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Per svincolarsi completamente dalla sua ingombrante presenza, i comuni dell'albinese si posero sotto la protezione del comune di Bergamo, in aperta contrapposizione al potere ecclesiastico. Fu così che venne decisa l'istituzione del Comune Maggiore di Albino (detto anche Concilio Maggiore di Albino), una sorta di distretto intermedio tra il potere vescovile prima, dei Visconti poi, e infine della Serenissima. Questo, menzionato per la prima volta nel 1173, comprendeva le comunità incluse nella conca tra i monti Cereto e Rena, vale a dire Albino, Desenzano, Comenduno, Bondo, Aviatico e le sue frazioni, nonché il censuario di Fiobbio. Ogni borgo eleggeva dei propri membri, detti campari, che avrebbero poi gestito la manutenzione di strade e ponti, nonché le trattative con le Signorie per l'utilizzo dei beni comuni quali prati e boschi. L'istituzione, che nel 1250 ottenne la definitiva autonomia dal Vescovado, ebbe lunga durata, fino a quando il 16 giugno 1816 i comuni sciolsero il patto dividendosi i beni comuni. Conclusasi l'epoca di predominio vescovile, Albino passò sotto l'egida del comune di Bergamo, che nel 1263 inserì la zona nel distretto della Facta della Porta di San Lorenzo. In questa prima fase del periodo comunale ebbero modo di distinguersi grandi proprietari terrieri quali i Signori di Comenduno, i famiglia Suardi, i Riboldi Grassi e i notai Venturino e Pecino Da Gaverina. Tra le competenze comunali vi era anche la gestione del territorio: a tal riguardo venne decisa la costruzione, avvenuta tra il XIII e il XIV secolo, del canale artificiale denominato roggia Comenduna, tuttora esistente. Questa era dotata di bocche di presa che attingevano al corso del fiume Serio nella zona a Nord dell'abitato e veniva utilizzata sia per soddisfare i bisogni irrigui della zona sia per garantire la portata alla roggia Serio Grande, che prendeva vita alcuni chilometri più a valle. Per quest'ultima, di grandissima utilità per il comune di Bergamo, il Comune Maggiore aveva l'obbligo di controllarne le rive, condividendone la gestione della manutenzione con la città. Con l'inizio dell'epoca viscontea, oltre a verificarsi l'unione fiscale tra Albino e Bondo, con quest'ultimo che avanzò anche la richiesta di annessione al capoluogo, cominciarono a verificarsi episodi violenti tra le fazioni guelfe (predominanti presso Albino di Sopra) e ghibelline (Albino di Sotto), nelle quali si trovavano esponenti delle famiglie più in vista. Le cronache riportano di scontri fratricidi per tutto il XIV secolo, dal momento che già nel 1313 si racconta che il Vescovo Cipriano concesse ai cittadini di rifugiarsi nelle mura del suo castello di Albino a causa della guerra presente nel paese e nella valle. Ma il livello di recrudescenza raggiunse l'apice verso la fine del secolo: esponenti della fazione ghibellina nel maggio 1379 incendiarono numerose case tra Desenzano e Comenduno, uccidendo quattordici uomini, mentre il 4 marzo dell'anno successivo quaranta guelfi furono ammazzati nella chiesa parrocchiale. E ancora nel maggio 1398 i guelfi, guidati da Bugatto dei Signori di Comenduno, attaccarono una torre della famiglia dei Da Piano, demolendola, scatenando la ritorsione ghibellina che portò all'incendio di altre abitazioni e all'uccisione di tre persone. Durante queste operazioni furono pure utilizzate diverse bombarde, su questa località verrà poi costruita la chiesa di San Rocco. Numerose furono le tregue stipulate, ma la pace non venne rispettata. Seguirono ancora incursioni ghibelline, con a capo esponenti dei Suardi, nelle quali vennero attaccati mulini e torri presso Albino (settembre 1404), a cui fece seguito una rappresaglia. All'inizio del XV secolo la bergamasca intera fu a lungo contesa dai Visconti di Milano e dalla Repubblica di Venezia, con le varie entità territoriali intente a trattare con gli uni o gli altri al fine di ottenere situazioni maggiormente vantaggiose. Anche Albino contrattò più volte con le due potenze: i primi accordi furono firmati nel 1408 e nel 1416 con il milanese Pandolfo III Malatesta, che garantivano al paese privilegi, autonomia finanziaria e separazione fiscale, offrendo anche la gestione dei dazi su vino e carne. A questi seguirono trattati stipulati con i Veneziani nel 1428, e successivamente ancora con i milanesi tramite Niccolò Piccinino. La parola fine venne data dalla Pace di Ferrara che nel 1433 assegnò tutta la bassa val Seriana alla Serenissima, che mantenne le condizioni di privilegio concesse precedentemente alla zona. La ritrovata stabilità politica permise di arrivare alla definitiva pacificazione sociale. La Serenissima decise infatti di eliminare tutte le fortificazioni esistenti, che vennero quindi demolite