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Il pavimento in legno della fatiscente dimora scricchiolava sotto i miei piedi. Nel- l’ingresso c’era un modesto zerbino che occultava il logorìo del pavimento causato dagli anni. Benché questo fosse pulito, bisognava rifarlo. Entrando nel salottino, mi venne quasi un senso di claustrofobia: era pieno zeppo di mobili antiquati, sovraccarichi di ninnoli che oggi farebbero la felicità dei collezionisti. Sul divano erano sedute due donne, entrambe leggermente più anziane di mia madre. Davanti a loro c’era un uomo in tuta da operaio, con calzoni larghi e camiciotto color sabbia, stirato ma non inamidato: teneva in mano un bel prontuario. Avrà avuto una decina d’anni più di mio padre, direi sui quarantacinque. Mentre io e Mike passavamo davanti a loro, ci sorridevano; poi arrivammo in cucina, che dava sul portico prospiciente il giardino sul retro della casa. Avevo risposto con timidezza alla loro accoglienza. «Chi sono quelle persone?» chiesi al mio amico. «Oh, lavorano per mio padre. L’uomo più grande gestisce i suoi magazzini, mentre le donne sono le direttrici dei ristoranti. Poi hai visto il capomastro, che adesso è impegnato in un progetto stradale a una cinquantina di miglia da qui. L’al- tro capomastro, che sovrintende alla costruzione di una schiera di case, se n’era andato prima del tuo arrivo». «È tutte le mattine così?» domandai con stupore. «Non sempre, ma spesso», commentò Mike, sorridendo mentre prendeva una sedia per mettersi di fianco a me. «Gli ho chiesto se voleva insegnarci a fare i soldi», aggiunse. «Bene, e cosa ha risposto?» esclamai con curiosità. «In effetti, all’inizio ha fatto una faccia strana, poi ha deciso di farci un’offerta». «Oh», dicevo dondolandomi sulla mia sedia: mi tenevo in equilibrio sulle due gambe posteriori appoggiandomi al muro. Il mio amico faceva lo stesso. «Conosci l’offerta?» aggiunsi. «No, ma la scopriremo presto». All’improvviso suo padre apparve davanti alla zanzariera traballante. Io e Mike ci alzammo, non per rispetto ma perché sorpresi da lui. «Pronti, ragazzi?» ci chiese prendendo una sedia per mettersi più vicino. Annuimmo e scostammo le sedie dal muro per sistemarci davanti a lui. Era un uomo corpulento, alto più di un metro e ottanta e pesava novanta chili. Mio padre era più alto, pesava lo stesso e aveva quasi cinque anni di più. Mi sembrava che si assomigliassero, anche se non di corporatura. Forse avevano in co- mune un certo tipo di energia. «Mike dice che vuoi imparare a fare i soldi. È così, Robert?» Benché un po’ intimidito, accennai affermativamente con il capo. Dietro il suo sorriso e le sue parole gentili si sentiva che aveva forza, potere. «D’accordo, ecco la mia offerta. Ve lo spiegherò, ma non come fanno a scuola. Se lavorerete per me, ve lo insegnerò, altrimenti non se ne fa nulla. Così, posso insegnarvelo più in fretta, mentre se vi limitaste ad ascoltare, come si fa in classe, mi fareste perdere tempo. Questa è la mia offerta: prendere o lasciare». «Ehm… potrei farle una domanda prima?» chiesi. «No. Prendere o lasciare. Ho troppo da fare e non posso sprecare tempo. Tanto, se non riuscite a decidervi subito, non imparerete mai ad arricchirvi. Le occasioni vanno e vengono. Saper capire quando assumere decisioni rapide è una qualità molto importante. Avete l’occasione che cercavate. Cominciano le lezioni, oppure finiscono tra dieci secondi», chiarì con un ghigno beffardo. «Ok, accetto», dissi. «Anch’io», esclamò Mike.