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LA CONSERVAZIONE NELLA BIOLOGIA La «conservazione» è anche un istinto animale fondamentale ed ha un’origine fisiologica ben più lontana di quella scoperta dai glottologi nella storia delle parole. Risale all’origine della vita. È una legge della biologia. Con la scoperta del DNA il meccanismo della ri- produzione venne rivelato come universale e rigido (salvo mutazioni dovute al caso, vedi Jacques Mo- nod2 ). Questo celebre biologo si esprime così: «Tutto il sistema [riproduttivo] è interamente e pro- fondamente conservatore, chiuso su se stesso, e as- solutamente incapace di ricevere un’istruzione qual- siasi dal mondo esterno... Grazie alla perfezione con- servatrice dell’apparato replicativo, ogni mutazione, individualmente, costituisce un avvenimento molto raro... Soltanto il caso è all’origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera. Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, alla radice del prodi- gioso edificio dell’evoluzione.... Le cellule sono ri- maste quello che erano «due o tre miliardi di anni fa». 2 Jacques Monod, II caso e la necessità, Mondadori, Milano 1970. Appena una mutazione appare e riesce ad affer- marsi, come specie, continua a perpetuarsi sempre identica. La regola universale della vita non è dunque la evoluzione; è la conservazione. La conservazione è la regola; il cambiamento è l’eccezione: anzi è con- siderato dai biologi un «errore». 3 LA CONSERVAZIONE NELLA FILOSOFIA La storia della filosofia offre molti campioni di si- stemi adattabili al sentimento conservatore. C’è però un grande divario fra quelli che partono dal fondamento dell’essere e quelli che si fermano all’accettazione del divenire. C’è una scelta essen- ziale fra Parmenide ed Eraclito. Tutto è chiuso in un principio immutevole, oppure tutto è sciolto e si trasmuta in un cambiamento con- tinuo. Qual è la realtà? Un fiume non è mai lo stesso; sul principio piccolo e poi grande, nasce dai monti e sbocca nel mare; ta- lora indugia in un lago avendo incontrato una cavità; se non piove, il suo letto diventa bianco di sassi, e se diluvia, il fiume si gonfia e straripa; basta una goccia di più o una di meno per dire che non è più lo stesso fiume. Eppure il pensiero nostro lo chiama sempre «fiume». Se talvolta s’inabissa in caverne e pare scomparire sotto terra, è sempre lo stesso fiume per il nostro pensiero. Essere, insomma, è la base del divenire; r non vi- ceversa. Per un conservatore l'essere è più importante del divenire; la stabilità, la perennità, la continuità sono più importanti della rivoluzione, della interru- zione, della trasformazione. L'essere è la realtà asso- luta distinta da tutte le cose accidentali del mondo, che sono in paragone mutevoli e incomplete. Senza l'essere non ci sarebbe lo spettacolo del mondo mu- tevole. Pure l’uomo è destinato ad operare in mezzo al di- venire, a sapere che quello che ha visto oggi non sarà più identico domani; e che lui stesso non sarà più lo stesso; ed a sentire che questo sembra sfuggirgli di mano se egli non ha lo sguardo diretto all’essere che è il fondamento dell’accidentale, del passeggero, del discontinuo, del separato. Una filosofia contemporanea che molto si addice al sentimento dei conservatori è quella di Heidegger, il quale sostiene che una nazione decade quando il pensiero che la guida si allontana dal concetto fonda- mentale dell’essere per cadere sotto la preoccupa- zione dei suoi particolari. In questo senso tutti i popoli oggi possono esser considerati più o meno come decadenti. Croce disse una volta che «la storia vien fatta dall’alto»: è un principio di conservazione. Dall’es- sere nasce il divenire; dal grande il piccino; dal genio la folla; dal solido il fluido; dall’eterno il temporale. 