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La città rimase feudo dei Caracciolo dal 1581 al 1806, allorquando la Regia Udienza della provincia del Principato Ultra ebbe sede a Montefusco. In tale periodo Avellino conobbe una lunga stagione di crescita demografica, di espansione urbanistica e di progresso economico. Tra il 1581 ed il 1591 il feudatario Marino Caracciolo introdusse in città la fabbricazione dei tessuti di lana. I suoi successori avrebbero ampliato tale attività economica ad aree limitrofe come Sanseverino, Atripalda e Serino. Tali manifatture sarebbero rimaste un elemento centrale nella vita economica del feudo sino alla fine del XVIII secolo. Il commercio trovò una sede monumentale nella Dogana dei grani. Durante il primo secolo della loro Signoria, i Caracciolo ampliarono il castello fino a farlo diventare un punto di riferimento per poeti e viaggiatori. Ad ogni modo, ancora nel 1622 Avellino costituiva un centro di modeste dimensioni con i suoi 516 fuochi, superata da diversi altri borghi della provincia (a quel tempo Ariano, la cittadina più popolosa del Principato Ultra, contava 1899 fuochi). La peste del 1656 costituì poi una battuta d'arresto, sia pur temporanea, allo sviluppo cittadino. La terribile epidemia descritta dal Manzoni con crudo realismo nel romanzo dei Promessi Sposi, aveva già colpito il territorio milanese solo qualche decennio prima, dilagava ora in tutto il Mezzogiorno ed in particolare nel Napoletano: a metà del Seicento Avellino aveva perso circa tre quarti della sua popolazione, assumendo un aspetto di cupa desolazione. Tale epidemia, che si diffuse in maniera violenta e repentina anche nell'avellinese, fu dettagliatamente descritta nella "Historia del Contagio di Avellino" da Michele Giustiniani (1612-1679). Le ipotesi dell'abate sulle origini e le cause della pestilenza furono diverse e attribuite in primo luogo alla possibile distribuzione di pesce putrefatto proveniente dal Mar Baltico; la seconda ipotesi risale alla diffusione di veleno in polvere sparso in vari luoghi della città da presunti nemici dei signori spagnoli. Altre ipotesi si basavano sulla possibilità che lane e panni provenienti dalla Sardegna, trasportati da una nave di soldati (che già nel 1652 avevano infettato l'isola), avessero fatto scaturire velocemente il contagio. Fu soltanto nel Settecento, infatti, che la città cominciò ad assumere l'odierna conformazione urbana: i principi Caracciolo abbandonarono il castello, si trasferirono in una nuova residenza, il palazzo Caracciolo, sede dell'amministrazione provinciale, e avviarono i lavori per la creazione del corso principale della città. Con l'abolizione del feudalesimo, nel 1806 il capoluogo di provincia del Principato viene portato dalla vicina Montefusco ad Avellino. La città fu una delle sedi dei moti del 1820-1821. La diffusione, nel marzo 1820, anche nel Regno di Napoli, della conquista in Spagna del regime costituzionale contribuì notevolmente ad esaltare gli ambienti carbonari e massonici. A Napoli, la cospirazione (la quale non si pose mai l'intento di rovesciare il re, ma solo di chiedere la costituzione) prese subito vigore e coinvolse anche alcuni ufficiali superiori, come i fratelli Florestano e Guglielmo Pepe, Michele Morelli, capo della sezione della carboneria di Nola cui si affiancarono Giuseppe Silvati, sottotenente, e Luigi Minichini, prete nolano dalle idee anarcoidi. La notte tra il 1º e il 2 luglio 1820, la notte di San Teobaldo, patrono dei carbonari, Morelli e Silvati diedero il via alla cospirazione disertando con circa 130 uomini e 20 ufficiali. Il giovane ufficiale Michele Morelli, sostenuto dalle proprie truppe, procedeva verso Avellino dove lo attendeva il generale Guglielmo Pepe. Il 2 luglio, a Monteforte, fu accolto trionfalmente. Il giorno seguente, Morelli, Silvati e Minichini fecero il loro ingresso ad Avellino. Accolti dalle autorità cittadine, rassicurate del fatto che la loro azione non aveva intenzione di rovesciare la monarchia, proclamarono la costituzione sul modello spagnolo. Dopodiché gli insorti passarono i poteri nelle mani del colonnello De Concilij, capo di stato maggiore del generale Pepe. Questo gesto di sottomissione alla gerarchia militare, provocò il disappunto di Minichini che tornò a Nola per incitare ad una rivolta popolare. Mentre la rivolta si espandeva a Napoli, dove il generale Guglielmo Pepe aveva raccolto molte unità militari, il 6 luglio, il re Ferdinando I si vide costretto a concedere la costituzione. Dopo pochi mesi, le potenze della Santa Alleanza, riunite in congresso a Lubiana, decisero l'intervento armato contro i rivoluzionari che nel Regno delle Due Sicilie avevano proclamato la costituzione. Si cercò di resistere, ma il 7 marzo 1821 i costituzionalisti di Napoli comandati da Guglielmo Pepe, sebbene forti di 40.000 uomini, furono sconfitti a Rieti dalle truppe austriache. Il 24 marzo gli austriaci entrarono a Napoli senza incontrare resistenza e chiusero il neonato parlamento. Dopo l'Unificazione della Penisola lo Stato italiano tagliò fuori la città dalle principali vie di comunicazione, impedendone lo sviluppo. In compenso, "le prime giunte post-unitarie, guidate da Capuano, Villani e, successivamente, De Feo, si impegnarono a trasformare la città, migliorandone la viabilità, l’igiene, l’illuminazione; questo programma si tradusse in una serie di opere pubbliche". Nel 1888 ad Avellino arrivò l'energia elettrica.