oppure riconvertite come abitazioni, dando il via ad un periodo di tranquillità in cui l'intera zona riprese a prosperare. Si svilupparono i commerci e vi fu nuovo impulso per l'agricoltura (frumento e granoturco su tutte) e l'allevamento. Si sviluppò inoltre anche l'industria manifatturiera, con la lavorazione di ferro e acciaio come elemento trainante: ad Albino si trovavano magli e mole (presso il torrente Rio Re e la roggia Comenduna) per la lavorazione del materiale, mentre a Desenzano si svilupparono laboratori per la produzione di coltelli, lame e armi, situazione facilitata dalla presenza di cave pietre coti sulle pendici del monte Misma. Questa nuova condizione, abbinata alla presenza di attività specializzate nella produzione di tessuti (specialmente presso Vall'Alta), portò allo sviluppo di un nuovo ceto borghese, come testimoniato dalla relazione stilata nel 1596 dal capitano veneto Giovanni Da Lezze, nella quale si descriveva Albino come una zona con discreta mercanzia, commerciata anche al di fuori della Serenissima. Tuttavia alla presenza di una dozzina di famiglie dal reddito elevatissimo si abbinava invece una condizione contadina, che raggruppava la maggior parte della popolazione, molto povera. A questa nuova realtà cercarono di opporsi i piccoli centri periferici, su tutti Bondo, basati prevalentemente su un'economia rurale, che richiesero la separazione dal capoluogo. Queste difficoltà si acutizzarono notevolmente nel biennio 1629-1630 quando, in seguito ad una grave carestia, si scatenò un'epidemia di peste che uccise un terzo della popolazione. La protesta si concluse nel 1653 quando il governo di Venezia stabilì la suddivisione del territorio comunale di Albino in cinque contrade interne (Cim'Albino, Piazza Camparo, Chiesa, Albina e Him'Albino) e quattro esterne (Bondo, Petello e Dosso uniti, Fiobbio con Berlino, Aviatico e Ama con Amora e Ganda) che di fatto assunsero l'autonomia amministrativa. Il passaggio dalla Repubblica di Venezia alla Repubblica Cisalpina, avvenuto nel 1797, lasciò indifferenti gli albinesi, dal momento che sul territorio non si verificarono né episodi di solidarietà verso la dominazione uscente, né di giubilo verso la nuova realtà, visto che non fu piantato nessun albero della libertà, come invece voleva la prassi napoleonica. La costituenda repubblica, oltre a riorganizzare il territorio che vide Albino e la valle Seriana inseriti nel Dipartimento del Serio, si volle dare una costituzione, per la redazione della quale furono inviati ai Comizi nazionali di Lione alcuni deputati, tra i quali figurava anche l'albinese Ottavio Negrisoli. La successiva restaurazione portata dal Congresso di Vienna diede l'Italia agli austriaci, che instaurarono il Regno Lombardo-Veneto. Negli anni seguenti anche ad Albino, così come in gran parte della provincia di Bergamo, si svilupparono sentimenti patriottici per la nascita di una nazione italiana, che sfociarono nei moti del 1848, a cui partecipò attivamente anche l'albinese Giovanni Battista Spinelli, attivo a Bergamo su incarico di Gabriele Camozzi. Il passo decisivo verso l'unità d'Italia fu dato dalla Spedizione dei Mille del 1860, alla quale parteciparono anche i cittadini albinesi Giovanni Battista Poletti ed Enrico Piccinini. In quegli anni la popolazione crebbe in modo considerevole, con il capoluogo che cominciò ad attrarre in modo significativo gli abitanti dei paesi vicini. Questo fenomeno si acutizzò ulteriormente dal 1875, anno in cui nella porzione meridionale del territorio venne creato, da parte della famiglia svizzera degli Spoerry ai quali dopo una decina di anni subentrarono gli Honegger, un importante insediamento industriale che sfruttava la potenza idrica garantita dalla roggia Serio Grande. Pochi anni dopo, alla manifattura Spoerry- Honegger si aggiunse anche il cotonificio Borgomanero (poi diventato Albini), sorto più a Nord lungo la roggia Comenduna. Questa situazione portò Albino ad acquisire una centralità nell'ambito dell'economia bergamasca, tanto che verso fine secolo un telaio su otto risultava operante proprio nel paese seriano. Con 1.400 operai operanti nel settore (dei quali l'85% erano donne e minori) si verificarono importanti variazioni sociali, le prime rivendicazioni sindacali (1893) e una sempre più crescente marginalizzazione dei centri limitrofi rispetto al capoluogo. Un ulteriore impulso all'economia locale venne dall'apertura sia della Ferrovia della Valle Seriana, che dal 1884 permetteva il collegamento di merci e passeggeri da Bergamo a Clusone, che del cementificio Guffanti. Quest'ultimo, di proprietà di una famiglia di piccoli manifatturieri, si sviluppò notevolmente andando poi a fondersi con la Società Fabbriche Riunite Cemento e Calce, formando l'Italcementi.