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Felice Casorati: in questa opera abbiamo un sapore di sospensione, di silenzio, di figure statuarie molto ordinate, con la luce che entra di taglio in questo salotto. Tutto congelato e frenato li in qualche cosa per cui non ci basta prendere atto di ciò che c’è. Non c’è solo la volontà di descrivere questo salotto, ma anche la volontà di descrivere una sensazione. È un po’ come l’arte del primo Rinascimento con Piero della Francesca, come la “Madonna di Senigallia”, per esempio. C’è qualcosa che io vedo, ma non c’è solo quello che vedo, c’è una forma di mistero e di mistica che è nell’ambiente, così come l’opera di Casorati. Casorati, “Meriggio”: siamo in una stanza con 2 donne nude che dormo su una coperta e una figura di spalle che sta leggendo e in primo piano un cappello e delle pantofole cardinalizie. Cosa ci fanno questi oggetti in uno spazio che sembra un po’ un bordello? Vediamo queste tende che nascondono, c’è qualcos’altro che ha occultato i nostri occhi, c’è un’atmosfera di totale quiete in questa rappresentazione. Ancora una volta c’è qualcosa che non ci arriva direttamente, è un mistero, è magico anche per questo perché ci sono sempre degli elementi misteriosi nonostante noi vediamo tutto, tutto è molto dettagliato e preciso eppure ci manca sempre un pezzo. Quindi 3 correnti: Futurismo, Ritorno all’ordine e Realismo magico. Queste correnti sono tutte correnti di arte da cavalletto, quindi un’arte soggettiva che in questo periodo viene abbastanza contrastata, nel senso che c’è un movimento italiano che si chiama Novecento, sostenuto da Margherita Sarfati, giornalista vicina a Mussolini, che ha protetto e nutrito un gruppo di artisti che lavoravano in queste direzioni artistiche, ma l’arte preferita era la decorazione. Spesso viene criticata l’arte da cavalletto proprio perché è un’arte individualista nella quale non si pensa al bene comune e un’artista promotore della grande decorazione come Sironi anche lui lavora con l’arte da cavalletto e la distingue la sua produzione: c’è l’arte da cavalletto e la pittura murale. Non solo presenta soggetti differenti, ma anche modalità stilistiche differenti, perché l’arte da cavalletto è un pittura introspettiva in cui posso indagare il mondo che mi circonda e gli stati d’animo, nella decorazione non posso. Sironi è sardo, è il più grande muralista di questo periodo, nasce a Sassari nel 1885, si forma a Roma come pittore, quindi conoscendo Balla, Boccioni, Severini. Soggiorna in Germania, in Francia (Parigi), quindi ha uno spettro piuttosto ampio dal punto di vista stilistico, ma la sua opera attaccata al letto è un’opera che spesso indaga la condizione umana nelle nuove città, nella periferia. Tema (la vita quotidiana e la città) caro ai futuristi, però loro lo raccontavano con un lato positivista. Ad esempio Boccioni dipinge “officina porta romana”, dipinto nel quale vediamo un quartiere di Milano che si trova fuori dalla prima cintura, quindi fuori dalle porte della città, un’area ancora agricola nella quale si stanno innestando officine e fabbriche popolari (destra del dipinto). La vita è scandita tra il ritmo degli operai in fila lungo il muro che vanno a lavorare e i contadini che stanno lavorando nel campo. Un campo che sta andando a scomparire, ce lo dice l’ombra del grande condominio che si proietta sul campo, è come se fosse già l’area di impiego di un altro edificio. Per i futuristi questa visione, ovvero la sparizione della campagna, non è da guardare con malinconia, anzi è meglio perché la città deve vincere sulla natura. Uno dei motti futuristi era: uccidiamo il chiaro di luna, ovviamente voleva dire uccidiamo la poetica romantica attraverso le luci artificiali, i lampioni. Così la natura che ancora lambisce la città deve essere sostituita dalla città che si espande. Boccioni: “la città che sale”: opera piena di energia che sembra quasi astratta ma in realtà è figurativa, la grande macchia rossa al centro è un cavallo, dove l’elemento blu è il giogo e a sinistra troviamo un altro cavallo però di colore bianco. 