Read Aloud the Text Content
This audio was created by Woord's Text to Speech service by content creators from all around the world.
Text Content or SSML code:
sono stati considerati tra loro indipendenti ma, alla luce delle più recenti ricerche, essi risultano distinti, seppure fortemente interagenti tra loro. Essi risultano, pure, mediati da sistemi cerebrali parimenti distinti ma interagenti, che si influenzano e si arricchiscono reciprocamente.1 L’apprendimento stesso, inteso come il risultato di un processo mentale dinamico che consente l’acquisizione di nuove conoscenze, è determinato dall’intreccio delle relazioni che scaturiscono dai processi mentali. Processo per il quale un ruolo determinante è svolto dalla memoria. In tal senso, memoria ed apprendimento sono funzioni cognitive strettamente correlate. Se da un lato l’apprendimento non potrebbe raggiungere risultati da considerarsi stabili senza la memoria, dall’altro la memoria non avrebbe di che nutrirsi senza l’apprendimento . È proprio grazie ai meccanismi dell’apprendimento che la persona riesce a potenziare i collegamenti sinaptici e ad istaurare molteplici collegamenti neurali che ne caratterizzano e definiscono le capacità stesse. L’apprendimento, che è espressione della funzionalità della mente, perciò, influisce direttamente sulla strutturazione del cervello, determinandone un aumento di efficienza funzionale . Ciò che risulta particolarmente rilevante per la comprensione del ruolo della motricità nella formazione espressiva e comunicativa della personalità, ossia del perché e del come viene a definirsi l’atto motorio quale atto di relazione intenzionale tra il soggetto e il proprio ambiente, è l’assunzione del ruolo della mente e, di riflesso, quello della struttura cerebrale, considerata nella duplice sua caratterizzazione, ossia qualitativa e . Ecco perché appare particolarmente interessante, per l’economia di questo lavoro, rifarsi alle tesi sostenute dallo psicolinguista Marcel Danesi, docente all’Università di Toronto in Canada, secondo il quale per raggiungere risultati che possono essere considerati di successo devono esistere sempre più stretti collegamenti tra neurologia e pedagogia. Collegamenti che vanno indagati e sperimentati, sul piano contenutistico e didattico, fornendo le basi per la fondazione di una nuova scienza: la neuropedagogia, alla quale, ovviamente,va affiancata la neurodidattica. Fondamentale, quest’ultima, per la gestione della dinamica evolutiva della personalità in senso lato, dal momento che si fonda su una visione “olistica” della persona. 2 La capacità di formare nuovi neuroni e cellule gliali è detta neurogenesi. Si hanno due tipi di neurogenesi: una si sviluppa nel corso dello sviluppo, formando il nevrasse; l’altra si sviluppa nell’adulto, agendo sulla plasticità funzionale di determinate aree nervose. Le ricerche di M. Danesi ) si fondano prevalentemente sul modello neurologico “bimodale”, in base al quale il cervello umano costituisce una entità globale e unitaria, per cui il funzionamento psichico deriva ad un’attività sinergica e integrata tra i due emisferi cerebrali. L’attivazione di questa sinergia è possibile con l’esercizio dell’attività didattica. Di qui, l’elaborazione del principio di apprendimento bimodale, che di fatto consente alla teoria bimodale di entrare nel campo della didattica come una vera e propria strategia di apprendimento, in particolare per l’apprendimento linguistico. Nella prospettiva bimodale è forte il richiamo condiviso alla sensorialità e alla valorizzazione delle esperienze, tanto che Danesi elabora tre principi fondamentali su cui basare l’azione didattica: la direzionalità (inserire le forme da apprendere in contesti significativi in modo che risultino pratiche, realistiche e coinvolgenti); - la formalizzazione (dare forma ai concetti attraverso la sensorialità e la contestualizzazione); l’affettività (determinare la scelta dei contenuti di apprendimento tenendo massimamente conto della realtà e delle esperienze significative della persona che apprende). (Danesi, 1991). Un ulteriore contributo chiarificativo al problema è dato da Jensen, secondo il quale la chiave per diventare più intelligenti consiste nel creare più connessioni sinaptiche tra le cellule cerebrali, senza perdere le connessioni esistenti. La costruzione di una rete sempre più vasta di connessioni favorisce la qualità dei processi che permettono di capire, di risolvere i problemi e di apprendere. (Ginnis, 2002, p. 24.) E qui si inserisce un altro aspetto fondamentale, legato all’apprendimento: