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Rafforzando l’idea che vi sia una divisione tra teoria e pratica o creando tale divisione, entrambi i gruppi negano il potere dell’educazione libertaria alla coscienza critica, perpetuando così condizioni che rafforzano il nostro sfruttamento e repressione collettivi. Recentemente, mi sono ricordata di quanto sia pericoloso questo antiintellettualismo quando ho accettato di apparire in un programma radiofonico con un gruppo di donne e uomini neri per discutere del libro di Shahrazad Ali The Blackman’s Guide to Understanding the Black Woman. Ho ascoltato un oratore dopo l’altro manifestare disprezzo per il lavoro intellettuale, ed esprimersi contro qualsiasi appello alla produzione di teoria. Una donna nera insisteva con veemenza sul fatto che “non abbiamo bisogno di nessuna teoria”. Il libro di Ali si esprime attraverso un linguaggio semplice e uno stile che si avvale della parlata gergale nera, ma ha una solida base teorica, radicata nelle teorie del patriarcato (ad esempio, la convinzione sessista ed essenzialista secondo cui il dominio maschile sul femminile è “naturale”), e sostiene che la misoginia è l’unica risposta possibile degli uomini neri di fronte a qualsiasi tentativo da parte delle donne di essere completamente autodeterminate. Molti nazionalisti neri abbracciano avidamente la teoria e il pensiero critico come un’arma necessaria nella lotta contro la supremazia bianca, ma all’improvviso dimenticano l’importanza della teoria quando si tratta di questioni di genere, di analisi del sessismo e dell’oppressione sessista nei modi particolari e specifici in cui si manifesta nell’esperienza nera. La discussione sul libro di Ali è uno dei tanti esempi possibili che illustrano il modo in cui il disprezzo e l’indifferenza per la teoria minano la lotta collettiva per resistere all’oppressione e allo sfruttamento. Nell’ambito dei movimenti femministi rivoluzionari e delle lotte rivoluzionarie per la liberazione nera, dobbiamo continuamente rivendicare la teoria come pratica necessaria all’interno di un quadro olistico di attivismo libertario. Dobbiamo fare di più che richiamare l’attenzione sui modi in cui la teoria viene utilizzata in modo improprio. Dobbiamo fare molto di più che criticare gli usi tradizionali – e a volte reazionari – che alcune accademiche anno della teoria femminista. Dobbiamo impegnarci attivamente per richiamare l’attenzione sull’importanza di creare una teoria in grado di far progredire movimenti femministi rinnovati, evidenziando in particolare la teoria che mira a promuovere l’opposizione femminista al sessismo e all’oppressione sessista. In questo modo, celebriamo e valorizziamo necessariamente la teoria che può essere, ed è, condivisa nella narrativa orale e scritta. Riflettendo sul mio lavoro teorico femminista, trovo che la scrittura – il discorso teorico – sia più significativa quando invita lettrici e lettori a impegnarsi nelle riflessioni critiche e nella pratica del femminismo. Per me, questa teoria emerge dalla concretezza, dai miei sforzi per dare un senso alle esperienze della vita quotidiana, per intervenire criticamente nella mia vita e in quella degli altri. Questo è, per me, ciò che rende possibile la trasformazione femminista. La testimonianza personale, l’esperienza personale, sono un terreno eccezionalmente fertile per la produzione della teoria libertaria femminista perché di solito costituiscono la base della nostra teoria. Mentre ci diamo da fare per risolvere i problemi più urgenti nella vita quotidiana (il nostro bisogno di alfabetizzazione, la fine della violenza contro donne e bambini, la salute e i diritti riproduttivi delle donne e la libertà sessuale, solo per citarne alcuni), ci impegniamo in un processo critico di teorizzazione che ci fornisce nuovi strumenti e ci investe di potere. Continuo a stupirmi della mole di testi femministi esistenti e della poca teoria femminista che si sforza di parlare a donne, uomini e bambini di come potremmo trasformare la nostra vita attraverso la conversione alla pratica femminista. Dove rintracciare un corpus di teoria femminista che miri ad aiutare le persone a integrare il pensiero e la pratica femminista nella vita quotidiana? Quale teoria femminista, ad esempio, ambisce ad assistere le donne che vivono in famiglie sessiste nei loro sforzi per realizzare un cambiamento femminista? Sappiamo che molte persone, negli Stati Uniti, hanno usato il pensiero femminista per educare sé stesse al fine di trasformare la propria vita. Spesso sono critica nei confronti del femminismo basato sullo stile di vita, perché temo che qualsiasi processo di trasformazione femminista che intenda cambiare la società venga facilmente cooptato se non è radicato in un impegno politico nei confronti del movimento femminista di massa. Nell’ambito del patriarcato capitalista e suprematista bianco, abbiamo già assistito alla mercificazione del