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Gli imponenti resti delle vasche limarie, o piscine limarie costituivano la parte terminale dell'acquedotto romano che dal Pozzo di Vito sito a circa 10 km a ovest della città, portava l'acqua a Brundisium, attraverso un condotto sotterraneo che seguiva la naturale pendenza del terreno. L’intera costruzione, unico esempio di Castellum Aquae di tutto il Salento, venne realizzata con il carparo, il materiale da costruzione più diffuso nella zona, e conteneva una serie di camere successive e comunicanti che servivano a purificare – per decantazione - le acque dalle sabbie e dal limo trasportati lungo tutto il tragitto del condotto, prima di essere ripartite alle diverse fontane e cisterne della città: quindi dalla vasca di prima confluenza l’acqua veniva fatta defluire alle cisterne successive, in maniera da permettere la sedimentazione delle impurità sul fondo. Queste caddero in disuso, a causa dei mancati interventi manutentivi, probabilmente già nell'alto medioevo, con lo spopolamento conseguente alle scorrerie dei Goti e dei Saraceni. Con la rinascita della città in età normanna e sveva, la loro funzione venne sostituita da una nuova cisterna e solo nel corso degli anni novanta, ispettori e sovrintendenti dei Beni Archeologici, si adoperarono per salvaguardarne l’integrità: le vasche sono state restaurate in tutte le loro parti conservate e sono tornate alla pubblica fruizione. In questo momento stai camminando sopra il pozzo Traiano, che si trova un paio di metri sotto il lastricato stradale. Per precisione si trova esattamente al centro dell’irregolare piazzetta dove vi è un semplicissimo tombino. Più che un pozzo era una grande conserva di acqua potabile, collegato con delle falde acquifere sorgive ed in parte anche con l’acquedotto. Lo si chiamò Traiano per onorare l’imperatore sotto il cui dominio venne costruito. Porta Thaon da Revel, da anni interdetta al pubblico accesso, preclude la percorribilità della intera banchina portuale. Oggi delimita l’area della marina militare dalla parte fruibile alla cittadinanza. Questo è un vero peccato perchè sarebbe possibile realizzare una banchina lungomare cittadina tra le più lunghe d’Italia collegando il centro fino al quartiere casale. Tra i monumenti da vedere a Brindisi c’è sicuramente il Portico dei Cavalieri Templari. La struttura, realizzata nel medioevo, è sita in piazza Duomo. Il monumento è composto da due arcate gotiche di carparo, due volte a crociera a costoloni bicromi e una colonna in marmo greco che separa i due archi. Nonostante gli studiosi non siano concordi nel definire la destinazione d’uso del Portico dei Templari, alcuni elementi architettonici rimandano alle caratteristiche delle logge. Probabilmente la struttura era la loggia antecedente il Palazzo arcivescovile medievale. Nel XVI secolo il portico costituiva quasi sicuramente il pianterreno del palazzo della famiglia De Cateniano. La denominazione di “Templari” è dovuta alla presenza, a poca distanza, di una chiesa in uso dall’ordine dei Templari, che ha fatto supporre che potesse trattarsi di un monumento in uso a tale chiesa. Da Brindisi partivano infatti le imbarcazioni dei templari diretti verso la terra santa. Oggi il Portico dei Cavalieri Templari funge da androne struttura di accesso al Museo Ribezzo, e ospita reperti medievali, tra cui bellissimi sarcofagi in pietra. La chiesa che è qui di fronte a noi è stata fatta costruire dal santo Lorenzo da Brindisi su terreni di sua proprietà e venne poi destinata alle suore clarisse di Brindisi. I lavori, finanziati in gran parte da Massimiliano I, elettore di Baviera, iniziarono nel 1609, e prevedevano la costruzione di una chiesa e di un monastero. In funzione dal 1619, il monastero fu abbattuto all'inizio del XX secolo. La struttura della chiesa è realizzata in carparo. La pianta è a croce latina. La facciata è in stile barocco, decorata con fiori e putti. La porta lignea è ornata con bassorilievi raffiguranti San Francesco d'Assisi, Santa Chiara, San Giovanni e San Matteo. Se ci spostiamo all'interno, possiamo osservare che la navata unica presenta lateralmente quattro cappelle, nelle quali sono ospitate alcune opere pittoriche e scultoree, tra cui un crocifisso attribuito ad Angelo da Pietrafitta e il dipinto Estasi di san Lorenzo attribuito ad Oronzo Tiso (XVIII secolo). Nella cappella dedicata al santo è conservato un crocifisso d'avorio donato da Lorenzo di Brindisi, utilizzato dallo stesso per incitare i soldati cristiani nella battaglia di Albareale del 1601 contro gli ottomani. Qui sono conservati anche gli effetti personali del santo, tra cui il libro che usava per pregare e parti dell'abito da sacerdote che indossava. Inoltre ci sono tantissime