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Questa opera è una tanka, un dipinto tibetano realizzato su un supporto di tela. Vi sono raffigurate tre storie tratte dall’Avadanakalpalata, testo scritto nell’undicesimo secolo dal poeta buddhista Kshemendra. L’Avadana è un tipo di letteratura buddhista che mette in correlazione le azioni virtuose delle vite passate con quelle successive, così da illustrare il funzionamento del karma. Le storie qui illustrate narrano le vicende di Mandhatar, Candraprabha e Supriya. La tanka appartiene allo stile karma sgarbris, ed incorpora elementi dello stile pittorico cinese della dinastia Ming. La tecnica usata è tibetana, ma le tonalità chiare e le sottili gradazioni di colore rimandano all’arte della tempera cinese. I personaggi non sono dimensionati a seconda del loro posto nella gerarchia divina, ma calati in ambienti proporzionati rispetto alle loro dimensioni. Queste caratteristiche fanno in modo che questo tipo di opera risulti molto leggibile. Per leggere ed interpretare questa tanka è necessario comprendere in che modo il linguaggio visivo orientale differisce da quello occidentale. La disposizione delle scene non segue criteri cronologici, bensì spaziali: le scene salienti di ogni storia sono raggruppate tra loro ma non disposte in ordine cronologico, ed ogni storia occupa un’area specifica dell’immagine. Il primo racconto è quello di Mandhatar. Egli fu un personaggio nato divinamente e sempre accompagnato dalle virtù, e tutti i suoi successi, così come la sua disfatta, sono stati governati da forze karmiche. Il re Uposhadha, vagando un giorno nella foresta, incontrò alcuni asceti. Essi gli offrirono acqua consacrata che conferiva il potere di generare prole. Dopo qualche tempo, un bambino divinamente bello uscì dal cranio del re e venne chiamato Mandhatar. Sulla Terra non si era mai visto un essere più fortunato: Mandhatar riuscì a raggiungere l’alta posizione di Chakravartìn, Ovvero il sovrano ideale o imperatore universale, “colui che fa girare la ruota”. Le sette gemme non lo abbandonarono mai: La regina, La ruota, Il gioiello, Il saggio ministro, L’elefante bianco, Il cavallo eccellente, e il migliore fra i generali. Egli conquistò il Jambudvipa, il continente dell’India, dopodiké proseguì nella conquista dei restanti continenti in cui è suddivisa la Terra secondo la cosmografia buddhista, e mantenne sempre un cuore umano e misericordioso. Per esempio, un giorno, dopo essersi recato in una foresta, notò che a tutti gli uccelli erano state tagliate le ali. Venne informato dai ministri che ciò accadde a causa della maledizione di alcuni asceti, le cui meditazioni erano state disturbate dal battito delle loro ali, e per questo esiliò gli eremiti dal suo regno. Dopo aver conquistato tutta la Terra, procedette alla conquista dei cieli. Il suo esercito avanzò nello spazio, verso la cima del Monte Meru. In questo modo, gli Dei furono dominati dal suo governo e Mandhatar regnò seduto sul trono degli Dei insieme a Indra, re degli Dei. Tuttavia, dopo molto tempo, Mandhatar si stancò di condividere il trono con Indra e volle regnare da solo. A causa di questo desiderio malvagio e ambizioso venne scagliato giù dal cielo. Cosa causò la sua fortuna e cosa causò la sua rovina? Egli era stato così fortunato perchè ai tempi del Buddha Vipashin aveva dato a questo una manciata di fagioli. I doni presentati al Buddha hanno un grande potere, così come l’incuria porta grande sfortuna. Infatti, mentre faceva il suo dono, aveva fatto distrattamente cadere a terra dei fagioli, perciò, esauriti i frutti della sua buona azione, cadde dal cielo e la sua fortuna svanì. La seconda storia, invece, è dedicata a Candraprabha. Nella città di Bhadrashila, a nord del monte Kailasha, regnava Candraprabha, che pose la generosità sopra a tutte le virtù, facendo un voto. Qualunque questuante si fosse presentato alla sua porta non sarebbe andato via senza aver ottenuto quello che chiedeva. Invidioso della sua gloria, il vile Rudraksha concepì l’idea di chiedere in dono la sua testa: se il re avesse rifiutato avrebbe infranto il suo voto, e se l’avesse data sarebbe stato eliminato. La dea protettrice della città, dopo aver saputo di questo piano, tentò di avvisare il re per fermare il destino. Anche il Primo ministro Manidhara, dopo aver visto in sogno la richiesta di Rudraksha, cercò di salvare il re facendo produrre delle teste fatte di preziosi da offrire al posto della testa del sovrano. Candraprabha, dopo aver sentito il racconto della dea, ordinò che Rudraksha fosse condotto alla sua presenza, e per non venire meno al suo voto, acconsentì alla richiesta senza esitazione. Il re andò nella foresta, esprimendo il desiderio che attraverso il bene risultante dal suo sacrificio tutti gli esseri creati potessero superare il ciclo delle loro nascite e morti, e poi si tagliò la testa per offrirla a Rudraksha. L’ultimo racconto è quello di Supriya. Una volta, il Buddha, partito da Magadha con una carovana, incontrò alcuni banditi che lo lasciarono passare in modo da derubare la carovana che stava per arrivare. Comprendendo la loro intenzione, il Buddha fece apparire misteriosamente un tesoro e diede loro ricchezze corrispondenti al valore del carro, poiché i banditi avevano detto che non sarebbero riusciti a sussistere senza. Il Buddha fu invitato a condividere il pasto con loro e illuminò le loro menti a tal punto da convertirli. A quel punto il Buddha raccontò loro la storia delle loro vite passate… Ai tempi del re Brahmadatta, un ricco mercante chiamato Priyàsena viveva a Varanasi. Dopo la sua morte suo figlio Supriya fece il voto di raccogliere ricchezze così grandi che la povertà sarebbe scomparsa dalla faccia della terra. Con il suo cavallo, egli partì per il paese delle Gemme, ma lungo il viaggio incontrò alcuni briganti che volevano attaccare la sua carovana. La riscattò sei volte, ma i briganti non rinunciarono alle loro rapine. Supriya si accorse che il suo scopo era del tutto disperato, perché “la fortuna è una e quelli che chiedono sono molti, non è possibile ottenere abbastanza ricchezze per soddisfare tutti quelli che chiedono”. Egli era addolorato perché non era riuscito a soddisfare i briganti, nonostante il suo voto fosse quello di riempire il mondo di ricchezze. Durante il sonno però comparve una dea, che gli consigliò di andare a Vadaradvipa, un’isola al di là dei sette mari, sette catene montuose e sette continenti. La dea disse: 'Nulla esiste in questo mondo, nemmeno ciò che sembra difficile da realizzare nelle fantasie dei nostri sogni, che non può essere ottenuto, attraverso perseveranza, da uomini forti e risoluti'. Gli descrisse la via per raggiungerla e gli insegnò a evitare i pericoli che avrebbe incontrato durante il viaggio. Se fosse stato forte e puro sarebbe arrivato all’isola dove avrebbe trovato tesori sufficienti per adempiere al suo voto. Seguì l’invito della dea, e dopo mille peripezie tornò carico di ricchezze a Varanasi, dove fu eletto re al posto del re Brahmadatta, nel frattempo morto. I briganti che avevano invitato il Buddha a condividere il loro pasto erano gli stessi briganti che si erano fermati e l’avevano derubato sei volte di seguito, mentre si dirigeva verso il Paese delle Gemme.