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complessa, invalidante e necessita di stretto monitoraggio e cure continue»60 . Il referto venne trasmesso alla dottoressa Astrid Santoni, la persona di riferimento dell’azienda sanitaria altoatesina per i profughi. Fu proprio lei, capita la gravità della situazione, a scrivere una mail al responsabile dell’Azienda servizi sociali del comune di Bolzano e alla direttrice del settore anziani e servizi sociali della provincia. Il testo era molto esplicito. «Il bambino con la famiglia sono presenti sul nostro territorio da pochi giorni e non hanno un posto da dormire, ma vivono per strada. Viste le condizioni cliniche del bambino affetto da distrofia muscolare si richiede un alloggio per questa famiglia. Allego il certificato medico. Spero che troviamo un posto letto. Grazie del vostro aiuto, un caro saluto.»61 Nel frattempo Karin e Hussain erano andati in questura, per formalizzare la domanda di protezione internazionale. Era il pomeriggio del 6 ottobre 2017: ancora nessuno tra le istituzioni provinciali si era fatto vivo per dare accoglienza a questa famiglia, a cinque giorni dal suo arrivo a Bolzano. La sera, mentre Hussain stava spingendo la carrozzina di Abdullah per andare alla mensa della Caritas, non si accorse di una barriera architettonica. Il ragazzo cadde in avanti e battè la testa. «Abdullah, Abdullah», gridò Hussain. «Non toccarmi le gambe, non toccarmele che mi fanno male», gli rispose piangendo il ragazzo. L’ambulanza arrivò in fretta per portarlo all’ospedale San Maurizio di Bolzano. Hussain aveva avvertito Deman, Federica e Karin. In breve tempo arrivarono in ospedale. «Non sono stato attento a spingere la carrozzina, ho trovato una buca e Abdullah è scivolato in avanti, è stata colpa mia», ripeteva Hussain tra i singhiozzi. Fu una lunghissima notte, quella, per lui, i suoi figli, Deman e i volontari di “SOS Bozen” che stavano seguendo la vicenda. Perché il ragazzo aveva avuto un’altra crisi respiratoria ed era stato necessario trasferirlo in terapia intensiva. La mattina successiva venne portato in pediatria chirurgica. Era semicosciente, entrambe le gambe ingessate dall’inguine fino alle caviglie. Ma nonostante la situazione postoperatoria si fosse rivelata stazionaria, era subentrata un’infezione e i medici stavano facendo di tutto per capire quale fosse il batterio responsabile. Con il passare delle ore le cose non miglioravano. I polmoni si erano riempiti di sangue, Abdullah aveva iniziato a vomitare, fino a non riuscire più a respirare. Alle due di notte dell’8 ottobre, sette giorni dopo il suo arrivo a Bolzano, il suo cuore si era fermato per sempre e lui, 13 anni appena, era morto senza accoglienza nella più ricca delle città d’Italia. È una sera di quasi metà ottobre quando arrivo a Bolzano. Mi fa un certo effetto: questa è la terra in cui sono nato, dove sono cresciuto, ho studiato e vissuto per 19 anni prima di trasferirmi a Milano. C’è una cosa che impari in fretta da queste parti ed è questa: comanda mamma provincia. Mamma provincia dà. Mamma provincia toglie. Libri scolastici gratuiti, mutui a fondo perduto, finanziamenti per ristrutturazioni, borse di studio per l’università, anticipazione delle detrazioni fiscali nel caso delle spese per il recupero edilizio, contributo per lo smaltimento dell’amianto, per l’abbattimento delle barriere architettoniche, fino al 70% dei costi sostenuti. Una vera manna. Niente banche: ci pensa la provincia, senza interessi da restituire. Questa è la madre. Poi c’è la matrigna, con le norme di uno Statuto di autonomia prezioso e benedetto sì, ma sempre più scollato dalle esigenze di movimento, di cambiamenti di vita e di abitudini delle persone.62 Così, in Alto Adige/Südtirol, puoi votare solo dopo 4 anni di residenza ininterrotta nel territorio della regione Trentino Alto Adige/Südtirol. Prima sei il benvenuto. E paghi le tasse. Ma nell’urna a esprimerti per il consiglio provinciale o per quello comunale non ci puoi andare.63 Vuoi lavorare o accedere a un concorso pubblico? Puoi farlo solo se quel posto è riservato al tuo gruppo etnico. Sì perché ogni dieci anni, quando c’è il censimento nazionale, ogni residente in provincia di Bolzano deve dichiarare a quale gruppo sente di appartenere: tedesco, ladino o italiano.64 Poi mette tutto in una busta che arriva al commissario del governo, a Bolzano, dove si fa la conta. Si stabiliscono le proporzioni dei gruppi linguistici residenti in provincia: un tot di madrelingua tedesca, un tot di madrelingua italiana e un tot di madrelingua ladina. Su questa proporzione, per i successivi dieci anni, si distribuiscono i posti di lavoro