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hooks: Gran parte del lavoro di Paulo è animato da uno spirito generoso, una sorta di apertura mentale che spesso manca nelle arene intellettuali e accademiche della società americana, e gli ambienti femministi non fanno eccezione. Certo, Paulo sembra diventare più aperto con l’età. Anch’io invecchiando mi sento maggiormente coinvolta in una pratica di apertura mentale, nella volontà di affrontare le critiche, e penso che l’intensità con cui sperimentiamo il crescente fascismo nel mondo, anche nelle cosiddette cerchie “liberali”, ci ricorda che le nostre vite, il nostro lavoro, devono essere di esempio. Nel lavoro di Freire degli ultimi anni sono presenti molte risposte alle critiche fatte alla sua scrittura, ad esempio il bellissimo scambio critico tra lui e Antonio Faundez in Learning to Question sulla questione del linguaggio, sul lavoro di Paulo in Guinea-Bissau. Questo esempio mi è di insegnamento, la sua disponibilità a discutere in modo non difensivo sulla carta stampata, di nominare la mancanza di intuizione, i mutamenti del pensiero, le nuove riflessioni critiche. Gloria: Com’è stato interagire personalmente con Paulo Freire? hooks: Il nostro incontro è stato incredibile; mi ha reso una studente devota e una compagna per la vita. Vorrei raccontare una storia. Alcuni anni fa, Paulo venne invitato all’Università di Santa Cruz, dove ero studente e insegnante. Venne per organizzare alcuni seminari con studenti e docenti del Terzo mondo e per tenere una conferenza pubblica. Nessuno mi aveva detto che sarebbe venuto, anche se molte persone sapevano quanto il suo lavoro significasse per me. Poi venni a sapere in qualche modo del suo arrivo, solo per sentirmi dire che non c’erano più posti per prendere parte al workshop. Protestai! E nel dialogo che seguì, mi dissero che non ero stata invitata ai vari incontri per paura che interrompessi la discussione di questioni importanti con le mie critiche femministe. Anche se, quando qualcuno rinunciò all’ultimo minuto, mi venne permesso di partecipare, avevo l’animo pesante perché avvertivo chiaramente questo tentativo sessista di controllare la mia voce e di gestire l’incontro. E, ovviamente, vivevo una lotta interiore perché in effetti volevo porre delle domande a Paulo Freire sul sessismo nella sua opera. E così, per gentile concessione, mi presentai all’incontro. Immediatamente alcune persone mi diedero addosso svalutando l’importanza delle mie domande; Paulo intervenne, dicendo che erano domande cruciali, e rispose. In tutta sincerità, in quel preciso momento l’ho adorato, per aver esemplificato con le sue azioni i principi del suo lavoro. Se avesse cercato di mettere a tacere o sminuire una critica femminista, sarebbe stato del tutto diverso per me. E non era abbastanza che ammettesse il suo “sessismo”, volevo sapere come non si fosse accorto che questo aspetto del suo lavoro precedente era cambiato, che lo aveva affrontato nei suoi scritti successivi. E poi disse di volersi sforzare maggiormente e in maniera pubblica di parlare e scrivere di questi temi – cosa che si è resa evidente nei suoi lavori successivi. Gloria: Ti ha colpito maggiormente la sua presenza o il suo lavoro? hooks: Un altro mio grande insegnante (anche se non ci siamo mai incontrati) è il monaco buddista vietnamita Thích Nhất Hạnh. Egli afferma, in The Raft Is Not the Shore, che “le persone uniche portano con sé qualcosa di simile a un’atmosfera sacra, e quando le incontriamo percepiamo la pace, sentiamo l’amore, proviamo coraggio”. Le sue parole definiscono in modo appropriato com’è stato per me essere alla presenza di Paulo. Trascorro ore da sola con lui, parlando, ascoltando musica, mangiando il gelato nel mio bar preferito. Scherzi a parte, Thích Nhất Hạnh insegna che alla presenza di un grande insegnante si manifesta un certo ambiente. E dice: Quando tu [l’insegnante] vieni a stare un’ora con noi, porti quell’ambiente con te… È come se portassi una candela nella stanza. La candela è lì; porti all’interno una sorta di aura luminosa. Quando sei al cospetto di chi è saggio e ti ci siedi vicino, ti senti leggera, in pace. La lezione che ho appreso nel vedere Paulo incarnare la pratica descritta nella sua teoria è stata profonda. Mi è entrata dentro in un modo in cui la scrittura non potrà mai toccare una persona, e mi ha dato coraggio. Non è stato facile per me fare il lavoro che faccio ed essere parte dell’accademia (ultimamente penso che sia diventato quasi impossibile) ma la testimonianza degli altri ci aiuta a perseverare. La presenza di Freire mi ha ispirato. Ho riconosciuto in lui un comportamento sessista, ma accolgo queste contraddizioni come parte del processo di apprendimento, parte di