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San Calocero al Monte è un complesso archeologico del I sec. d.C. sito in Albenga e dedicato al culto di San Calocero. Il complesso monastico fu attivo dal I al XVI secolo per poi essere dismesso e trasferito dentro le mura cittadine. Il complesso venne rinvenuto e studiato da Nino Lamboglia in più scavi a partire dagli anni trenta del XX secolo. È situato alle pendici settentrionali del Monte di San Martino o Monte Bignone, nel suburbio dell'antica Albingaunum in una zona ricca di presenze archeologiche di età romana. In questo complesso sono stati rinvenuti dei ritrovamenti epigrafici di grande rilievo, oltre che una descrizione del XV secolo delle epigrafi che qui erano presenti. Agli scavi archeologici hanno preso parte l'Istituto internazionale di studi liguri, il Ministero per i beni e le attività culturali, il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana e l'Ecole française di Roma. Secondo la tradizione, il complesso venne eretto sulla tomba di San Calocero che mantenne il corpo finché non venne trasferito nel centro cittadino, è l’unico santuario martiriale ligure. Nella BHL 2837 e 2838 si fa riferimento alla figura del santo presente in Albenganense oppido che fu decapitato e il suo corpo dispensava beneficio ai fedeli. Anche se ci sono vari riferimenti alle spoglie sottratte al monastero e portate in altri posti, non si ha nessuna certezza, solo un'epigrafe che secondo il Lamboglia sarebbe stata un ciborio, cioè un elemento decorativo posto in sommità di una tomba santorale, ritrovata in Palazzo Peloso Cepolla, nello stesso stile di elementi trovati durante gli scavi, che ci conferma della presenza della tomba del santo. Dagli scavi effettuati è emerso un numero considerevole di ceramiche e materiale vario di epoca romana, apparentemente dovuto alla presenza di una necropoli in epoca romana, probabilmente nei paraggi passava l'antica Via Julia Augusta. I terrazzamenti presenti di epoca romana indicano la presenza dell'uomo e la conseguente realizzazione dei sepolcri. Il monastero venne fondato sulla tomba di Calocerus, morto decapitato presumibilmente nel 304, in un luogo dove secondo la tradizione venivano dispensati miracoli dal corpo del Santo. L'epoca era quelle delle massime persecuzione di Diocleziano contro i cristiani, ed era difficile per una comunità ritrovarsi unita e fare le proprie cerimonie funebri, soprattutto con i delegati imperiali che dovevano accertarsi che ciò non succedesse, con un popolo cristiano emarginato dai cittadini. Quindi trovarsi a seppellire, a termine di un processo infamante e un'uccisione altrettanto infamante il corpo di un defunto ingombrante, potesse essere considerato con una forte ostilità da parte dei magistrati e della comunità cittadina, allineata con quella che era la filosofia generale dell'epoca e le divinità pagane. Pertanto è presumibile che Calocero fosse stato sepolto in un luogo marginale, defilato del suburbio, vicino a necropoli attive, oppure nel margine del terreno di qualche benestante simpatizzante o già convertito al culto cristiano, com'era prassi ben documentata nel III secolo. È anche normale che laddove sia stata dispiegata una prima tomba ci siano di conseguenza altre tombe e anche la generazione di necropoli e quindi di basiliche, come è successo ai Martiri della Magliana o sulla tomba di San Pietro. Nel nostro caso non si ha ampio uso in epoca paleocristiana, ma dal ritrovamento di vari monili e altro materiale si può dire che erano presenti delle tombe, forse anche distrutte per usare il materiale ivi contenuto dai primi cristiani che non accettavano la cerimonia funebre pagana. È quindi questo il primo insediamento cristiano di questa zona, una necropoli di cui non abbiamo certezze né della dimensione né dell'uso. I primi ritrovamenti sono del I secolo d.C. con un vero insediamento di strutture del III secolo d.C. e la realizzazione di un monastero solo nel V-VI secolo. In questo periodo c'è la cristianizzazione di Albenga, con la presenza anche di San Martino di Tours che visse sull'isola Gallinara e dalla quale venne fondato il convento San Martino. Il primo intervento fu quello di creare la volta che coprì la cripta, rafforzando il muro ad arcate e utilizzando dei rinfianchi della volta delle anfore. La soluzione architettonica scelta fu legata alla presenza della tomba del Santo, usata come fulcro del complesso. La prima basilica fu a tre o solo a due navate, mentre la tessitura muraria ed elementi architettonici, avrebbero costituito un sorta di archetipo dell'architettura religiosa altomedievale della Liguria di Ponente. Il numero di navate resta in dubbio, poiché una di queste potrebbe essere stata utilizzata come luogo di sepoltura, separata dal resto della chiesa da un muro; tale tipo di struttura è stata pensata anche per la basilica battesimale e funeraria