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Inej si sforzò di guardare il Serraglio mentre ci passava davanti. “È solo un luogo” disse a se stessa. “Solo un’altra casa.” In che modo l’avrebbe guardato Kaz? Dove sono le entrate e le uscite? Come funzionano le serrature? Quali finestre sono senza sbarre? Quante guardie sono in servizio, e quali sembrano attente? Solo un edificio pieno di serrature da forzare, casseforti da aprire, polli da gabbare. Ed era lei il predatore adesso, non Heleen nelle sue piume di pavone, non gli uomini che camminavano per strada. Non appena Inej si allontanò dal Serraglio, la morsa che aveva al petto e alla gola iniziò ad allentarsi. Ce l’aveva fatta. Aveva percorso da sola lo Stave dell’Ovest, era passata proprio davanti alla Casa delle Creature Esotiche. Qualunque cosa la stesse aspettando a Fjerda, l’avrebbe affrontata. Una mano arpionò il suo avambraccio e tirò, facendola incespicare. Inej recuperò velocemente l’equilibrio. Girò sui talloni e cercò di staccarsi, ma la presa era troppo forte. «Ciao, piccola lince.» Inej inspirò e liberò il braccio con uno strattone. Tante Heleen. È così che le ragazze dovevano chiamare Heleen Van Houden se non volevano assaggiare il dorso della sua mano. Per il resto del Barile lei era il Pavone, anche se Inej aveva sempre pensato che fosse più un gatto pieno di sé che un uccello. I suoi capelli erano di un color oro viscoso e sensuale, gli occhi nocciola e leggermente felini. La sua corporatura alta e sinuosa era avvolta in un abito di vivace seta blu, la profonda scollatura accentuata da piume cangianti che solleticavano il girocollo di diamanti che come al solito le luccicava sulla pelle. Inej si voltò per scappare, ma la strada era bloccata da un colosso, la giacca di velluto blu strizzata sulle grosse spalle. Cobbet, lo scagnozzo preferito di Heleen. «Oh no, non lo farai, piccola lince.» Lo sguardo di Inej si offuscò. Intrappolata. Intrappolata. Intrappolata di nuovo. «Non mi chiamo così» cercò di dire Inej con il respiro corto. «Piccola testarda.» Heleen afferrò la casacca di Inej. “Muoviti” le urlò una voce dentro la testa, ma non ci riuscì. I muscoli erano rattrappiti; la mente era invasa da un gemito acuto di terrore. Heleen fece scorrere un artiglio curatissimo lungo la sua guancia. «Lince è il tuo unico nome» cantilenò. «Sei ancora abbastanza carina da tirar su dei bei soldi. Però gli occhi sono più duri: hai passato troppo tempo con quel delinquente di Brekker.» Un verso di umiliazione scaturì dalla gola di Inej, un rantolo strozzato. «Io so di che pasta sei fatta, lince. So quanto vali fino all’ultimo centesimo. Cobbet, forse dovremmo portarla a casa adesso.» La vista di Inej si offuscò. «Non osare. Gli Scarti...» «Posso aspettare il momento giusto, piccola lince. Indosserai ancora i miei vestiti di seta, è una promessa.» Heleen lasciò andare Inej. «Goditi la serata» disse con un sorriso, poi aprì il suo ventaglio blu e sparì nella folla portandosi dietro Cobbet. Inej rimase ferma, a tremare. Poi si immerse anche lei nella calca, impaziente di scomparire. Voleva mettersi a correre, ma continuò ad avanzare in modo regolare, senza scatti, spingendosi verso il porto. Mentre camminava slacciò i ganci dei foderi fissati agli avambracci e sentì i manici dei pugnali scivolarle in mano. Sankt Petyr, famoso per il suo coraggio, nella destra; la lama sottile e dal manico di osso che aveva chiamato Sankta Alina nella sinistra. Recitò anche i nomi di tutti gli altri coltelli che possedeva. Sankta Marya e Sankta Anastasia, fissati con una cinghia alle sue cosce. Sankt Vladimir, nascosto in uno dei suoi stivali, e Sankta Lizabeta, comoda alla cintura, la lama decorata con una fantasia di rose. Proteggetemi, proteggetemi. Inej aveva bisogno di credere che i suoi Santi vedessero e capissero quello che faceva per sopravvivere. Cosa c’era che non andava? Lei era lo Spettro. Non aveva più niente da temere da Tante Heleen. Per Haskell aveva riscattato il suo contratto. L’aveva liberata. Non era più una schiava; era un valido membro degli Scarti, una ladra di segreti, la migliore nel Barile. Si affrettò dietro la luce e