Read Aloud the Text Content
This audio was created by Woord's Text to Speech service by content creators from all around the world.
Text Content or SSML code:
È una visione del tutto coerente con la sua innovativa descrizione del sistema immunitario, concepito come un sistema in grado di discriminare tra un self (i costituenti molecola propri) e un not-self (quelli «alieni» degli agenti patogeni). Con un’implicazione decisiva. Quel «conflitto» tenderebbe, in un ambiente più o meno costante, a un equilibrio, a trasformare la competizione tra specie in coabitazione (come in effetti avviene in molti casi); se non intervenisse, a vanificarlo — anche se non come fattore esclusivo — l’attività dell’uomo. Ed è proprio quel conflitto il «timone» del percorso evolutivo che conduce fino alla pandemia di questi mesi. Un percorso che vede sulla scena tre «attori»: oltre agli agenti patogeni (in questo caso i virus) e agli umani, gli «ospiti serbatoio» (in gergo reservoirs) che hanno esercitano lo spillover, magari con l’ulteriore mediazione di qualche «ospite di amplificazione» (animali intermedi). E dal momento che SARS-CoV-2 condivide quasi tutto il genoma sia con il suo predecessore SARS-CoV (l’85%), sia col coronavirus dell’ospite-serbatoio di allora, i chirotteri ovvero i pipistrelli (addirittura il 90%), il terzo attore è più di un semplice indiziato. Provare a seguire quel percorso significa cercare di capire le ragioni non prossime — ma remote ed effettive — dell’epidemia-pandemia in corso. E per farlo, il libro di Quammen è solo uno strumento tra altri. L’origine dei virus va collocata con ogni probabilità nello scenario della stessa origine della vita, tra i 3.5 e i 3 miliardi di anni fa, quando si sviluppano nicchie ambientali favorevoli allo sviluppo delle prime entità biologiche. Dato che i virus sono «zombie chimici» (piccoli genomi racchiusi in una membrana proteica, che per riprodursi devono entrare nelle cellule e utilizzarne i meccanismi), tutte le teorie sulla loro genesi sono tese a spiegare quei tratti morfologici e biochimici. Nell’ordine, sono stati visti come cellule primitive degenerate (tramutate in parassiti dopo aver perso la capacità di vita autonoma); prodotti di «geni in fuga» cioè di «elementi genetici mobili» come i trasposoni (sequenze di Dna in grado di inserirsi nel genoma di molti organismi); o ancora — secondo la seducente teoria di Wolfram Zilling — organismi in coevoluzione con le stesse cellule, entro un comune «brodo primordiale» in cui acidi nucleici e proteine (isolati da involucri o membrane) sarebbero evoluti da un lato verso la viralità, dall’altro verso la cellularità. Anche se forse l’ipotesi più intrigante è che i virus risalgano a un ancestrale «mondo a Rna» in cui le protocellule non hanno ancora «diviso i compiti» tra Dna (depositario dell’informazione e della replicazione) e Rna (deputato alla trascrizione di quell’informazione e alla sua traduzione in proteine), ma operano con un «Rna tuttofare». E questo a tacere di ipotesi più estreme, come quelle che vedono i virus ancestrali all’origine sia dello stesso Dna che del nucleo cellulare. Oltre che onninvadenti (un milione di particelle virali in una goccia d’acqua, a fronte di 100.000 batteri) e infinitesimali (dai 20 ai 750 nanometri, in forme spesso bizzarre), i virus sono in ogni caso antichissimi, come dimostra, secondo adagio evoluzionistico («più gli organismi sono antichi, maggiore è la loro diversità») il numero di tipi classificati (5000), con stime realistiche che ipotizzano un numero di almeno 1000 volte superiore. E in ogni caso, la distinzione perdurante tra virus a Rna e a Dna — traccia di quelle origini arcaiche — è una delle chiavi per decifrarne morfologia e «comportamento», con le virgolette a ricordare che non dobbiamo mai cedere alla tentazione di «umanizzare» dinamiche biologiche senza scopo e senz’altro senso se non quello della riproduzione-sopravvivenza. I virus a Dna (con doppio filamento, la famosa elica) hanno genomi più estesi, minor numero di mutazioni e riescono a «correggere le bozze» (gli errori di replicazione) grazie alla Dna polimerasi, risultando quindi più «stabili». Mostrano «perseveranza, invisibilità, dissimulazione», tendendo a nascondersi al sistema immunitario in una sorta di letargo o stand-by prolungato, per poi riaffiorare in forme più acute: un caso tipico è il varicella-zoster, che può scatenare un «fuoco