pubblici, le case popolari, i contributi provinciali messi a bilancio e destinati a scopi assistenziali, sociali o culturali.65 Se per esempio c’è un concorso pubblico per un primariato ospedaliero e quel posto è riservato a un medico di madrelingua tedesca, l’italiano o il ladino non vi possono partecipare. Con l’assurdità che a vincere non sarà il migliore tra tutti i medici, ma il miglior tedesco, in questo caso. O il miglior italiano e ladino in casi futuri. La chiamano proporzionale etnica, abbreviato “proporz”, uno strumento giusto, ci hanno sempre detto, per tutelare la lingua, la tradizione, la cultura di ogni gruppo. Nei fatti però la norma andrebbe adeguata al mutare dei tempi, del saldo migratorio verso la provincia di Bolzano, che non si compone più, per esempio, solo di italiani, tedeschi e ladini, ma di altri gruppi consistenti di immigrati. È una norma anacronistica, sotto diversi punti di vista e che resta ancora irretita nelle maglie della divisione, della parcellizzazione linguistica, perfino delle competenze, molto lontana dall’idea di una società aperta e meritocratica, dove i concorsi sono fatti per essere vinti dal miglior candidato in possesso, ovviamente, della conoscenza di almeno entrambe le lingue, italiana e tedesca. Perfino le parrocchie, in provincia di Bolzano, hanno messe in lingua italiana, tedesca e ladina. Perfino sull’altare si va divisi. Esistono parrocchie solo tedesche e parrocchie solo italiane. Oppure esiste la mia parrocchia di Santa Maria Assunta, a Merano, parrocchia bilingue, quindi con due parroci, uno di lingua italiana l’altro di lingua tedesca. Con me a Bolzano c’è Mario Vasta. È il mio romanissimo film-maker, che sgrana gli occhi a ogni regola e norma dello Statuto di Autonomia che gli racconto. Perché visto da fuori il complesso sistema che organizza la vita in Alto Adige/Südtirol non è facile da comprendere. «Siamo in Italia, ma mi si rivolgono in tedesco» è il refrain che sento da quando ho lasciato la mia terra. Capire l’enorme ricchezza di un territorio trilingue è complesso, se non ci sei cresciuto. L’equilibrio dell’Alto Adige/Südtirol si regge su un sistema di norme, su un reticolo in cui incasellare le vite delle persone in regole spesso poco comprensibili quando non assurde, ma che alla fine hanno consentito di portare avanti l’autonomia più tutelata del mondo. I pochi che hanno cercato di creare ponti tra le tre culture del territorio, come Alexander Langer, fondatore dei Verdi e uomo che ha speso la sua breve vita in questa direzione, sono rimasti per troppo tempo voce di chi grida nel deserto. Da 72 anni la provincia autonoma di Bolzano è governata dalla Südtiroler Volkspartei, il partito popolare sudtirolese, una specie di Dc, che ha avuto grandi meriti, tra cui tutelare e far progredire, grazie ad abili trattative con i governi centrali, lo splendido concetto di autonomia, che significa benessere per tutti, è vero, ma, anche e proprio per questo, grande responsabilità nella gestione delle risorse e nel loro impiego. Nello stesso tempo questa vastità di competenze, trasferite dallo Stato alla provincia, ha finito per creare a Bolzano uno strapotere dei presidenti che si sono avvicendati negli anni, con “regni” lunghissimi, che hanno superato in alcuni casi il quarto di secolo. È funzionato tutto come un orologio, fino a quando sono iniziati ad arrivare, anche quassù, i migranti. Senza questa premessa sull’autonomia di un territorio così particolare come quello altoatesino, è difficile comprendere non solo la portata del nuovo fenomeno migratorio a queste latitudini e a pochi chilometri dal confine del Brennero, ma diventa anche impossibile capire fino in fondo la vicenda del piccolo Abdullah. L’immigrazione ha avuto in Alto Adige/Südtirol un effetto detonante per una comunità i cui confini, fino a quel momento, non si spingevano più a sud di Salorno. «E loro in quale gruppo etnico li inseriamo adesso?», si devono essere chiesti i dirigenti politici locali. Come li gestiamo? E quante risorse dovremo stanziare in più, togliendole alla nostra gente? E con la proporzionale etnica come si fa? Domande che sembrano banali a chi non conosce davvero la realtà altoatesina, ma che non lo sono affatto per un territorio e una società abituati a vivere con un insieme normato di prescrizioni. Così, quando il tema dell’accoglienza è diventato impellente, anche a Bolzano si sono dovuti rimboccare le maniche. Devono aver pensato a come fare e a come non fare, dove metterli, dove non metterli questi migranti, fino a quando hanno partorito una soluzione geniale: la circolare Critelli, dal nome dell’allora direttore della ventiquattresima ripartizione