quegli aspetti che lottiamo per cambiare. E quella lotta spesso dura a lungo. Gloria: Hai altro da dire sulla risposta di Freire alla critica femminista? hooks: Penso sia importante e significativo che, nonostante le durissime critiche femministe al suo lavoro, Paulo riconosca che deve avere un ruolo nei movimenti femministi. Lo afferma in Learning to Question: Se le donne sono indispensabili, devono però accettare il nostro contributo come uomini, così come chi lavora deve accettare il contributo degli intellettuali, perché partecipare alla trasformazione della società è un mio dovere e un mio diritto. Quindi, se le donne hanno la responsabilità principale nella loro lotta, devono sapere che la loro lotta appartiene anche a noi, cioè a quegli uomini che non accettano la posizione machista nel mondo. Lo stesso vale per il razzismo. Come uomo in apparenza bianco – poiché dico sempre che non sono del tutto sicuro della mia bianchezza – la questione è sapere se sono davvero radicalmente contrario al razzismo. Se lo sono, allora ho il dovere e il diritto di combattere con le persone nere contro il razzismo. Gloria: Freire continua a influenzarti? Non lo nomini più costantemente nel tuo ultimo lavoro, come facevi nei tuoi primi libri. Hooks: Forse non cito più Freire con insistenza, ma mi insegna ancora tante cose. Ho letto Learning to Question proprio quando iniziavo a impegnarmi nella riflessione critica sulle persone nere e sull’esilio, e l’esperienza dell’esilio nei suoi scritti mi ha aiutato moltissimo. Sono rimasta elettrizzata da quel libro. La qualità dei dialoghi in esso contenuti è il vero gesto d’amore di cui Paulo parla in altri lavori. Leggendo quel libro, ho deciso che sarebbe stato utile impegnarsi in un lavoro dialogico con il filosofo Cornel West. Abbiamo scritto quello che Paulo chiama “un libro parlante”, Breaking Bread. Ovviamente un mio grande desiderio sarebbe scrivere un libro del genere con Paulo. E poi da qualche tempo sto lavorando a saggi sulla morte e sul morire, in particolare sui modi di morire afroamericani. Poi, quasi per caso, mentre cercavo un’epigrafe per questo lavoro, mi sono imbattuta in alcuni meravigliosi passaggi di Paulo che riecheggiano così intimamente la mia visione del mondo che è stato come se, per usare una vecchia frase del Sud, “La mia lingua parlasse dalla bocca del mio amico”: Mi piace vivere, vivere intensamente la mia vita. Sono il tipo di persona che ama appassionatamente la vita. Certo un giorno morirò, ma ho l’impressione che quando ciò avverrà, sarà intensamente come ho vissuto. Morirò sperimentando intensamente me stesso. Per questo motivo morirò con un immenso desiderio di vita, poiché è così che ho vissuto. Gloria: Sì! Riesco a sentirti dire proprio quelle parole. Un ultimo commento? hooks: Solo che le parole non sono abbastanza per evocare tutto ciò che ho imparato da Paulo. Il nostro incontro ha avuto quella qualità di dolcezza che persiste, che dura per tutta la vita; anche se non parlerai mai più con quella persona, anche se non vedrai il suo volto, puoi sempre tornare nel tuo cuore a quel momento in cui eravate insieme per sentirti rinnovata. Questo è il senso di una profonda solidarietà. 4. La teoria come pratica liberatoria. Sono giunta alla teoria attraverso la sofferenza: il dolore dentro di me era così intenso che non potevo più sopportarlo. Sono arrivata alla teoria disperata, bisognosa di comprendere – comprendere cosa stesse accadendo intorno a me e nel mio intimo. Più di ogni altra cosa, desideravo che il dolore sparisse. La teoria ha rappresentato per me un luogo di guarigione. L’ho scoperta da giovane, ancora una bimba. In The Significance of Theory Terry Eagleton afferma: I bambini sono i migliori teorici, dal momento che non sono ancora stati educati ad accettare le pratiche sociali abituali come “naturali”, e quindi insistono nell’interrogare quelle pratiche attraverso domande imbarazzanti, di carattere generale ed essenziale, soppesandole con una strana meraviglia che noi adulti abbiamo da lungo tempo dimenticato. Dal momento che non considerano ancora inevitabili le nostre pratiche sociali, non vedono perché non potremmo fare le cose in modo diverso. Ogni volta che, durante l’infanzia, ho tentato di convincere le persone intorno a me a cambiare il modo di comportarsi e a pensare al mondo in maniera differente, usando la teoria come mezzo per sfidare lo status quo, sono stata punita. Ricordo di aver cercato, in giovane età, di spiegare a mia mamma perché pensavo fosse altamente inappropriato per mio papà, un uomo che difficilmente mi rivolgeva la parola, avere il diritto di insegnarmi la disciplina punendomi a frustate. Insinuò che avevo perso la testa e avevo bisogno di punizioni più frequenti.