la musica del Coperchio e finalmente le apparvero i porti di Ketterdam, e più si avvicinava all’acqua più i luoghi e i rumori del Barile sbiadivano. Qui non c’erano gruppi di persone da urtare, profumi nauseanti o maschere feroci. Fece un lungo respiro profondo. Da dove si trovava poteva vedere la cima di una delle torri degli Scuotiacque, dove le luci delle torce erano sempre accese. I grossi obelischi di pietra nera erano presidiati giorno e notte da un gruppo prescelto di Grisha che tenevano costantemente alte le maree sopra il ponte di terra che altrimenti avrebbe collegato Kerch a Shu Han. Persino Kaz non era mai stato capace di scoprire chi formava il Consiglio delle Maree, dove vivevano, o come era stata garantita la loro lealtà a Kerch. Gli Scuotiacque controllavano anche i porti, e se dai capitani o dai marinai arrivava un segnale, loro modificavano le maree e impedivano a tutti di partire. Ma quella sera non ci sarebbe stato nessun segnale. Erano state date le bustarelle giuste agli ufficiali giusti, e la loro nave doveva essere già pronta per salpare. Inej si mise a correre, puntando verso le banchine galleggianti di Quinto Porto. Era in ritardissimo, e non moriva dalla voglia di vedere lo sguardo di disapprovazione di Kaz quando fosse arrivata al pontile. Le piaceva la pace delle banchine, ma sembravano quasi troppo calme dopo il fracasso e la confusione del Barile. Qui, le file di casse e di scatole colme di merci erano impilate su entrambi i lati: tre, a volte quattro casse, una sull’altra. Facevano sembrare questa zona della banchina un labirinto. Il sudore freddo le imperlò il fondo della schiena. L’incontro inaspettato con Tante Heleen l’aveva scossa, e la presenza confortante dei pugnali in mano non era sufficiente a placare i suoi nervi scoperti. Sapeva che avrebbe dovuto abituarsi a portare una pistola, ma il peso destabilizzava il suo senso dell’equilibrio, e poi le pistole potevano incepparsi o scattare nel momento sbagliato. Piccola lince. I suoi pugnali erano affidabili. E la facevano sentire come se fosse nata con gli artigli giusti. Attraverso la nebbiolina leggera che si stava sollevando sopra l’acqua, Inej vide Kaz e gli altri che stavano aspettando vicino al molo. Indossavano banali vestiti da marinaio: pantaloni di tela ruvida, stivali, giacche di lana pesante e cappelli. Anche Kaz aveva rinunciato al suo abito tagliato su misura in maniera impeccabile a favore di una pesante giacca di lana. I folti capelli neri erano pettinati all’indietro, ai lati erano tagliati corti come sempre. Sembrava uno scaricatore di porto, o un ragazzo che prendeva il largo per la sua prima avventura in mare. Era un po’ come se lei stesse scrutando, attraverso una lente d’ingrandimento, una realtà diversa e più piacevole. Alle loro spalle vide la piccola goletta che Kaz aveva requisito: su un fianco, a grosse lettere, c’era scritto Ferolind. Sventolava la bandiera con i pesci viola di Kerch e quella colorata della Compagnia della Baia Haanraadt. A tutti, a Fjerda o tra i flutti del Mare Vero, sarebbero semplicemente sembrati dei cacciatori di pelli e pellicce che puntavano a nord. Inej accelerò il passo. Se lei non fosse stata in ritardo, gli altri sarebbero già saliti a bordo o addirittura sarebbero stati in viaggio fuori dal porto. Avevano tenuto l’equipaggio al minimo, tutti ex marinai che si erano fatti strada nei ranghi degli Scarti tra una sventura e l’altra. Attraverso la nebbia contò velocemente chi c’era nel gruppo in attesa. Il numero non tornava. Sarebbero dovuti esserci anche quattro membri in più degli Scarti per dare una mano a mettere in mare la goletta dal momento che nessuno di loro conosceva davvero le manovre da fare, ma non ne vedeva nessuno. Forse erano già a bordo? Ma proprio quando il pensiero le attraversò la mente, i suoi stivali toccarono qualcosa di morbido e inciampò. Guardò in basso. Nella luce fioca dei lampioni del porto, vide Dirix, uno degli Scarti che avrebbe dovuto viaggiare con loro. Aveva un coltello in pancia, e gli occhi erano vitrei. «Kaz!» urlò Inej. Troppo tardi. La goletta esplose, buttando Inej a terra e riducendo la banchina in fiamme.