è la modalità mediante la quale le informazioni in entrata vengono organizzate e memorizzate. Secondo Ekwall e Shaker, infatti, le persone ricordano: il 10% di quello che leggono; il 20% di quello che sentono; il 30% di quello che vedono; il 50% di quello che sentono e insieme vedono; il 90% di quello che dicono e insieme fanno. In sostanza, un ruolo importante nella formazione del pensiero, che è strettamente legato agli apprendimenti, è svolto dal linguaggio. Ma, il linguaggio, come tutte le altre funzioni cognitive e percettive, dipende dai sistemi cerebrali (corteccia, gangli della base e cervelletto) che assommano in loro componenti motivazionali e cognitive, ma soprattutto motorie. Dunque, è la componente motoria a rivestire un ruolo 3 È sulla base di questi riferimenti scientifici che abbiamo elaborato una metodologia, che si avvale anche di un apposito supporto strumentale, ancora in fase di sperimentazione, che consente di sostenere gli apprendimenti matematici agendo sul potenziamento e sull’esercizio delle funzioni di entrambi gli emisferi cerebrali, seppure ricorrendo a due distinte fasi di azione. Nel corso della prima fase l’azione didattica è rivolta prevalentemente al potenziamento delle funzioni dell’emisfero destro (legato al pensiero rappresentativo logico e sequenziale nella rappresentazione della realtà, anche mediante il ricorso alla mediazione linguistica verbale. Invece, nel corso della seconda fase l’azione è rivolta al potenziamento dell’emisfero sinistro legato all’esercizio della immaginazione e della creatività. Ciò, pur nella consapevolezza che c’è sempre reciprocità funzionale tra i due emisferi. I dati fino ad oggi ottenuti hanno dimostrato che l’apprendimento è risultato essere più efficace nelle occasioni in cui lo studente viene esposto a stimoli che coinvolgono gli emisferi, seguendo quest’ordine, soprattutto se viene utilizzato il movimento come indicatore di riferimento per cogliere e rappresentarsi la realtà. È s In campo pedagogico e didattico è ormai ampiamente condiviso l’assunto che l’atto dell’insegnare è strettamente correlato con l’individuale potenziale di apprendimento e con lo specifico stile cognitivo o di apprendimento.5 I molti studi sul tema hanno dimostrato, infatti, che ogni soggetto umano ha propri stili di apprendimento, formatisi nel corso del processo di formazione e di maturazione della sua funzione cognitiva. Un processo che dipende da una molteplicità di fattori, ed in particolare: dalle caratteristiche strutturali e funzionali degli apparati corporei, dal modo di cogliere e di interpretare i bisogni, dal senso che viene assegnato alle aspirazioni, dalle motivazioni alle relazioni (in risposta alle variegate sollecitazioni sensoriali ed emozionali), ed infine, dalle occasioni che il soggetto stesso ha di sperimentare le proprie abilità e competenze nello stabilire atti comportamentali di mediazione relazionale e/o di risposta alle varie sollecitazioni. La molteplicità di detti fattori è il motivo per cui si hanno svariate modalità di rappresentazione degli Stili di apprendimento, ognuno dei quali si differenzia secondo i punti di vista utilizzati per conoscere. A puro titolo esemplificativo, è sufficiente richiamare gli Stili ad oggi più diffusi:6 - Il modello sensoriale: Visivo, Uditivo, Verbale/Non verbale, Cinestesico - Il modello multimodale - Lo stile di apprendimento della dominanza emisferica - Il modello sociale solitario - Il ciclo dell’apprendimento di Kolb - Il modello Honey e Mumfords - La tassonomia di Blooms. La motricità come fattore fondamentale di relazione formativa e comunicativa - Globale/analitico - Sistematico/intuitivo - Impulsivo/riflessivo - Verbale/visuale - Autonomo/Creativo o dipendente dal campo (contesto). Senza entrare nel merito di dette classificazioni, è da ritenere che ognuna di esse ha una sua specificità declinativa dell’intelligenza nelle dinamiche del suo funzionamento e del suo esprimersi in atti comportamentali. Caratterizzazioni che lo Sternberg ha rappresentato utilizzando tre variabili: - Analitica (che utilizza le modalità del valutare, scomporre, fare confronti, individuare dettagli, giudicare); - Creativa (legata all’intuizione, all’immaginazione, alla creatività, alla produzione di novità); - Pratica (basata sull’organizzazione, su abilità d’uso di mezzi e strumenti, sulla progettazione e/o sull’applicazione di piani mirati a obiettivi concreti). Una distinzione, questa, che tuttavia non esclude la loro compresenza e/o la loro reciprocità d’azione nello svolgersi dell’intelligenza.