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I più antichi reperti rinvenuti sul territorio albinese riconducono all'età preistorica: tra questi si segnalano resti pleistocenici ritrovati nella valle del Lujo, in località montuose al di sopra dei centri abitati delle frazioni di Abbazia e Casale. Tra questi siti, quello di maggior importanza è il Coren bűs, esplorato in ricerche speleologiche effettuate nel 1938 e nel 1982, nel quale si segnalano resti fossilizzati di fauna pleistocenica, tra cui suini, pecore, cani, uno stambecco, un bue e un orso (Ursus spelaeus). In essa inoltre sono emersi anche alcuni frammenti di selce, databili ad un periodo prossimo al X millennio a.C., riconducibili alle prime forme di presenza umana, nella fattispecie a gruppi di cacciatori che salivano d'estate dal fondovalle per cacciare. Inquadrabili in questo ambito sono anche i reperti rinvenuti in alcune cavità naturali, situate nella valle dell'Albina (a monte della località di Petello in territorio di Aviatico), nelle quali si svilupparono alcuni tra i primi gruppi sedentari della valle Seriana. In queste, conosciute con il nome di Büs de Scabla e Paradiso degli asini, sono state rinvenute sepolture dell'età del rame e presenze riferibili all'età del bronzo finale. Sempre in posizione elevata, ma nella piccola valle del Rovaro (che scende dal monte Rena nei pressi del confine con Gazzaniga e Aviatico), si trova la Grotta Corna Altezza nella quale sono state trovate tracce di frequentazioni preistoriche e sepolture riconducibili all'età del rame, periodo al quale sono databili anche i resti emersi nelle vicinanze del Colle Gallo, e un pugnale litico tipico della Cultura di Remedello, riconducibile ad un periodo attorno al III millennio a.C., rinvenuto presso la frazione Casale. In quest'ultimo borgo, di grande rilievo è la scoperta avvenuta nel 1990 durante gli scavi per la costruzione del campo sportivo, in località Cap del Pir. In quell'occasione emersero resti di un insediamento stanziale neolitico, databile attorno al V millennio a.C., tra cui capanne in legno e due pozzi per l'acqua. Sulle pendici del monte Misma numerosissime sono infine le cosiddette officine litiche, ovvero le aree in cui avveniva lo sfruttamento e la lavorazione della selce. Collocate ad un'altezza compresa tra i 600 e i 1.000 m s.l.m., risalgono ad un periodo compreso tra il neolitico e l'antica età del bronzo, con una notevole intensificazione dello sfruttamento nell'età del rame (circa 3.000 a.C.). Il livello di antropizzazione tuttavia rimase molto basso per parecchi secoli: i primi stanziamenti fissi di una certa consistenza possono essere fatti risalire al periodo della conquista dei Galli Cenomani, tra il VI e il V secolo a.C., come si evince da alcuni toponimi presenti sul territorio comunale. A tal proposito il nome della frazione Comenduno è di chiara matrice celtica poiché il suffisso –dun veniva utilizzato dalle popolazioni celtiche per indicare un luogo sito in prossimità di colli o monti. Una prima urbanizzazione avvenne in epoca romana, come testimoniato sia da numerosi reperti, che dalla stessa origine del toponimo del paese, che deriverebbe da Albinus, probabile fondatore del primo nucleo abitato, oppure da Albus (bianco). Meno probabile invece la connessione con il gallico alb, che indica genericamente un territorio sopraelevato. La colonizzazione venne notevolmente favorita dalla presenza di risorse minerarie, su tutte il cadmio (ricavato dal rame) di ottima fattura e le pietre coti, come testimoniato da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. Segni di quei tempi sono stati trovati su gran parte del territorio comunale, a dimostrazione della capillarità dell'urbanizzazione avvenuta. Tra i principali reperti vi sono una stele funeraria recante un'epigrafe di Publio Furio Ilaro, abitante di questi luoghi già duemila anni fa, originariamente murata nella chiesa parrocchiale di San Giuliano e ora collocata presso il museo archeologico di Bergamo, e i resti di una necropoli risalente al III secolo presso Comenduno. In quest'ultima, scoperta nel 1880, emersero nove tombe, una zona adibita a cremazione, e una serie di monili e oggetti appartenuti ai defunti, con ben 73 monete. Altre testimonianze ci giungono anche da una punta di lancia emersa a Desenzano, alcuni resti di tubature in terracotta in località Ripa e numerosi segni legati alla transumanza. Tra questi si segnalano alcune ceramiche di periodo tardo-romano, rinvenute nella Buca delle capre (posta nelle vicinanze di Casale), databili attorno al IV-V