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Addossati ai quattro pilastri del presbiterio sono stati costruiti quattro grandi archi che definiscono un quadrato. Su questi è stato posto un alto tamburo cilindrico costituito da una parete circolare provvista di otto finestroni. Concepito dal Fuga piuttosto elevato, affinché fosse assicurato il primato di grandezza su tutte le cupole della città, in stile classico, calotta con nervature binate sormontata da lanterna - lucernario. Scompare la copertura lignea, il soffitto della navata è realizzato con volte a botte. Sui tetti delle navate laterali sono costruite sedici cupolette con lanternini, otto su ogni nave, e le rispettive finestre lucernari per illuminare ciascuna cappella. L'interno, che ha subito profonde trasformazioni tra la fine del Settecento e i primi dell'Ottocento, è a croce latina con tre navate divise da pilastri (gruppi tetrastili con 4 colonne incastonate provenienti dalla antica costruzione) con statue di santi che facevano parte della decorazione della tribuna del Gagini. Nella navata destra, la prima e la seconda cappella, comunicanti fra di loro, custodiscono le tombe imperiali e reali dei normanni, intorno alle quali ruota una storia romanzesca e ricca d'interesse. Ruggero II, re dal 1130, aveva stabilito già nel 1145 che il duomo di Cefalù da lui fondato diventasse il mausoleo della famiglia reale. In tal senso aveva predisposto la sistemazione di due sarcofagi in porfido, un granito molto prezioso e di notevole durezza, originario dell'Egitto, dal colore rosso cupo che, nell'antichità, era usato esclusivamente per le commissioni imperiali. Alla sua morte nel 1154, però, egli venne sepolto nella cattedrale di Palermo in un avello di porfido dalla forma molto più semplice. Nel 1215 Federico II fece trasportare i due sarcofagi da Cefalù alla cattedrale di Palermo destinandoli a sé e al padre Enrico VI. Il sarcofago di Federico II è sormontato da un baldacchino con colonne in porfido e l'urna è sorretta da due coppie di leoni; insieme a quelli di Federico II sono stati conservati anche i resti di Pietro II di Sicilia. Le altre tombe sono quelle di Costanza d'Aragona, sorella del re d'Aragona e moglie di Federico II, di Guglielmo, duca d'Atene figlio di Federico III di Sicilia, e dell'imperatrice Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II e madre di Federico II. Sul pavimento della navata centrale fu realizzata, durante i rifacimenti moderni, una meridiana in marmo con tarsie colorate che rappresentano le costellazioni per opera di Giuseppe Piazzi, astronomo e scopritore del supposto pianeta Cerere, e fu qui collocata nell'anno 1801. Il ricco altare del Sacramento, in bronzo, lapislazzulo e marmi colorati, è stato realizzata su disegno di Cosimo Fanzago (XVII secolo). Nel presbiterio si dispone il bellissimo coro ligneo tardo-quattrocentesco in stile gotico-catalano e il trono episcopale, ricomposto in parte con frammenti d'antichi mosaici del XII secolo. Durante la fase dei restauri della fine del XVIII secolo, fu incaricato il pittore di Sciacca Mariano Rossi di decorare la cattedrale. Gli affreschi, secondo il disegno originale, dovevano ricoprire il catino dell'abside, la volta del coro, la cupola e la navata centrale, e dovevano rappresentare idealmente il ristabilimento della religione cristiana in Sicilia per opera dei Normanni. Mariano Rossi incominciò nel 1802 e non terminò tutto il lavoro, ma ancora oggi si possono ammirare gli affreschi nel catino dell'abside, dove sono rappresentati Roberto il Guiscardo e il conte Ruggero che restituiscono la chiesa al vescovo Nicodemo e nella volta del coro, dove è dipinta l'Assunzione di Maria Vergine. A destra del presbiterio si trova la cappella di Santa Rosalia, patrona di Palermo, con le reliquie e l'urna d'argento, opera seicentesca di Matteo Lo Castro, Francesco Ruvolo e Giancola Viviano, portata in processione durante la festa patronale il 15 luglio. I due altorilievi di Valerio Villareale, rappresentano: Santa Rosalia invoca Cristo per la liberazione della peste e l'Ingresso delle gloriose reliquie di Santa Rosalia a Palermo. Oltre al coro ligneo in stile gotico-catalano del 1466 e ai resti marmorei della tribuna gaginiana riadattati, di alto interesse artistico sono la statua marmorea della Madonna con Bambino di Francesco Laurana, eseguita insieme ad altri aiuti nel 1469, la pregiata acquasantiera (posta al quarto pilastro) opera incerta di Domenico Gagini e la Madonna della Scala, eseguita nel 1503 da Antonello Gagini e posta sull'altare della sacrestia nuova. La cappella ubicata nel braccio meridionale del transetto si presenta chiusa da una cancellata in ottone, dall'arcata superiore pendono sette lampade votive in argento, quella centrale, donata dal re Vittorio Amedeo di Savoia nel 1714. Incastonata nell'arco d'ingresso della cappella, campeggia la grande