle pre- cedenti esperienze europee del Weissenhof di Stoccarda del 1927 e della Werkbund Siedlung di Vienna del 1932. A questa idea di fondo si aggiungono altri temi fondamentali: la ricerca e la sperimentazione di nuovi metodi di indu- strializzazione e di prefabbricazione edilizia, l’esplorazione della varietà tipologica e una nuova declinazione del tema del verde, inteso come elemento strutturale del quartiere stes- so al pari di tutte le altre componenti. Il QT8 si pone come punto di arrivo delle riflessioni sul quartiere popolare e forte della sua natura sperimentale Bottoni stesso scrive: “Il QT8 è un quartiere sperimentale e come tale ospita esperienze favorevoli e sfavorevoli, ma sempre utilissime ad una indicazione pre- cisa del meglio che in esso, e anche altrove, si dovrebbe fare e del peggio che sarà da evi- tare. Il QT8 è un esempio di un quartiere che è libero dalle codificazioni regolamentari che vincolano altri quartieri della città, l’unico che a Milano presenti le condizioni urbanistiche ideali per l’architettura moderna [...] Le esperienze del QT8 hanno influenzato, e influenzano di- rettamente o indirettamente, certi aspetti della tecnica urbanistica al di fuori dei suoi limiti territoriali”. P. Bottoni, Il quartiere sperimentale della Triennale di Milano QT8, in “Quaderni Triennale Domus”, n. 6, Milano, 1947, p. 118. I temi sonola quantità e la qualità delle attrez- zature collettive, l’articolazione gerarchica delle strade, la ricerca di una unità a dell’insieme attraverso una disposizione ritmica degli ele- menti della composizione, ossia gli spazi vuoti e pieni, le masse artificiali e naturali, i volumi pubblici e privati, il tutto organizzato dentro una griglia geometrica. Altro tema problematico per il quartiere della Triennale, comune a tutti nuovi insediamenti, era quello dell’isolamento rispetto alla città, viene ripreso e studiato da Bottoni, il quale pre- vede sin dall’inizio un collegamento su rotaie che sarà poi la linea metropolitana nel 1964. Il quartiere viene progettato come un sistema aperto, non più fortilizio di un’enclave operaia, ma ingranaggio di una macchina complessiva costituita da strade ed arterie della città che cresce. La periferia viene intesa da Bottoni non come una condizione di emarginazione, ma come naturale espansione della città proiettata in un’area metropolitana. Al problema della casa popolare e alla convinzione della funzio- ne sociale dell’architettura affiancò sempre stu- di sull’unità abitativa che la ricerca tecnologica.