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La Pharsalia (o Bellum civile) è un poema epico sulla guerra civile tra Cesare e Pompeo, rimasto incompiuto al decimo libro. Ci sono alcune innovazioni rispetto alla tradizione del genere epico tra cui: la narrazione annalistica, l'abolizione dell'intervento divino, l'uso di sententiae (sentenze morali, proverbi). In Lucano il poema epico diventa una denuncia della guerra fratricida, preludio di un'era di ingiustizia. Lucano utilizza Virgilio come "anti-modello". Rispetto all'Eneide, in cui Virgilio aveva censurato la realtà storica delle guerre civili proiettandola nel mito, Lucano fa delle guerre civili il tema esclusivo del canto. Il protagonista non è più l'eroe designato dal fato, ma una pluralità di personaggi: Cesare, che ha i tratti tipici del tiranno; Pompeo, succube del fato; Catone, difensore degli ideali di libertà e giustizia. Proemio- Subito viene posto l'accento sulla tragicità della lotta tra consanguinei e si fa riferimento alla rottura del primo triumvirato che univa Cesare, Pompeo e Crasso. Poi Lucano si rivolge direttamente ai Romani sottolineando che invece di combattere gli stranieri hanno preferito scatenare guerre civili. Il poeta elenca i paesi e i territori che i Romani avrebbero potuto conquistare se non si fossero concentrati in una guerra fratricida. Poi Lucano si rivolge direttamente a Roma, riflettendo sulla sua condizione di desolazione e distruzione seguita alle guerre civili. Segue l'elogio dell'imperatore: nessun dio sarà pari a lui. Quando Nerone sarà accolto nell'Olimpo ci sarà la definitiva pace fra gli uomini. Infine Lucano ammette che Nerone è per lui già un dio, da cui trae ispirazione per scrivere la Pharsalia, non gli serve né l'aiuto di Apollo né quello di Dioniso. Cesare attraversa il Rubicone- Cesare superate le Alpi giunge sul Rubicone: gli si presenta l'Italia che viene personificata da Lucano nell'immagine di una donna in ansia, con i capelli bianchi e tristissima. La Patria si rivolge a Cesare lamentandosi del fatto che lui voglia procedere, portando altra distruzione. Cesare risponde invocando gli dei perché lo assistano nell'impresa che sta per compiere e afferma che lui non sarà nemico della patria a differenza di chi gli si opporrà. Dopo di ciò Cesare rompe gli indugi e oltrepassa il Rubicone: la sua foga e la sua determinazione assassina vengono paragonate da Lucano a quelle di un leone all'attacco anche se ferito. Segue la descrizione del fiume reso gonfio dalla pioggia e il rapido passaggio delle truppe. Oltrepassato il fiume, oltre il quale non era possibile portare eserciti, Cesare afferma che i patti seguenti al primo triumvirato non hanno più valore e sarà la Fortuna a decidere la sorte degli eventi tramite la guerra.