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BOTTE A SOPRESA PER VICTOR... Victor era a pochi metri di distanza. Per non dare nell'occhio, voltava le spalle al negozio in cui erano entrati i ragazzini. Senza perdere di vista la porta, però, che vedeva riflessa nella vetrina della bottega sul lato opposto della via. "Che cosa diavolo stanno facendo là dentro?" s'interrogava, spostando nervosamente il peso da una gamba all'altra. In quel momento vide uscire una dei ragazzine: Vespa, Bo aveva detto che si chiamava così. Si guardò in giro con aria annoiata, si voltò verso le gondole ormeggiate vicino al ponte e s'incamminò da quella parte. Non era passato neanche un minuto che il bambino dalla pelle scura apparve sull'uscio con una cesta e prese la direzione opposta. All'inferno! "Che cosa stanno combinando? Perché adesso si separano? Fa lo stesso, i due che interessano a me sono ancora dentro" pensò Victor, raddrizzandosi gli occhiali da sole. Poi fu il turno del porcospino. Saltando su una gamba sola si diresse verso la pasticceria che, pochi passi più in là, spargeva i suoi profumi deliziosi per tutta la calle. Si fermò e incollò il naso contro il vetro. Poi l'altra ragazzina uscì e corse via in un vicolo. Probabilmente gli altri dovevano andare a casa a mangiare e a fare i compiti. Quelle storie sul vecchio cinema dove vivevano insieme dovevano essere tutta un'invenzione del piccolo Bo. Meglio così. Comunque, anche se fossero spariti tutti, ognuno dai propri genitori, ne sarebbero rimasti fuori due, i due che stava cercando, perché quelli di famiglia a Venezia non ne avevano. Il bambino aveva raccontato che viveva in un cinema, con i suoi amici. Victor ripensava a quelle parole. "Be', bisogna riconoscere che il piccoletto le frottole le sa raccontare." Osservò divertito la propria immagine riflessa nel vetro. Un momento, ne stava uscendo un altro... Chi mancava all'appello? Ma certo, quello con la maschera. Però sembrava tutto diverso. Victor aggrottò la fronte, perplesso. Il ragazzo rimase un attimo fermo sulla soglia, si guardò intorno con faccia inespressiva e si chinò ad allacciarsi le stringhe. Poi fissò per un attimo il sole con gli occhi socchiusi e si avviò fischiettando senza fretta verso i gondolieri. «Gondola, gondola!» ripetevano. Eh si, Victor avrebbe preferito farsi un bel giro sul canale invece di starsene li in piedi al freddo. I cuscini erano morbidi e tutto quel dondolare conciliava il sonno. E quei dolci rumori: lo sciacquio, lo sciabordio delle onde contro i muri e i pali, i sussurri della città. Sospirando, chiuse per un attimo gli occhi. «Scusi!» disse una voce dietro di lui. Il detective trasalì. Il ragazzino che era appena andato a vedere le gondole stava proprio davanti a lui. E gli sorrideva con aria furba. Aveva un musino affilato e due grandi occhi scuri, quasi neri. Victor si levò gli occhiali per studiarlo meglio. Mah, era davvero lui il ragazzo mascherato che aveva visto poco prima arrivare sulla piazza, impettito come un galletto? «Mi sa dire l'ora?» domandò, squadrando il pullover a scacchi dell'uomo. Victor guardò l'orologio: «Le sedici e tredici» bofonchiò serio. Il ragazzo fece un cenno di ringraziamento con il capo. «Grazie. Bello il suo orologio. Segna anche che ora è sulla luna?» Lo stava prendendo in giro, lo si capiva dalla luce beffarda che aveva negli occhi. "Che cosa vuole da me questo qua?" si chiedeva Victor. "Ha in mente qualcosa." Diede un'occhiata al negozio di souvenir e vide con sollievo che Prosper e Bo c'erano ancora. «È inglese?» «No, eschimese, non si vede?» rispose il detective passandosi una mano sulla barba finta, appena