2 cavalli imbizzarriti e degli uomini tutto intorno che stanno cercando di trattenere l’energia di questi cavalli. Il cavallo per i futuristi è il simbolo dell’energia dirompente che proietta verso il futuro, è l’energia della velocità e quindi è inarrestabile. Questa scena di vita quotidiana si trova all’interno di un cantiere poiché dietro vediamo un edificio in costruzione e una ciminiera, elemento della nuova città (in alto a destra), mentre in alto a sinistra troviamo un tram, un mezzo di trasporto innovativo e veloce. Mario Sironi parte da questa poetica della città e del luogo della città per arrivare a raccontare, invece, l’angoscia della solitudine della città. Da un lato attinge al realismo magico, dall’altro attinge al cubismo per le forme molto secca, da una patte al strutturalismo. Le città di Sironi sono città abitate e vuote al contempo, c’è un camioncino che viaggia da solo per la strada, una grande muraglia di una fabbrica, un uomo da solo che appare appena davanti a questo muro e i condomini con delle finestre buie. Questo è quello che la città è per lui, quindi una chiave che evidentemente non può piacere al governo. Questa pittura non può essere apprezzata perché è una pittura che indaga la condizione umana e mette in evidenza il malessere dell’uomo di città. Il governo fascista voleva le immagine delle città moderne, funzionali e funzionanti, dove era bello stare e dove tutto era smagliante e ben organizzato e ordinato. Quando lui si presenta come decoratore rinuncia a questo linguaggio, preferendo un linguaggio simbolico molto netto, fatto di tematiche antiche: allegoria della giustizia, i soldati vestiti alla romana con l’armatura, spesso compare il fascio littorio, l’aquila… quindi simboli del mondo romano antico utilizzati poi nella poetica fascista. La pittura murale, per Sironi, non è un’estensione della pittura da cavalletto, non solo per le tematiche, ma anche per la resa formale. La pittura murale risponde a delle regole compositore e formali differenti dalle pittura da cavalletto, c’era un grande dibattito in quegli anni: nella Bauhaus, per esempio, Kandinsky che insegnava decorazione, proponeva la decorazione come forma di ingrandimento del dipinto, invece che farlo s una tela lo fatto su una parete, ma strutturalmente e concettualmente è l’idea dell’artista che deve vivere, la sua ricerca. Per Sironi invece, prima di tutto, la pittura e la decorazione murale non deve creare inganno, deve essere chiara, cioè deve rappresentare una verità e per farlo deve rinunciare ad una serie di stratagemmi che tradizionalmente erano impiegati nelle arti decorative, rinuncia alla prospettiva, per esempio, perché a quel punto il muro diventa illusione, apre lo spazio che non c’è, quindi non ci deve essere prospettiva perché il muro deve essere percepito come tale. L’immagine che vi si applica non deve creare l’idea che ciò che esiste sull’immagine sia in un’altra dimensione, sia in un altro spazio e quindi in un altro tempo da quello che è vissuto dallo spettatore. L’immagine quindi deve stare dentro al mondo dello spettatore, quindi non deve sfondare percettivamente il muro, ma anzi deve rinforzare la presenza effettiva della muratura. Sironi scrive nel 1933 “il manifesto della pittura murale”, dove mette tutte le regole che voleva che venissero rispettate, ad esempio dice: l’arte tornerà ad essere quello che fu nei suoi periodi più alti e in seno alle più alte civiltà, un perfetto strumento di governo spirituale. Quindi è per questo che non deve ingannare, perché deve governare lo spirito delle persone. “Muri ai pittori”, articolo di Corrado Cagli che aveva scritto sul Quadrante, rivista milanese nel 1933. Corrado Cagli quando scrive questo testo era un ragazzo di vent’anni circa e racconta di un approccio disciplinare molto diverso da quello che può esserci oggi, da quello che può essere la condizione attuale di uno street artist. In questo articolo individua fondamentalmente una tendenza verso il primordiale, quindi non è il fatto di ritornare alla pittura murale una questione di orpelli, quindi ripristinare l’uso dei bozzetti, dei cartoni, cioè di fare come se fossimo nel passati. La cosa importante è la capacità del recuperare la radice, primordiale è da intendersi come elemento radicale della cultura tradizionale. Si scagli contro l’architettura razionalista che tende a negare la presenza della decorazione, il muro bianco, come dice lui. Non vuole neanche sostenere il fatto che si debba ritornare a sterili utilizzi delle arti per sovraccaricare un’architettura, ma è la collaborazione (come dice lui: la collaborazione delle arti se non delle specializzazioni). Quindi quello che lui propone è che un progetto architettonico nasca dalla compartecipazione delle competenze di diverse persone. Spesso anche il lavoro di Mario Sironi è un lavoro che nasce dalla sua idea ma poi dall’impiego di maestranze, come succedeva nel passato. Quindi disegno la grande vetrata della carta del lavoro, ma non la faccio io la faccio fare ai grandi maestri vetrai, e la struttura di supporto la faccio fare a Gio Ponti che è ingrato di calcolare come si fa correttamente questo lavoro. Il risultato è una compartecipazione di competenze.