pensiero femminista (così come sperimentiamo la mercificazione della nerezza) che illude le persone di poter prendere parte al “bene” prodotto da questi movimenti senza alcun impegno nei confronti di una politica e di una pratica trasformativa. Nella cultura capitalista, il femminismo e la teoria femminista stanno rapidamente diventando una merce che solo i privilegiati possono permettersi. Questo processo di mercificazione viene interrotto e sovvertito quando le attiviste femministe affermano il loro impegno per un movimento femminista rivoluzionario politicizzato, che ha come obiettivo prioritario la trasformazione della società. Da un simile punto di partenza, ci chiediamo automaticamente come creare una teoria che parli al più vasto pubblico possibile di persone. Ho spesso ricordato nei miei scritti, in numerosi discorsi e conversazioni pubbliche, che le mie scelte stilistiche e la mia decisione di non utilizzare le formule accademiche convenzionali nei testi scritti rappresentano una decisione politica motivata dal desiderio di essere inclusiva, di raggiungere il maggior numero possibile di lettrici e lettori nei luoghi più disparati. Questa decisione ha avuto conseguenze sia positive che negative. Studenti di varie istituzioni accademiche spesso si lamentano di non poter includere il mio lavoro nelle bibliografie richieste per gli esami di qualificazione alla laurea perché i professori non li reputano abbastanza accademici. Chiunque si occupi di teoria femminista e di scrittura femminista in contesti accademici in cui siamo continuamente giudicate, sa che il lavoro ritenuto “non accademico” o “non rigoroso” può comportare il mancato riconoscimento. Per quanto mi riguarda, queste reazioni negative appaiono insignificanti rispetto alle reazioni straordinariamente positive al mio lavoro sia all’interno che all’esterno dell’accademia. Di recente, ho ricevuto una serie di lettere da carcerati neri che hanno letto il mio lavoro e volevano farmi sapere che si stanno impegnando per disimparare il sessismo. In una lettera, chi scrive si vanta affettuosamente di aver fatto del mio nome “una parola familiare in prigione”. Questi uomini parlano della riflessione critica solitaria, dell’uso del lavoro femminista per comprendere le implicazioni del patriarcato come di una forza che modella le loro identità, le loro idee di virilità. Dopo aver ricevuto una risposta critica potente da uno di questi uomini neri al mio libro Yearning: Race, Gender and Cultural Politics, ho chiuso gli occhi e immaginato quel lavoro che veniva letto, studiato e discusso in contesti carcerari. Poiché il contesto in cui il mio lavoro è stato più frequentemente criticato è quello accademico, condivido questi episodi non per vantarmi o essere immodesta, ma per testimoniare, attraverso l’esperienza diretta, che la teoria femminista volta a trasformare la coscienza, la teoria che vuole davvero rivolgersi a un pubblico variegato, funziona: non è una fantasia ingenua. Nell’ambito di discussioni più recenti, ho raccontato di come reputi una “benedizione” vedere il mio lavoro validato in questo modo, di essere tra quelle teoriche femministe la cui opera funge da catalizzatore per il cambiamento sociale al di là di confini fittizi. Spesso, l’indifferenza e la svalutazione con cui il mio lavoro è stato accolto mi hanno gettato nella più cupa disperazione. Penso che tale disperazione sia la stessa provata da ogni donna e pensatrice non bianca il cui lavoro è oppositivo e controcorrente. Michele Wallace, nella sua introduzione alla ristampa di Black Macho and the Myth of the Superwoman ha espresso con intensità la sensazione di devastazione provata di fronte alle reazioni critiche negative ai suoi primi lavori, che per un periodo l’hanno persino ridotta al silenzio. Sono grata di poter essere qui a testimoniare che se crediamo fermamente che il pensiero femminista debba essere condiviso con chiunque, sia attraverso le discussioni che la scrittura, e se ci dedichiamo alla teoria con questo obiettivo in mente, possiamo far progredire un movimento femminista di cui la gente vorrà far parte. Condivido il pensiero e la pratica femminista ovunque io sia. Quando mi viene chiesto di parlare in contesti universitari, cerco allo stesso tempo altri contesti o rispondo a coloro che mi cercano, in modo da poter dare la ricchezza del pensiero femminista a chiunque. A volte alcune situazioni si realizzano spontaneamente, ad esempio una volta sono stata seduta per ore in un ristorante del Sud di proprietà di gente nera, con un gruppo eterogeneo di donne e uomini neri provenienti da contesti sociali differenti, a discutere di razza, genere e classe. Alcuni di noi avevano studiato al college, altri no. Ne è scaturita una discussione accesa sull’aborto, sul diritto di scelta delle donne nere. Molti degli uomini neri e afrocentrici presenti sostenevano che il maschio dovrebbe avere la stessa voce in capitolo della donna.