reliquie di santi diversi, per lo più pezzi di ossa tra cui un reliquiario contenente una vertebra di san Lorenzo è posto vicino alla sua statua. Ci anche sono quattro tele: Adorazione dei pastori, Adorazione dei Magi, Circoncisione, Fuga in Egitto, attribuite a Diego Oronzo Bianco (1683-1767) ed eseguite nel XVIII secolo. Dietro l'altare maggiore, ornato con statue dei santi Francesco e Chiara, vi è un dipinto raffigurante l''Immacolata tra gli Angeli, di Pieter De Witte. Questa porta presente tra le mura e le vasche limarie è Porta Mesagne, storicamente conosciuta come Porta Napoli, ed è la più antica porta d'ingresso di Brindisi. L'opera risale al 1243, quando l'imperatore Federico II di Svevia, nel suo progetto di allargamento ed inclusione dell'area urbana nella nuova cinta muraria, volle anche l'elevazione di una porta trionfale, come ingresso principale al centro urbano. Da qui prendeva origine la Ruga Magistra: un percorso rettilineo che conduceva al porto. Se osserviamo l’arco a sesto acuto possiamo vedere ancora gli attacchi per le travi che probabilmente dovevano sostenere una copertura in legno e i cardini delle porte, mentre sulla parte alta si possono osservare i resti di affreschi medievali, probabilmente riferiti a dei santi. Il bastione di epoca aragonese venne successivamente ristrutturato e modificato in epoca spagnola (1551), ad opera di Giovan Battista Loffredo, che apportò rilevanti trasformazioni alla costruzione originale: il complesso fu sopraelevato con l'aggiunta della piazza bassa e della muratura della parte alta delle cannoniere, che fungeva da casamatta ospitando pezzi di artiglieria. Sulla parete a sud-ovest del grande bastione, in corrispondenza con lo spigolo, sono impressi gli stemmi dell'imperatore Carlo V, del viceré di Napoli don Pietro da Toledo e dell’ingegner militare Giovan Battista Loffredo. Oggi nei locali interni si organizzano mostre d'arte e incontri culturali. Il Palazzo Granafei-Nervegna fu costruito nel XVI secolo di fronte al quartiere di S. Pietro degli Schiavoni per essere adibito a dimora dei Marchesi Granafei. L’edificio venne successivamente ceduto da alla famiglia Nervegna che lo usò a sua volta come residenza familiare. Passò poi alla municipalità brindisina e nel corso del tempo ospitò rappresentanze commerciali e diplomatiche straniere. Si articola in un prospetto tardo-rinascimentale con alcuni demandi che anticiperebbero lo stile barocco, soprattutto evidenti negli elementi decorativi delle balaustre dei balconi. Il primo piano è dedito a sale espositive presso le quali l’Amministrazione Comunale promuove innumerevoli mostre di notevole importanza, mentre il complesso dell’ Ex Corte d’ Assise al suo fianco, custodisce il capitello originale delle colonne romane. Finita la dominazione veneziana nel 1509, anche Brindisi come tutto il Regno di Napoli, passò sotto la sovranità spagnola. Fu una lunga dominazione caratterizzata da malgoverno e pestilenze, ma, soprattutto, aggravata dalla esosità delle tasse. Il popolo subiva tutto il peso dell’imposizione fiscale perchè nobiltà e clero, pur vivendo nel lusso, erano esenti da imposte. Fu in questo quadro che il 5 giugno del 1647, un mese prima della rivolta di Masaniello a Napoli, scoppiò a Brindisi la prima sommossa rivoluzionaria: fu un’esplosione di malcontento durato a lungo contro il malgoverno; Si gridava “Viva il re – muoia il malgoverno” – “Abbasso le gabelle”. Qualunque sia l’interpretazione da dare, la sommossa del 1647 fu violenta e non mancarono, durante il succedersi degli avvenimenti, gravi fatti di sangue. La plebe incendiò e distrusse il palazzo di Ludovico Scolmafora, esattore dei tributi, che sarebbe stato ucciso se non si fosse rifugiato nel vicino monastero dei domenicani della Maddalena, l’attuale Municipio. Il Palazzo Scolmafora fu ricostruito nel 1652 dopo il terribile incendio del ’47! Ma, su ogni finestra c’è un’iscrizione che ricorda quei giorni e il monito divino che ne è derivato; E’ ancora bello, seppur danneggiato dalla guerra e sciupato dagli adattamenti moderni. Vi si scorgono chiaramente le prime strutture di tipo medievale, le aggiunte quattrocentesche e i restauri seicenteschi, effettuati dopo l’incendio. Basta entrare nel cortile per osservare, nei supporti dei balconcini e delle scale, le volte antiche: e, nell’ultimo piano, al di sotto di una veranda moderna, agli occhi dello stupito visitatore si rivelano le armoniche e robuste linee dell’antico profilo architettonico. Sulla facciata, agili ed eleganti finestre di nobile linea con piccolo architrave, fregi ed iscrizioni latine testimoniano l’alto valore storico di questo edificio – anche se, come si è detto, ora deturpato all’interno da aggiunte volgari e da abitazioni assai modeste e mal tenute.