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La chiesa di San Bartolomeo è il luogo di culto cattolico di Albino, in provincia di Bergamo con la facciata principale rivolta su piazza Canevali, e il lato a nord su via Vittorio Veneto, nell'antico centro storico cittadino verso piazza San Giuliano e la chiesa omonima. La chiesa in romanico lombardo, conserva opere di importante rilievo artistico e culturale dei secoli XV e XVI. La storia della chiesa e del monastero, è legata alla famiglia dei Fornari proprietari del castello di Borgo Fornari che si trovava sulla strada del Passo dei Giovi. Ad Albino abitavano la zona detta sedime degli Umiliati. Il 15 giugno 1336 fra' Andrea Fornari chiese al vescovo di Bergamo Cipriano degli Alessandri il permesso di costruire una chiesa dedicata a san Bartolomeo nelle sue proprietà dette al tovun. Fra' Andrea ebbe l'autorizzazione con l'obbligo di versare una libretta di cera ogni anno alla curia cittadina. Il permesso del vescovo non era sufficiente, serviva il consenso anche del parroco di Albino, che lo concesse alla condizione che fosse salvaguardato il suo diritto di stola che corrispondevano a una parte delle rendite del nuovo luogo di culto. Il medesimo anno il vescovo concesse la costruzione di una domus povera attigua alla chiesa, il monastero dei frati. Il nipote di fra Andrea, Goffarino, aderì alla regola di Sant'Agostino, regola autorizzata poi a tutto il monastero, con l'imposizione dell'11 giugno 1348 del vescovo Bernardo Tricardo di indossare l'abito, la toga e la cappa di panno lana bruno senza cintura Il 5 agosto 1366 fra Gaffarino priore e fra Pagano (nipoti del fondatore fra Andrea) fecero voto di castità, stabilità e obbedienza secondo la regola di agostiniana. Testimoni furono i frati dell'abbazia di San Benedetto. Il 31 luglio 1367 il vescovo Lanfranco de Saliverti, concesse la sepoltura nella chiesa di chi ne avesse espresso il desiderio in vita. Fra le occupazioni dei frati, oltre alla produzione e relativo commercio dei pannilana che era il commercio primario del territorio, compiva anche opere di misericordia. Queste portarono a fare del monastero un centro di riferimento per la comunità cristiana cittadina tanto da costituire la Confraternita della Misericordia di Albino, collegata con il consorzio della Misericordia Maggiore di Bergamo che aveva giò dato un nuovo rinnovamento religioso seguendo con coerenze gli insegnamenti dei Vangeli. La confraternita aveva sede nell'edificio a fianco del monastero detto in Tuvo. Questo portò una diminuzione di entrate per il parroco di Albino, che lamentava questa carenza. Scarsa è la documentazione dei secoli XIV e XV. Notevoli furono i fatti cruenti che attraversarono la cittadina causati dagli scontri tra le famiglie guelfe e ghibelline. Documentata è la strage di quaranta ghibellini seguaci dei Suardi che il 4 marzo 1380 furono trucidati nella chiesa di San Giuliano, e la demolizione della torre dei Dardanoni il 9 maggio 1398 da parte di Bugatto Comenduno. Fu costruito l'hospitale, come luogo di accoglienza dei malati e dei bisognosi. L'amministrazione del monastero e della chiesa erano gestite dal cappellano. Il 17 gennaio 1460 sentendosi troppo anziano per questo compito, il presbitero Giuliano de Aremodis, ottenne dal vescovo Giovanni Barozzi un aiuto nella gestione. I membri del consorzio della Misericordia, per paura che subentrasse un prete estraneo, chiesero e ottennero di essere i primi coadiuvanti della gestione dei beni di San Bartolomeo. Iniziò quindi un periodo di grande ristrutturazione della chiesa con licenza del vescovo Lodovico Donà. Furono collocati gli altari di san Rocco, dell'Immacolata e di Simonino da Trento, portando tutta la navata ad arricchirsi di affreschi, ancone e con la costruzione dei locali della sagrestia, dell'hospitale e il campanile. Francesco Moroni padre del più famoso pittore nel 1547 ottenne l'autorizzazione alla costruzione di un nuovo locale idoneo alla locazione dei diversi alimenti che veniva offerti alla confraternita per i poveri. Il nuovo fabbricato fu adornato nel 1570 dal dipinto della Beata Vergine con il motto della confraternita ad opera del Moroni. Dall'archivio della congregazione della Misericordia è possibile ricostruire i diversi cappellani che si sono susseguiti. Nel XVI secolo, il convento visse una grave controversia che si accese tra le famiglie Benaglia e Moroni. Pre' Giacomo Bonasio, avendo raggiunto un'età avanzata, chiese che a succedergli fosse incaricato Simone Moroni di Albino, il quale ottenne da papa Giulio III un'indulgenza di cento anni per chi visitava l'altare dell'Immacolata della chiesa di San Bartolomeo nei quattro sabati di Quaresima. Nel 1557 il Moroni cedette la cappellania al nipote Marco Moroni che gli fu assegnata il 6 giugno 1560. Gli successe nel 1601 Leonardo Benaglia che abitando a Roma nominò il nipote Sforza Benaglia, senza chiedere il consenso alla confraternita. Alla morte di Sforza Benaglia furono i ministri della confraternita a eleggere il canonico albinese Lodovico Moroni. A questo si oppose Marzio Benaglia che presentò la vertenza al Tribunale della Rota Romana, ritenendo che la cappellania fosse un diritto di famiglia. Il Moroni rimise la causa il 26 aprile 1629 a papa Urbano VIII il quale ascoltato i testimoni e visto gli atti annullò quanto sancito dalla Sacra Rota diventando così cappellano il Moroni.