Download Free Audio of Eppure non propone una riflessione su chi fa quest... - Woord

Read Aloud the Text Content

This audio was created by Woord's Text to Speech service by content creators from all around the world.


Text Content or SSML code:

Eppure non propone una riflessione su chi fa queste leggi, su chi determina le dinamiche della classe. Forse afferma la propria autorità in modo tale da creare inconsapevolmente una dinamica competitiva, suggerendo che l’aula sia appannaggio più di chi insegna che degli studenti, e di alcuni studenti più di altri? Come insegnante, so bene che gli studenti dei gruppi emarginati si trovano a far lezione all’interno di istituzioni in cui la loro voce non è mai stata né ascoltata né accolta, sia che questi studenti discutano di avvenimenti esterni che chiunque conosce, sia che discutano di esperienze personali. Ho modellato la mia pedagogia in risposta a questa realtà. Se non desidero che questi studenti usino l’autorità dell’esperienza come mezzo per affermare la propria voce, posso eludere questo possibile abuso di potere utilizzando in classe strategie pedagogiche che affermino in modi diversi la loro presenza, il loro diritto di parlare su svariati argomenti. Questa strategia pedagogica è radicata nel presupposto che tutti portiamo in classe una conoscenza esperienziale, e che questa conoscenza può davvero migliorare la nostra esperienza di apprendimento. Se l’esperienza è ammessa in classe come modalità di conoscenza che coesiste con altre in modo non gerarchico, la possibilità che possa essere usata per zittire le altre persone si riduce. Quando insegno The Bluest Eye di Toni Morrison nei corsi introduttivi sulle scrittrici nere, chiedo agli studenti di scrivere un paragrafo autobiografico su un ricordo razziale precoce. Ogni persona legge quel paragrafo ad alta voce per la classe. L’ascolto collettivo reciproco conferma il valore e l’unicità di ogni voce. Questo esercizio mette in primo piano l’esperienza, senza privilegiare le voci degli studenti di un particolare gruppo. Aiuta a creare una consapevolezza comune della diversità delle nostre esperienze, e limita la centralità delle esperienze che informano quanto pensiamo e diciamo. Poiché questo esercizio rende l’aula uno spazio in cui l’esperienza viene valorizzata, invece che negata o ritenuta insignificante, gli studenti sembrano meno inclini a partire dall’esperienza come posizionamento dal quale lottare per far sentire la propria voce, nel caso in cui tale scontro abbia luogo. Nelle nostre classi, gli studenti di solito non sentono il bisogno di competere, perché il concetto di voce privilegiata dell’autorità viene decostruito dalla nostra pratica critica collettiva. Nel capitolo Essentialism in the Classroom Fuss focalizza la propria riflessione a partire da una voce dotata di particolare autorevolezza. La sua voce. Quando solleva la questione di “come gestire” gli studenti, il suo uso della parola “gestire” suggerisce immagini di manipolazione. E il suo uso di un “noi” collettivo implica una pratica pedagogica unificata e condivisa dagli altri professori. Nelle istituzioni in cui ho insegnato, il modello pedagogico prevalente è autoritario, gerarchico in modo coercitivo e spesso dominante, e certamente tale per cui la voce del professore è il mezzo “privilegiato” della conoscenza. Di solito questi professori svalutano l’inclusione dell’esperienza personale nella discussione in classe. Fuss afferma di essere diffidente nei confronti dei tentativi di censurare il racconto delle storie personali in classe in quanto non “adeguatamente ‘teorizzate’”, ma in questo capitolo rivela di non credere, in fondo, alla condivisione dell’esperienza personale come valore aggiunto alle discussioni in classe. Se la sua pedagogia è influenzata da questo pregiudizio, non sorprende che le invocazioni dell’esperienza come modalità privilegiata di conoscenza siano usate in modo aggressivo sia contro di lei che contro altri studenti. Se la pedagogia di un professore è libertaria, probabilmente gli studenti non faranno a gara per affermare in classe il proprio valore e la propria voce. Che i punti di vista essenzialisti siano utilizzati in modo competitivo non significa che sia l’assunzione di tali posizioni a creare una situazione di conflitto. Le esperienze di Fuss in classe riflettono come “la lotta per far ascoltare la propria voce” sia parte integrante della sua pratica pedagogica. La maggior parte dei suoi commenti e osservazioni sull’essenzialismo in classe si basano sulla sua esperienza (e forse quella dei suoi colleghi, sebbene ciò non venga esplicitato). Sulla base di quell’esperienza, può sostenere con sicurezza di “essere convinta che gli appelli all’autorevolezza dell’esperienza raramente promuovono la discussione e spesso provocano confusione”. Per enfatizzare ulteriormente questo punto, afferma: “Sono sempre stupita dal modo in cui l’introiezione di verità esperienziali nei dibattiti in classe blocchi la discussione”. Fuss attinge alla sua particolare esperienza per esprimere generalizzazioni