4 LA CONSERVAZIONE NELLA STORIA Senza filosofia la conservazione è un istinto di vita che può essere accompagnato da una coscienza filo- sofica. Ma non è necessaria la cultura per essere un con- servatore. Come la donnicciola che crede in Gesù è per la Chiesa altrettanto meritevole quanto il dotto che conosce il testo greco dei Vangeli e il latino dei Concili, così la persona semplice, attaccata alle tra- dizioni che le sono state trasmesse dai suoi genitori o dalla società in cui è armoniosamente vissuta, è ri- spettabile nel suo spirito di conservazione quanto un lettore appassionato di Burke e di Cuoco. Altrettanto si dica per gli interessi. Ogni dottrina, si capisce, dà per conseguenza logica la preferenza nel dominio o nel godimento dei beni a certe classi di persone e alle loro attività. Non c’è stata classe di- rigente che non sia stata una classe privilegiata, com- prese, naturalmente, quelle dei Paesi comunisti. Ma non è corretto trovare in ciò il motore della storia politica. Popoli e individui sono mossi piutto- sto dalla fantasia che dagli interessi. Se fossero mossi soltanto dall’interesse sarebbe facile farli ragionare. Ciò che vogliono è la soddisfazione delle loro sim- patie, odii, immaginazioni, speranze; e lo vogliono oggi invece che domani. La rappresentazione viva di una trasformazione sociale ha maggiore capacità di qualunque ragionamento, séguito di fatti, o calcolo. Grandi spinte conservatrici furono opera di masse incolte e proletarie, come accadde nella reazione san- fedista contro la repubblica napoletana del 1799, op- pure nella rivolta vandeana contro la repubblica fran- cese del 1793; mentre i concetti del conservatorismo ebbero in quell’epoca profondi pensatori come Burke in Inghilterra, Hamilton in America, de Mai- stre in Francia, Cuoco in Italia, e negli ultimi tempi Maurras in Francia e Gentile in Italia. È impossibile trovare una definizione netta dell’istinto di conservazione, che parte, si può dire, dall’ameba per arrivare fino all’uomo, perché nelle manifestazioni umane così diversamente motivate, colorite, differenziate i fenomeni sono condizionati da circostanze storiche e locali. Ogni Paese ha dei conservatori che vogliono conservare situazioni e proprietà differenti e si oppongono a movimenti e a rivoluzioni diverse. Un conservatore francese ritorna volentieri con la mente ai tempi precedenti la Rivoluzione Francese; ma come potrebbe un conservatore americano pro- porre la soggezione degli Stati Uniti al dominio di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra? Nessun conser- vatore italiano vorrebbe proporre la restituzione all’Austria del Lombardo-Veneto e l’estensione della Città del Vaticano al territorio degli Stati della Chiesa prima del 1860. C’era chi si diceva borbo- nico, come Salvatore di Giacomo. Ma lo faceva per picca, per scherzo, per malinconia e per estetismo. Lo scrittore Acton ha difeso il Regno dei Borboni, e lo ha fatto bene; ma credo che nessuno e nemmeno lui pensi possibile il loro ritorno sul trono. Anche i comunisti, nonostante il programma teo- ricamente internazionale del marxismo, si sono tro- vati di fronte alla realtà nazionale dei vari popoli e delle varie situazioni storiche, e si è vista l’alleanza della Russia con governi che tenevano in prigione i propri comunisti, e anzi con altri governi che li man- davano a morte con giudizi sommari. Due sono state le grandi delusioni del comunismo. La prima, la sua incapacità a produrre e a distri- buire, nelle popolazioni cui è stato imposto, un li- vello di vita più soddisfacente di quello capitalistico. L’altra, la sua incapacità a superare i conflitti nazio- nali, per cui la Jugoslavia sta dilaniata soffrendo, i Balcani sono ancora in rivalità e, massimo scandalo, Russia e Cina vivono con truppe ammassate alle frontiere minacciandosi di guerra. Né quella povertà, né quella minaccia di guerra sono il prodotto del ca- pitalismo e della vita borghese. Incominciamo dunque, nel cercar di disegnare un ritratto dell’istinto di conservazione in generale, col dire che oggi la prima funzione del conservatore è quella di freno ai desideri impulsivi, ai sobbalzi e ri- volte, ai progetti infantili o! demagogici, ai pro- grammi di demolizione senza speranza di ricostru- zione. E una funzione modesta ed ingrata, ma importan- tissima: soprattutto in questi tempi di crisi, la critica che i conservatori esercitano, partendo da punti di vi- sta diversi, ma sempre mirando allo stesso bersaglio, ha avuto in Italia un notevole risultato per il referen- dum sulla legge che introdusse i1 divorzio. Si può cercare ora di identificare un certo numero di affermazioni comuni a molti conservatori di tutti i Paesi, valevoli per oggi, affiancate dalle negazioni corrispondenti dei radicali, progressisti, socialisti. Non possiamo rivolgerci al passato. Cicerone era un conservatore rispetto a Catilina ed a Cesare, e Dante lo era rispetto ai Comuni italiani; ma non è il caso di ripresentare i loro casi: non sono i nostri.