di Riva Ligure, un tempo sotto la stessa diocesi e coeva, ma senza ulteriori scavi e indagini non ci sono ancora certezze. Le due navate avevano la stessa larghezza, mentre quella sul lato del monte usata forse per le sepolture era più stretta. Dal VI al VII secolo le chiese extra moenia cioè San Clemente, San Vittore e San Calocero, erano le più ambite per le sepolture, soprattutto questa perché legata alla presenza del corpo del santo, con la presenza di un criptoportico e dei piccoli mausolei, con vasche in pietra del finale o in muratura. Comunque la struttura era conclusa nella seconda metà del VI secolo, anche se non si può escludere una struttura ridotta precedente. Albenga risulta essere l'unica città della Liguria di Ponente ad avere una topografia cristiana suburbana e urbana. Fino all'VIII secolo sono state realizzate sepolture e costruiti ambienti coperti annessi alla chiesa. L'iscrizione epigrafe dell'abate Marinaces (Abbas Marinaces) e i ritrovamenti di parti artistiche, evidenziano un processo di monumentalizzazione della chiesa. Si ha un periodo dove sembra che il monastero sia andato in disuso o poco usato, forse con la traslazione delle spoglie di San Calocero a Civate, anche se qua si ha una confusione storica, difatti è possibile che una parte delle spoglie del santo siano andate a Civate mentre una parte rimasta ad Albenga, questo perché la camera sepolcrale è di grandi dimensioni qua, mentre a Civate c'è solo una piccola urna. Alle fasi medievali e post medievali sono attribuite le violazioni delle sepolture tardoantiche; mentre sul portico sottostante la navata settentrionale i sarcofagi e le sepolture in murature furono svuotati per essere riusati come fondazione dei pilastri di sostegno del piano di pavimentazione superiore. Tra il VI e il VII secolo si ha la forte presenza bizantina, con diversi manufatti di questo periodo. Tra questi sono stati scoperti sette pilastrini, purtroppo nessuno durante gli scavi ma erano stati già asportati per essere riutilizzati, conservati in parte a Palazzo Oddo, al Civico Museo Ingauno o nei depositi della Soprintendenza Archeologica della Liguria, anche se Nino Lamboglia aveva già evidenziato la presenza di pezzi marmorei utilizzati nei muretti a secco nel 1934. Uno di questi venne donato nel 1963 da Battista Vio Maglione che lo aveva rinvenuto in un suo magazzino in via Gian Maria Oddo dove veniva usato come scalino. I pilastrini hanno un'altezza di 110 cm circa, e venivano usati come arredo liturgico, probabilmente nell'area dell'altare maggiore. Nell'VIII secolo cambia la dominazione e cambia anche lo stile, tuttavia prosegue il processo di monumentalizzazione del complesso, con la realizzazione di plutei, archivolto, architravi, capitelli e sarcofagi realizzati in marmo decorato. Tuttavia nel IX e X secolo si hanno le incursioni saracene che rendevano estremamente precaria la vita fuori dalle mura cittadina; in questa fase viene realizzato il muro di cinta esterna e viene edificato il monastero di San Martino al Monte, posizionato in un luogo dove si poteva vedere il mare e l'Isola, più difendibile rispetto a San Calocero, e che dista da questi solo 200 m, ma che cambia profondamente la vita dei monaci, che potevano, in caso di vista di navi saracene, correre a ripararsi in Città. È possibile che in quest'epoca una parte del materiale presente in San Calocero venne demolito per essere riutilizzato in San Martino, almeno secondo Nino Lamboglia, ma la presenza della tomba del Santo rendeva comunque ancora vivo il monastero, anche se probabilmente ridimensionato. A San Calocero durante i vari scavi è emersa una comune condizione, cioè quella che tutte le tombe sono state violate e profanate, non solo quelle più importanti alla ricerca di reliquie sante, o quelle relative alle tombe da essere riutilizzate per altre persone, ma tutte e in maniera violenta. Questa evidenza porta alla conseguenze che queste tombe non siano state aperte dai monaci o dai fedeli alla ricerca di chissà quale miracolo o ossa da poter venerare, ma in maniera violenta come da chi voleva rubare dei corredi funebri e recuperare così le poche ossa; questa era una prassi comune nelle incursioni saracene, che poi rivendevano il trovato, anche le ossa, facendole passare per reliquie di qualche santo o di qualche martire. Sono state rinvenuti alcuni riusi dei frammenti delle pesanti lastre sepolcrali realizzate in pietra di Finale nelle murature. Le tombe sono poi state riempite di materiale di cantiere misto a malta per essere riutilizzate come basamenti per altre strutture. Che San Calocero venne abbandonata del tutto o in parte in quest'epoca ci risulta anche dal testamento del magister Giovanni de Marixia che nel 1271 destina una somma della sua eredità al monastero di San Calocero, a patto che sibi fuerit sacerdos che ci indica che qui le messe non erano più regolari.