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Si era allacciato le scarpe da ginnastica e si era infilato una polo bianca 65/35: 65% poliestere, 35% cotone. Gliel’aveva comprata suo padre alla Coop di Palermo, un tre per due di tutto rispetto: dieci euro tre magliette. Per la gita di fine anno era perfetta, il sole aveva iniziato a picchiare già da due settimane e sul cemento dello ZEN 2, dove abitava con Pietro e Grazia, i suoi due fratelli più grandi, e i genitori Salvatore e Concetta, il caldo aveva già fatto assaggiare l’effetto forno. Uscì di casa felice di quella gita fuori porta a Cefalù insieme ad altre due quinte elementari del centro. Le maestre si erano raccomandate la puntualità perché dalla loro scuola, al quartiere ZEN di Palermo, andare in centro era un vero e proprio viaggio, fatto di due autobus da prendere, sempre zeppi di persone e quasi mai puntuali. «Paolo sbrigati che sennò fai tardi e fate figure meschine», gli aveva urlato la madre che erano le sette e mezzo e l’appuntamento con gli altri bambini e la maestra era per le otto. Lo avevano abituato così, Concetta e Salvatore, a essere puntuale, a non mettersi mai nelle condizioni di poter essere rimproverato, a rigare dritto, a rispettare le maestre, a vestirsi sempre in modo dignitoso. Anche se con poco. Li avevano tirati su bene, quei tre figli, nonostante tutto. Dove «nonostante tutto», da quelle parti, voleva dire nonostante i lavori precari di Salvatore, le paghe da fame in nero, l’attesa di una casa popolare che non arrivava mai, la necessità di trovare un buco dove far crescere i figli, fino ad arrivare all’occupazione di un appartamento allo ZEN, acronimo di «Zona di Espansione Nord», a Palermo: 32.000 abusivi, una città nella città, spesso dimenticata per convenienza. E ricordata, spesso per altrettanta convenienza, indovinate quando. «Voi dovete andare sempre a testa alta: quello che possiamo fare facciamo, al resto ci pensa il Signore», diceva loro Concetta mandando giù quei sensi di colpa per non poter dare ai figli qualcosa di diverso dalle maglie in stock, dal fuori tutto al supermercato, dalle bancarelle «tutto a un euro». Per Paolo non era mai stato un problema. Era stato costretto a crescere più in fretta di molti suoi coetanei. Tuttavia cosa poteva dire a due genitori che non gli avevano fatto mancare nulla di quello che potevano e che, quando mancava, si facevano in quattro perché non mancasse? «Ci vediamo stasera», aveva detto Paolo alla madre prima di uscire di casa e ritrovarsi alla fermata dell’autobus insieme agli altri compagni di classe. C’erano Luigi e Marco. Anche loro cresciuti allo ZEN e anche loro pronti per quella gita di fine anno scolastico. Si incontrarono in centro sei classi di due scuole diverse. «Minchia guarda quello con le scarpe del mercato», aveva detto uno dei bambini rivolto a Luigi. E in quattro erano esplosi in una fragorosa risata. «Guarda quei due zingari, non hanno neanche i vestiti di marca, ma dove ve li comprano i vostri genitori?», aveva aggiunto un altro bambino che aveva puntato Luigi e Marco. Il primo non rispose nulla. Marco invece trattenne a stento lacrime e singhiozzi. Gli occhi gli si erano fatti lucidi, le guance rosse e il diaframma buttava su delle spinte che la gola a stento riusciva a soffocare. Si girò dall’altra parte e se ne andò in disparte. Paolo lo seguì, non prima di aver lanciato ai due bambini uno sguardo di disprezzo. «Marco, ma che minchia piangi, che minchia fai? Così gli dai solo soddisfazione. Non te ne deve fregare niente di quello che hanno detto», aveva accennato, cercando di consolarlo e allungando un braccio in segno di protezione sulla spalla. L’amico però non voleva saperne di smettere. Allora lo strattonò: «Guarda che noi siamo uguali a loro, anche se siamo vestiti con venti euro addosso, anche se non abbiamo la maglietta originale “Yonk 46”, anche se non è 100% cotone, ma quella del mercato. Che te ne fotte, Marco?» Non era la prima volta che Paolo assisteva a scene del genere. Anche dentro lo ZEN c’era chi lo sfotteva perché non aveva i vestiti firmati. Perché, come spesso succede, anche la povertà è stratificata e distingue: così chi è meno povero se la prende con chi lo è di più, in una specie di scala rovesciata, dove chi riesce a stare poco più sopra, tanto più conta. «Marco, l’importante nella vita è avere in tavola il piatto di pasta ogni giorno, ricordatelo sempre». Può apparirvi un esempio banale, ma per Paolo, che a dieci anni aveva già più volte conosciuto cosa volesse dire non averlo quel piatto, non era affatto un consiglio scontato. Riuscire a chiudere gli occhi la sera, prima di andare a dormire, senza i crampi dello stomaco che reclama quello che non ha avuto era già, per lui, qualcosa di non sempre certo. Paolo e i suoi due fratelli avevano imparato da subito il valore delle cose. Succedeva così anche quando, insieme ai fratelli, il sabato pomeriggio, papà Salvatore li portava all’Auchan, appena fuori dal perimetro dello ZEN. «Potete scegliere tutti i colori e le matite che volete tra questi», diceva loro papà Salvatore, e gli mostrava il cestone dei «prezzi scuola imbattibili». La sua filosofia era un po’ questa: meglio economici ma per tutti e tre, piuttosto che di marca ma per uno solo. «Colorano uguale», diceva loro. E non poteva fare altrimenti, anche se avesse voluto. E Dio solo sa quanto avrebbe voluto vedere la sua famiglia sistemata, i suoi figli felici. Ma il lavoro c’era e non c’era. Era partito con il fruttivendolo, andava al mercato a caricare e poi si arrabattava a rivendere. Niente di che. Infatti, appena aveva potuto, si era imbarcato in un’altra attività, questa volta con contratto regolare. Raccoglieva la «muscagghia», come si dice a Palermo, ovvero gli scarti del legno che gli portavano i falegnami e che venivano poi trasformati in legna da ardere. Per qualche anno fu il lavoro più redditizio che avesse trovato. Fino a quando l’azienda tagliò i contratti e i posti di lavoro. E Salvatore si dovette rimettere a cercar fortuna. Finì, come in molti, a raccogliere ferro e rame. Un lavoro faticoso e tutto in nero ovviamente. Concetta invece si occupava dei figli e della casa. Arrotondava di tanto in tanto stirando per una signora anziana, ma nulla che garantisse