Download Free Audio of Sala dell'Armamento o Sala del Guariento, collegat... - Woord

Read Aloud the Text Content

This audio was created by Woord's Text to Speech service by content creators from all around the world.


Text Content or SSML code:

Sala dell'Armamento o Sala del Guariento, collegata con la sovrastante Armeria, aveva la funzione di accogliere un deposito di armi e munizioni, ed era inizialmente collegata alle sale d'Armi e del Consiglio dei Dieci. Attualmente vi sono conservati i resti di un affresco di Guariento di Arpo che raffigura l'Incoronazione della Vergine, ma fu notevolmente danneggiato nell'incendio del 1577. Vi è conservato inoltre uno dei bozzetti (olio su tela) del Paradiso di Jacopo Tintoretto, la grande tela che sostituì l'affresco di Guariento dopo l'incendio del 1577 che distrusse la Sala del Maggior Consiglio. Questa serie di ambienti da un lato erano raccordati al Liagò, cioè la veranda destinata al passeggio dei nobili durante le pause nelle sedute dell'adiacente Maggior Consiglio, mentre dall'altro erano raccordati con i sovrastanti e sottostanti ambienti giudiziari del secondo piano e del piano delle logge. La sala del Maggior consiglio è la Sala principale del Palazzo, situata sull'angolo tra il Molo e la Piazzetta, riceve luce attraverso sette grandi finestre ogivali. Era un tempo la sede della massima magistratura veneziana, il Maggior Consiglio, che aveva il compito di legiferare ed eleggere tutte le principali cariche dello Stato. Nato come assemblea popolare, acquisì in seguito caratteri fortemente gentilizi, la cui apoteosi si verificò nel 1297 con la Serrata del Maggior Consiglio, che escluse dallo stesso tutti i cittadini non appartenenti a famiglie aristocratiche iscritte al cosiddetto Libro d'oro o di età inferiore ai venticinque anni. L'interno della sala è totalmente sgombro da colonne di sostegno e la tenuta strutturale del soffitto risulta possibile grazie ad un intelligente sistema di travature e di poderose capriate. Le sue enormi dimensioni, 53,50 metri di lunghezza per 25 di larghezza e 15,40 di altezza, che ne facevano una delle più vaste sale d'Europa, sono dovute al numero dei partecipanti al Maggior Consiglio, arrivato a comprendere tra i 1200 e i 2000 membri, che si accomodavano su una serie di lunghe panche a doppio seggio poste perpendicolarmente alla parete di fondo, dove trovava posto il podio destinato al Doge e alla Signoria. Il locale fu adoperato anche per altre funzioni, come i solenni ricevimenti atti a celebrare la visita di autorità politiche estere, tra cui Enrico III di Francia. Dopo la caduta della Serenissima, cominciò a riunirsi in questa sala la Municipalità democratica, che dovette presto lasciare il posto prima alla Biblioteca Nazionale Marciana e poi, una volta cacciati gli Austriaci, all'Assemblea del governo provvisorio. Ristrutturata una prima volta nel XIV secolo, le nuove pitture furono affidate al Guariento, che realizzò gli affreschi sulla parete di fondo, dei quali ancora oggi qualche frammento è conservato nella Sala del Guariento, a Gentile da Fabriano, al Pisanello, a Gentile Bellini, ad Alvise Vivarini, a Vittore Carpaccio, ad Antonio Veneziano, a Jacobello del Fiore e a Michele Giambono. Distrutta dal fuoco nel 1577, la sala venne nuovamente decorata tra il 1578 e il 1585 da Paolo Veronese, Tintoretto, Jacopo Palma il Giovane, Francesco Bassano, Andrea Vicentino e Gerolamo Gambarato. I disegni preparatori vennero realizzati dal monaco fiorentino Gerolamo de Bardi e dallo storico veneziano Francesco Sansovino, figlio del più celebre Jacopo, i quali pensarono di dividere in quattro gruppi i soggetti da realizzare sulle pareti. Il risultato fu grandioso ed estremamente ricco, nonostante il valore delle singole opere non sia né eccelso né all'altezza della fama degli autori stessi, che risentirono del manierismo decadente dilagante nell'ambiente della pittura veneziana durante il XVI secolo. Al Tintoretto fu affidata in particolare la decorazione che ricopre l'intera parete di fondo, dietro al trono: il Paradiso, che rappresenta la più grande tela al mondo, con i suoi ventidue metri di lunghezza per sette e mezzo di altezza. Fu dipinta tra il 1588 ed il 1592 in collaborazione con il figlio Domenico, suddivisa in più parti poi assemblate, in sostituzione del precedente affresco del Guariento, rappresentante il medesimo tema. Per la sua realizzazione il Senato interpellò i più celebri pittori del tempo, Tintoretto, Veronese, Palma il giovane e Bassano. I tre bozzetti per l'opera, realizzata poi da Tintoretto, sono oggi conservati al Louvre , al Museo di Lilla e all'Ermitage di San Pietroburgo. In questa sua opera l'artista immagina un mondo celeste che ruota intorno alla gloria del Cristo e della Vergine. L'enorme soffitto racchiude, fra grandi cornici di legno dorato, 35 dipinti su tela, separati da un complesso telaio costituito da cartelle, volute e festoni. Questa struttura, ideata da Cristoforo Sorte che la suddivise in trentacinque reparti di differente importanza, si sviluppa in tre ordini. Delle trentacinque opere, venti sono monocromi e rappresentano fatti storici dipinti da artisti minori, mentre i quindici dipinti maggiori riguardano fatti storici ed allegorici di cui è protagonista la Serenissima, di mano di Tintoretto, Veronese, Palma il Giovane e Bassano. Tra questi si ricorda la tela Pietro Mocenigo guida l'assalto alla città di Smirne. Il dipinto più celebre, il Trionfo di Venezia, incoronata dalla Vittoria, il grande ovale al centro del soffitto verso il Paradiso, è del Veronese. Si tratta dell'ultima grande tela allegorica del Veronese, che in questa ha scelto di raffigurare una personificazione di Venezia circondata dalle dee dell'Olimpo e incoronata da una Vittoria. L'anomala posizione della Vittoria, che sembra quasi immortalata nell'atto di compiere una capriola, potrebbe voler alludere alle da poco trascorse sconfitte di Venezia nella lotta contro gli Ottomani. Nell'ovato centrale è raffigurata l’Apoteosi di Nicolò Da Ponte, il doge sotto il cui governo venne realizzato l'imponente apparato decorativo. Immediatamente sotto il soffitto corre un fregio con i ritratti dei primi settantasei dogi della storia veneziana (i ritratti dei restanti sono collocati nella sala dello Scrutinio). Si tratta di effigi immaginarie, visto che quelle precedenti il 1577 furono distrutte nell'incendio, commissionate a Jacopo Tintoretto ma eseguite in gran parte dal figlio Domenico. Cronologicamente, tale opera comprende tutti i dogi compresi fra il dogato di Obelerio Antenoreo e il governo di Francesco Venier. Sul cartiglio che ogni doge tiene in mano sono riportate le opere più importanti del suo dogado. Il doge Marin Faliero, che tentò un colpo di Stato nel 1355, è rappresentato da un drappo nero: condannato in vita alla decapitazione e alla damnatio memoriae, ossia alla cancellazione totale del suo nome e della sua immagine, come traditore dell'istituzione repubblicana. Sul soffitto, in corrispondenza dei ritratti, è posto lo stemma del doge.