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RIASSUNTO VENTOTTESIMO CAPITOLO PROMESSI SPOSI. LA SITUAZIONE ECONOMICA E LO SCOPPIO DELLA CARESTIA. Il narratore si sofferma a descrivere le condizioni che determinarono la grave carestia del 1629 nello Stato di Milano. Dopo i tumulti di san Martino, sembra che l’abbondanza sia tornata in città: prezzi bassi e magazzini pieni di farina. In effetti, si tratta di una disponibilità fittizia e temporanea, causata dalla violenza popolare e dalla debolezza delle istituzioni. La gente si accaparra quanta più farina può, stipandola in casa e rendendo ancora più problematica una duratura e regolare fornitura. Poiché una simile facilitazione vale soltanto per la città di Milano, dalle campagne arrivano di continuo molte persone per approfittarne, aggravando ulteriormente il problema. A poco servono le leggi sempre più severe. E a poco serve anche mescolare alla farina di grano quella di riso che, del resto, ha un prezzo anche maggiore. Una tale precaria situazione regge soltanto poco più di un mese: alla fine del dicembre 1628 il prezzo politico viene abolito, ma le riserve di farina sono ormai esaurite. Così, con la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, prende a diffondersi la carestia. IL TRISTE SCENARIO URBANO E I PRIMI SEGNI DEL CONTAGIO. La città, in preda alla carestia, offre un desolato spettacolo: botteghe chiuse, fabbriche deserte, strade che diventano teatro dei patimenti di una nuova folla di poveri composta da artigiani, garzoni, operai, servitori e addirittura bravi di famiglie nobili impoverite. I mendicanti si spostano con al seguito l’intera famiglia: mogli, figli, vecchi. Agli accattoni di città si aggiungono quelli provenienti dalla campagna per contendersi la magra elemosina. Costretti a dormire su giacigli di paglia improvvisati in strada, stremati dalla fame, alcuni non si rialzano più o cadono morti all’improvviso sul selciato della strada. NONOSTANTE LA CARITÀ DEL CARDINALE E GLI INTERVENTI PUBBLICI, LA CARESTIA DILAGA. Alcune persone caritatevoli si prodigano per lenire le sofferenze e le stesse istituzioni pubbliche decretano aiuti eccezionali per la popolazione. Il cardinale Federigo, in particolare, ha incaricato tre coppie di sacerdoti di girare la città e di intervenire nei casi di maggiore indigenza. Molte famiglie ricche, su richiesta del cardinale, aprono le loro porte a gruppi di disperati e altre famiglie, che non se lo potrebbero permettere, ospitano gli indigenti, con una retta pagata dal cardinale stesso. Quest’ultimo, inoltre, acquistate grandi partite di grano, ne invia grossi carichi ai parroci della diocesi, perché anche nelle campagne si abbia qualcosa, e a quelli della città, perché sfamino i bisognosi. Invia anche sale con il quale insaporire le erbe dei campi che, nell’estrema emergenza, possono rappresentare un’ultima e disperata fonte di sostentamento. Ma i mezzi a disposizione sono minimi rispetto al bisogno e presto la carestia si estende a tutte le classi sociali. L’AUTORITÀ CIVILE DECIDE DI RADUNARE I MENDICANTI NEL LAZZARETTO. ESPLODONO IL CONTAGIO E LA MORTALITÀ. Alla fine della primavera del 1629, la situazione è così critica che, per evitare un’epidemia, le autorità decidono di radunare tutti gli accattoni in un unico luogo, il lazzaretto, trascurando il fatto che in questo modo il pericolo del contagio si si sarebbe potuto aggravare. Diecimila persone vengono segregate in spazi ridotti e in condizioni di sussistenza disastrose e ben presto i casi di mortalità si moltiplicano. Constatata l’inutilità e il danno del provvedimento, le porte del lazzaretto vengono riaperte e i sopravvissuti invadono le strade della città. GLI ESERCITI FRANCESI E TEDESCHI SCENDONO IN ITALIA. Finalmente giunge la stagione del nuovo raccolto e con questo la carestia va scemando. Ma nell’autunno si annunciano nuove sciagure, legate alle vicende politiche e militari. Dapprima scende in Italia l’esercito francese per la liberazione di Casale; poi si accingono a calare nel milanese le truppe mercenarie dell’imperatore Federico d’Asburgo, con il pericolo di diffondere il contagio della peste. Intanto il governatore di Milano, Gonzalo de Cordova, ritenuto responsabile delle ripetute sconfitte della Spagna, viene sollevato dal suo incarico e si allontana da Milano fra gli insulti e l’ostilità del popolo. LA CALATA DEI LANZICHENECCHI. A settembre entrano nel ducato di Milano le truppe imperiali, gli efferati lanzichenecchi, organizzati in bande mercenarie, la cui mira principale è il saccheggio: ovunque arrivino, depredano e distruggono ogni cosa con spietata violenza. Ben presto giungono nel territorio di Lecco.