totalizzanti. Come lei, posso testimoniare il modo in cui i punti di vista essenzialisti possano venire utilizzati per mettere a tacere o affermare la propria autorità sugli avversari, ma spesso vedo e sperimento come il racconto dell’esperienza personale sia presentato attraverso modalità che approfondiscono la discussione. Quando i racconti di un’esperienza collegano le riflessioni su questioni o concetti più astratti alla realtà concreta mi sento elettrizzata. La mia esperienza in classe è diversa da quella di Fuss perché parto da un punto di vista “altro”, marginalizzato a livello istituzionale, e non intendo qui assumere una posizione essenzialista. Molte docenti nere non rivendicherebbero questo posizionamento. La maggior parte degli studenti presenti alle nostre lezioni non è mai stata istruita da docenti nere. La mia pedagogia è influenzata da questa consapevolezza, perché so per esperienza che questa mancanza di familiarità può sovradeterminare quello che accade in classe. Inoltre, grazie alla mia esperienza personale di studente in istituzioni prevalentemente bianche e consapevole di quanto sia facile sentirsi escluse o respinte, sono particolarmente desiderosa di facilitare un processo di apprendimento in classe che coinvolga chiunque. Per questo motivo i pregiudizi imposti dai punti di vista essenzialisti o dalla politica identitaria, così come le prospettive che insistono sul fatto che l’esperienza non debba avere posto in classe (entrambe queste posizioni creano un’atmosfera coercitiva ed escludente), devono essere messe alla prova dalle pratiche pedagogiche. Le strategie pedagogiche determinano in che misura gli studenti imparano a interagire più intensamente con idee e problemi che apparentemente non sono in relazione diretta con la loro esperienza. Fuss non suggerisce che gli insegnanti, consapevoli di come le prospettive essenzialiste possano essere usate per silenziare la discussione, abbiano la possibilità di realizzare una pedagogia che intervenga in modo critico prima che un gruppo tenti di mettere a tacere l’altro. I docenti, in particolare quelli appartenenti a gruppi dominanti, possono a loro volta utilizzare nozioni essenzialistiche per limitare le voci di particolari studenti; per questo motivo dobbiamo vigilare costantemente sulle nostre pratiche pedagogiche. Ogni volta che gli studenti mi comunicano la sensazione che le mie pratiche pedagogiche li stiano mettendo a tacere, devo esaminare tale possibilità in modo critico. Anche se Fuss riconosce, a malincuore, che il racconto dell’esperienza in classe può avere implicazioni positive, tale ammissione è abbastanza condiscendente: Sebbene la verità non si identifichi con l’esperienza, non si può negare che è proprio l’idea che questi due aspetti coincidano che spinge molti studenti, che forse altrimenti non parlerebbero, a partecipare attivamente a quelle discussioni che percepiscono come personali. L’autorevolezza dell’esperienza, in altre parole, non funziona esclusivamente per mettere a tacere gli studenti, ma anche per dare loro modo di esprimersi. Come possiamo mediare fra gli estremi della narrazione conservatrice dell’esperienza come fondamento della conoscenza onnisciente e l’immenso potere di questa narrazione, in grado di consentire e incoraggiare la partecipazione degli studenti? Tutti gli studenti, non solo quelli di gruppi marginalizzati, sembrano maggiormente desiderosi di partecipare attivamente alla discussione in classe quando la percepiscono come personale (il fatto che gli studenti non bianchi discutano in classe esclusivamente quando si sentono coinvolti attraverso l’esperienza non è un comportamento anomalo). Gli studenti possono essere preparati su di una materia in particolare e tuttavia essere inclini a parlare con maggiore sicurezza se tale materia si collega direttamente alla loro esperienza. Ancora una volta, va ricordato che ci sono studenti che possono non sentire il bisogno di riconoscere che la propria partecipazione entusiasta è stimolata dalla connessione di un determinato argomento con l’esperienza personale. Nel paragrafo introduttivo a Essentialism in the Classroom Fuss si domanda: “Esattamente, cosa può essere considerato ‘esperienza’? Mi chiedo se dovremmo far riferimento a quest’ultima anche in situazioni pedagogiche”. Formulare la domanda in questo modo implica che gli interventi basati sull’esperienza abbiano un potenziale perturbante in classe, che costringe chi insegna e chi impara a uno scontro sull’autorevolezza che può essere gestita da chi insegna solo derubricandola. La stessa questione, tuttavia, potrebbe essere posta in modo da non implicare la svalutazione paternalistica dell’esperienza. Possiamo riflettere su questo problema domandandoci se i professori e gli studenti che vogliono condividere l’esperienza personale in classe possano farlo, senza promuovere posizionamenti essenzialisti ed escludenti. Spesso quando i professori affermano l’importanza dell’esperienza, gli studenti sentono con minor urgenza il bisogno di insistere sul suo essere un modo privilegiato di conoscere.