in tempo, perché si stava staccando. «Eschimese? Interessante. Anche quando perdono la strada, difficile che finiscano da queste parti» commentò Scipio allontanandosi, mentre Victor tentava di riappiccicarsi la barba. «Maledizione» imprecò tra i denti, togliendosela spazientito. E in quell'istante vide le ragazzine scivolare di nuovo all'interno del negozio. Il porcospino non era più davanti alla pasticceria e anche quello con gli occhi neri era sparito. "Non possono avermi riconosciuto" rifletteva. "Impossibile." A un certo punto li vide uscire tutti e quattro dal negozio, dove evidentemente erano rientrati mentre lui si era distratto. Chiacchieravano come un gruppo di amici affiatati. Prosper e Bo erano in mezzo a loro. Nessuno dei sei si voltò a guardarlo, ma ridacchiavano e confabulavano tra loro. E Victor aveva la spiacevole impressione che parlassero di lui. Si avviarono senza fretta in direzione del Ponte di Rialto. Victor li segui tenendosi a distanza di sicurezza, ma abbastanza vicino per non perderli di vista. Non era abituato a pedinare dei bambini. E si rese conto che era un compito tutt'altro che facile. Erano così piccoli, li si dominava dall'alto con lo sguardo, certo, ma erano veloci. La calle che stavano percorrendo era lunga. Il gruppetto non dava segno di voler svoltare in uno dei vicoli laterali. Di tanto in tanto uno di loro si voltava, ma Victor stava all'erta. Tutto sembrava filare per il meglio finché un gruppo di vecchie signore grandi e grosse, probabilmente turiste straniere, uscirono da un caffè e gli sbarrarono la via con quei loro debordanti posteriori. Mormorando parole tutt'altro che gentili, Victor si fece strada deciso fra le ciccione. Allungò il collo per cercare i bambini e... inciampò nella ragazzina. Vespa, come l'aveva chiamata Bo. Adesso era li a fissarlo con grigi occhi ostili e, prima ancora che il detective capisse che cosa aveva in mente, lei gli si buttò addosso all'improvviso, battendogli furente il petto con i pugni chiusi e strillando come un'aquila: «Lasciami, porco! No, non vengo con te. No! Aiuto!» In un primo momento Victor, preso alla sprovvista, se ne restò là impalato, incapace di reagire. Poi tentò di spingerla via, ma lei gli aveva afferrato un lembo della giacca e non mollava la presa, urlando a più non posso. La gente intorno cominciò a voltarsi, guardando l'uomo e la ragazzina che si dibatteva e gridava. «Non ho fatto niente!» si difese Victor. «Niente di niente!» A quel punto si accorse con orrore che un grosso cane lo puntava. L'animale caracollò verso di lui e prese ad abbaiargli contro. Gli altri componenti della banda imboccarono un vicolo laterale e scomparvero. «Ferma!» urlò Victor. «Piccola peste! Bugiarda che non sei altro!» Tentò ancora una volta di liberarsi ma, proprio in quel momento, un forte colpo alla testa lo fece barcollare. E prima che potesse riprendersi fu circondato dai cinque donnoni di poco prima, che presero a percuoterlo con le borsette. Victor inveì indignato, proteggendosi il capo con le mani, ma la piccola vipera continuava la sua sceneggiata e le grassone picchiavano come pugili su un ring, mentre il cane gli aveva addentato la giacca e ringhiava a più non posso. La folla inferocita intorno a lui si faceva sempre più fitta. "Finiranno per schiacciarmi!" pensava Victor. Schiacciato come una cimice! Che brutta fine. Ma proprio mentre cadeva in ginocchio sotto le percosse, un carabiniere si fece largo fra la calca e lo tirò su. E mentre, in un sovrapporsi di voci concitate, i testimoni tentavano di spiegare l'accaduto, Victor si accorse che Vespa era sparita. Senza lasciare traccia, come i suoi amici.