aquila imperiale dalle ali spiegate, simbolo della città di Palermo. Ai lati, due bassorilievi del 1830 di Valerio Villareale raffiguranti episodi della vita della Santuzza palermitana: a destra Santa Rosalia ferma il braccio all'angelo della morte, a sinistra la Processione delle sacre spoglie, sono altresì presenti alcune paraste provenienti dalla dismessa Tribuna di Antonello Gagini. Sul drappeggio del catino absidale campeggia l'immagine più diffusa di Santa Rosalia, dipinta da Giuseppe Velasco. Sulla parte anteriore del basamento della mensa un paliotto argenteo raffigura Rosalia con alcuni degli elementi iconografici a essa ascrivibili: il teschio metafora allegorica dell'abbandono della vita terrena per quella trascendente e contemplativa, il libro sacro simbolo dell'esistenza condotta nella parola di Dio, le rose, che identificano il rosario e la purezza, lo scettro nella mano sinistra rappresentante la regalità e la discendenza dagli imperatori normanni. Dietro l'altare d'argento sbalzato, protetta da un cancello di rame del 1655 avente funzioni di sopraelevazione, è presente la preziosa e composita urna in argento disegnata da Mariano Smiriglio, realizzata dagli argentieri Giuseppe Oliveri, Francesco Rivelo, Giancola Viviano, Matteo Lo Castro con la collaborazione di Michele Farruggia e Francesco Roccuzzo. L'imponente realizzazione datata 1631 sostituisce l'arca similare realizzata in tempi brevissimi in argenti et cristalli della Gloriosae Sanctae Rosaliae, commissionata dal Senato di Palermo il 3 marzo 1625, tramite Nicola Placito e Giacomo Agliata, adesso esposta nella cripta delle reliquie. L'intera opera rappresenta uno dei capolavori più preziosi dell'argenteria siciliana barocca. Il basamento è costituito da aquile che si spalleggiano ad ali spiegate, appollaiate su cartigli e la conchiglia di San Giacomo, quattro putti alati sorreggono l'urna e sostengono lo scudo appiedato recante il simbolo della rosa. Il corpo dell'arca decorato con incisioni a basso e altorilievo con scene di vita della Giovane Eremita su ognuno dei quattro lati, i cosiddetti "teatrini": La Vocazione, L'eremo di Quisquina, La vita Contemplativa, La Coronazione fatta da Gesù Cristo, quattro cherubini assisi sui bordi di ognuno dei fianchi più lunghi, il coperchio con sviluppo a forma di parallelepipedo con sei ovali in bassorilievo riproducenti: L'eremo di Quisquina, L'eremo di Monte Pellegrino, La Vocazione, La Vita Contemplativa, La Recita del Rosario, Il Transito, fra teste alate di cherubini poste sugli angoli, il tutto sormontato dalla statua di Santa Rosalia in abiti da monaca basiliana, la corona di rose sul capo, la croce patriarcale nella mano sinistra, nell'atto di sconfiggere schiacciando con i piedi il drago, figura allegorica della peste e del male. Il reliquiario custodisce il corpo della Santa, la sua prima biografia e un manoscritto con la firma autografa del cardinale Giannettino Doria, arcivescovo di Palermo. Dell'antica Cappella di Santa Rosalia restano delle tracce d'intarsi marmorei e i fastosi resoconti d'illustri viaggiatori che delle visite in cattedrale e nell'eremo di Monte Pellegrino hanno lasciato dettagliate descrizioni nei diari dei loro Grand Tour: Johann Wolfgang von Goethe, Guy de Maupassant, Alexis de Tocqueville, Jean Frédéric d'Ostervald, Patrick Brydone per citare solo alcuni degli stranieri. Parete del transetto destro: Cappella di Maria Santissima Assunta. Costituisce pala d'altare il dipinto Madonna Assunta, opera di Giuseppe Velasco del 1801. I bassorilievi alle pareti del 1535 raffigurano le sante patrone palermitane, sull'altare è incastonata la Dormizione di Maria, raffigurata in mezzo agli Apostoli e Arcangeli, manufatto marmoreo in altorilievo proveniente dalla dismessa Tribuna di Antonello Gagini. Absidiola settentrionale o sinistra o Cappella del Santissimo Sacramento. L'abside lato vangelo nel 1549 è documentata come Cimiterio Arcivescovale, per contro l'abside lato epistola e lo spazio antistante, ospitava le sepolture reali. Fazio Gagini è incaricato del restauro e della racconciatura dei sarcofagi incastonati sulle pareti del catino. Gran parte dei monumenti furono collocati in basso e ripristinati assieme a tutto l'ambiente con carrate di marmi provenienti dalla dismessa chiesa della Pinta, prima che i sarcofagi dei vescovi venissero confinati nella cripta absidale. Elegante cappella con decorazioni in stucco dorate. Preziosissimo altare ciborio realizzato su disegno di Cosimo Fanzago del 1653 su commissione Martino de Leon. Mensa con pannelli, sopraelevazione riproducente un tempio con pianta esagonale a tre elevazioni: colonnato, tamburo, cupola realizzati interamente in lapislazzuli. Capitelli, modanature, cornici, inserti, fregi, nervature e decorazioni superiori col colore in contrasto in oro zecchino. La mensa e il ciborio preesistenti erano opera di Antonello Gagini.