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Arechi edificò la chiesa di Santa Sofia, “pro redempzione anime mee sue pro salvazionis gentis nostre”, dichiarandola di fatto chiesa nazionale e simbolo della spiritualità del popolo longobardo. Alcuni studiosi ritengono che il suo impianto a stella con le volte a vela rimandi alla forma della tenda di tradizione germanica. In base ai resti di strutture murarie, evidenziate negli scavi degli anni 2000 condotti nel piazzale antistante la chiesa, si è ipotizzato che la chiesa avesse un nartece a forcipe, ossia un avancorpo chiuso lateralmente da due absidi e da un colonnato. Tali tipi di strutture, riservate ai catecumeni e ai penitenti, erano diffuse nell’ architettura paleocristiana e bizantina, soprattutto in ambiente ravennate, nei secoli 6° e 7°. All’interno, la chiesa era affrescata completamente, come dimostrano i frammenti residui rivenuti nelle absidi, su un pilastro, in uno spigolo e alla base del tiburio. Sappiamo da fonti storiche che l’apparato pittorico fu realizzato dal 768 all’811. Sulla base di affreschi rinvenuti e meglio conservati in alcune strutture coeve, come la cripta di Epifanio a San Vincenzo a Volturno, si ipotizza uno sviluppo degli affreschi con la prevalenza dell’azzurro. Il pavimento originario doveva essere in opus sectile. Alcuni frammenti di esso sono stati rinvenuti durante i restauri del Rusconi. La stessa tecnica di rivestimento pavimentale fu usata anche per la cappella palatina di san Pietro a Corte, a Salerno, edificata al tempo di Arechi. La copertura della chiesa era costituita da più falde per via dell’andamento stellato del muro perimetrale e il tiburio era probabilmente più basso. La chiesa ha avuto una complessa storia: nata dal disegno politico di Arechi II, sotto influssi culturali bizantini, ha subito i danni di numerosi terremoti, per rinascere poi come chiesa barocca e tornare ad un assetto più coerente con quello originario, con un fascino rimasto inalterato nei secoli. Per il suo valore culturale, storico e archeologico, Santa Sofia è stata inserita nel patrimonio mobniale dell’umanità.