secolo, e in altre grotte frequentate anche in epoca preistorica: è il caso della Corna Altezza e del Paradis di Asegn. In entrambe sono emersi resti di sepoltura, mentre nella seconda anche monili (un anello in ferro, campanelli in bronzo, un pettine, un orecchino), una moneta, ceramiche e anfore. Dopo la caduta dell'impero Romano il territorio albinese, al pari di gran parte dell'area della Gallia Cisalpina, passò prima ai Longobardi, dei quali poche sono le testimonianze dirette, e poi al Sacro Romano Impero. Quest'ultima istituzione basò la sua organizzazione sul sistema feudale, che prevedeva la gestione delle terre imperiali da parte di un beneficiario incaricato dall'Imperatore. Albino e il suo circondario, così come gran parte della bassa val Seriana, fu dato in gestione al vescovo di Bergamo, come testimoniato direttamente dal primo documento, datato 898, in cui viene citato il nome di Albinus. In quell'atto difatti si descrive una permuta effettuata nelle terre di proprietà del Vescovo Adalberto, nelle località albinesi nominate Runcolo (terreno da poco dissodato) e Sablone (terreni nuovi presso il fiume Serio). Successivamente compare anche il nome delle vicine località quali Bundo nel 993, Disinciano nel 1040 e Comenduno nel 1084. A partire dal X secolo Albino non venne più indicato come villaggio, ma come corte, ovvero centro di una certa importanza di proprietà signorile. Nella corte albinese, inizialmente appartenente alla Pieve di Nembro, era presente la Cappella di San Daniele, di proprietà vescovile, della quale non esistono tracce. L'autorità ecclesiastica cercò di legittimare in modo inequivocabile i suoi possessi, sui quali aveva un potere pari a quelle dello Stato, arrivando a redigere un falso documento datato 968, secondo il quale l'Imperatore Ottone le concedeva piena giurisdizione sulla città di Bergamo e la val Seriana. Nel frattempo la valle del Lujo era quasi completamente disabitata, fatta eccezione per il villaggio di Casale, nel quale si sviluppò una particolare forma di organizzazione fondiaria e della proprietà, nella quale un gruppo di contadini liberi prese in affitto dei poderi, disboscando piccoli appezzamenti di terra. Il primo nucleo, risalente ad un periodo compreso tra l'VIII e il IX secolo, venne fondato da contadini provenienti dal paese di Albino, come testimoniato dalle decime su quelle terre riscosse dalla chiesa di San Giuliano. L'impulso decisivo per lo sviluppo della valle del Lujo, in quei tempi conosciuta come Vallalta, per via della sua posizione più elevata rispetto alla val Seriana, si ebbe nel 1136, quando venne decisa la fondazione di un monastero al fine di valorizzare quelle terre altrimenti senza alcuna resa. L'abbazia, posta alle falde del monte Misma in quella che è la frazione che ne porta il nome, venne intitolata a San Benedetto ed assoggettata direttamente ai possedimenti della Sede Apostolica, rimanendo de facto terra separata per oltre sei secoli. In quei tempi la Curia di Albino acquisì notevole importanza, tanto che nel 1186 i suoi confini si estendevano dal torrente Nesa, ad Alzano, fino a Colzate. Il potere che essa esercitava era pari a quello signorile di alcune famiglie, come i Capitani di Cene, con i quali entrò più volte in conflitto per il comando di parti del territorio. Il potere del Vescovo era molto ampio: poteva giudicare, arrestare, condannare, comminare multe e disporre il sequestro dei beni. I processi si svolgevano in un palazzo compreso nel castello del Vescovo che era posto presso piazza dei Caduti, in posizione di controllo sulla strada principale della valle, lungo cui si sviluppava il borgo. Confiscato nel XIX secolo e demolito il secolo successivo, includeva due torri (la principale alta quattro piani a pianta quadrata) e la chiesa di Santo Stefano. In breve tempo però le dimensioni della Curia albinese si ridussero notevolmente, tanto che nel 1178 cedette in perpetuo i diritti che vantava presso Bondo a famiglie della città di Bergamo (Zoppo, Adelasi, De Paltriniano). Pochi anni più tardi anche Nembro e Pradalunga passarono nelle mani di altri vassalli vescovili, mentre nella prima metà del XIII secolo ottennero l'emancipazione anche Alzano, Rova e Gazzaniga. Sotto il controllo della Curia di Albino, e conseguentemente del Vescovo, rimasero quindi soltanto il capoluogo, Comenduno e Desenzano. Tuttavia nella parte finale del XII secolo anche questi ultimi riuscirono ad ergersi a comuni, anche se vincolati da giuramento nei confronti dell'autorità ecclesiastica, la quale manteneva ancora una sorta di controllo dall'alto.